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MALAN SUI COSTI DELLA POLITICA: I senatori costano 16 centesimi al mese per italiano

Sul tema dei costi della politica, pubblichiamo l’intervento del senatore del Pdl Lucio Malan pronunciato nell’Aula del Senato il 2 agosto 2011.

Di 527 milioni, sottratti i risparmi che verranno versati allo Stato e le somme che rientrano nelle casse pubbliche immediatamente sotto forma di imposte sul reddito, il vero costo del Senato per i contribuenti è di 400 milioni, pur includendo parecchi milioni di IVA che il Senato paga allo Stato. Si tratta dello 0,05 per cento della spesa pubblica, 56 centesimi al mese per ogni contribuente. Insomma, l’intero Senato costa a un singolo cittadino molto meno di un decimo, forse un ventesimo dell’iscrizione al sindacato. Con il costo di una copia del libro «La Casta» un cittadino si campa l’intero Senato per quasi tre anni.

Ma di questi 400 milioni solo 114 sono destinati ai senatori, inclusi i rimborsi, i vitalizi per gli ex, le spese di trasporto e di ristorazione: fa 16 centesimi al mese per italiano, lo 0,014 per cento della spesa pubblica, meno della metà dei contributi che vengono elargiti alla stampa.
L’insieme di tutti i senatori, ex inclusi, costa in otto mesi, a ogni cittadino, quanto la copia di un quotidiano. A ogni italiano, il singolo senatore costa un centesimo ogni 20 mesi. È perciò degna di nota l’abilità di chi, facendo sensazionalismo su queste cifre, di solito truccate, riesce a guadagnare qualche milione di euro.

Detto questo, è nostro preciso dovere agire con la diligenza del buon padre di famiglia per contenere le spese, per quanto siano una piccolissima frazione del bilancio dello Stato. Ecco perché le nostre indennità sono bloccate dal 2008, dopo che nel 2006 erano state ridotte del 10 per cento. La diaria e il contributo di supporto sono rimasti bloccati dal 2001 per poi essere decurtati di mille euro al mese all’inizio di quest’anno. Nel complesso, il valore reale dell’indennità netta è sceso del 24% rispetto al 1994. La diaria e il contributo di supporto sono scesi del 28% in dieci anni.

Vale anche la pena di ricordare che la legge del 1965, che regola, sulla base della Costituzione, le nostre indennità, ci equiparava al presidente di sezione della Corte di cassazione. Nella realtà, oggi quel presidente prende oltre il 41% più di noi, con il vantaggio peraltro di non ricevere insulti dalle prime pagine dei giornali. La stessa legge del 1965 prevedeva che gran parte dell’indennità fosse esente dalle imposte sul reddito, ma la legge finanziaria del primo Governo Berlusconi cancellò completamente ogni esenzione.

È curioso notare che negli anni in cui veniva creato l’immenso debito pubblico che affligge noi e le generazioni che ci seguono, i parlamentari avevano un trattamento economico assai più pingue, ma la stampa non si indignava: forse aveva le sue buone ragioni.
Dunque, il nostro costo è la duemillesima parte della spesa pubblica, e i nostri compensi sono scesi di un quarto negli ultimi 10-20 anni. Ma tanti ben pagati giornalisti, e a volte anche i loro benissimo pagati direttori continuano a ripetere che noi guadagniamo molto più dei nostri colleghi del resto d’Europa. Se così fosse, conterebbe poco che i nostri compensi siano scesi. Il fatto è che quegli stessi giornali che ci additano come i Paperoni d’Europa, quando il mese scorso abbiamo votato, nell’ambito della manovra finanziaria, l’adeguamento del nostro trattamento ai sei principali Paesi dell’area euro, ci hanno accusato di non aver fatto alcun taglio. È evidente che o mentono nel dire che guadagniamo più degli altri o mentono nel dire che adeguandoci agli altri non ci riduciamo i compensi. In realtà, mentivano in entrambi i casi, perché non è vero, come vedremo, che abbiamo un trattamento economico più alto degli altri grandi Paesi. E non è neppure vero che non subiremo alcuna riduzione, visto che tra i sei principali Paesi dell’area euro, ce ne sono quattro con popolazione e prodotto interno lordo inferiori all’Italia, anche di cinque o sei volte, ed è normale che i parlamentari abbiano trattamenti economici più bassi.

Ma molti giornalisti di valore – di valore nel senso che sono molto pagati – scrivono un giorno sì e l’altro pure che siamo i più pagati d’Europa, molto più pagati degli altri. Un messaggio semplice, che colpisce l’opinione pubblica.

Guardiamo allora al caso più vicino a casa nostra: la Francia. Stessa popolazione, 32 parlamentari in meno, ma tra questi i senatori sono 343, 28 più di noi. Vale la pena ricordare che i senatori francesi non sono votati dal popolo, ma dagli eletti del loro collegio. Dunque, niente costi di campagna elettorale. La loro indennità netta è circa 300 euro superiore a quella nostra. Se poi superano i 15 anni di mandato, fanno un balzo in avanti di 1.218 euro, perché non più soggetti a una certa ritenuta. A differenza di quanto accade in Italia, possono poi cumulare indennità derivanti da altre cariche pubbliche, sia pure con il limite di 2.757 euro al mese. In Francia moltissimi parlamentari, infatti, sono anche sindaci, anche perché, con la nostra stessa popolazione, hanno 36.000 Comuni contro i nostri 8.000.

Si dirà allora che c’è il trucco: i senatori italiani avranno trattamenti accessori maggiori. Vediamo: i nostri colleghi francesi hanno 6.412 euro netti al mese per spese di mandato; noi, sommando la diaria ed il contributo di supporto, li superiamo di 1.268 euro. Ma al posto di quei 1.268 euro i senatori transalpini hanno 7.548 euro per il personale alle loro dipendenze; in più, gli oneri del datore di lavoro restano a carico del Senato, cosa che noi non abbiamo, un vantaggio calcolabile in almeno 4.000 euro.

Per quanto riguarda le altre spese, il trattamento è equivalente. In più i membri del Senato francese si vedono rimborsare le spese d’albergo a Parigi nei giorni di seduta e godono di prestiti a tasso agevolato al 2 per cento, cose del tutto sconosciute per noi. Si dirà, chissà quanto lavorano a Parigi! Glielo chiederemo al più presto; però ci vuole un po’ di pazienza, perché la scorsa sessione si è chiusa il 13 luglio e la prossima inizierà l’11 ottobre!

Tutte queste cose si possono molto facilmente trovare nel sito Internet del Senato francese, cosa probabilmente troppo faticosa per i nostri principi dell’informazione sensazionalistica.
Visto che si cita così spesso l’estero, vorrei ricordare che in altri Paesi, i giornalisti che diffondono scientemente (ma anche non scientemente) notizie false, specie sulle istituzioni, di solito perdono il posto, generalmente dimettendosi loro stessi per evitare l’umiliazione del licenziamento.

Insomma, i senatori francesi, per sé e per il loro personale, hanno a disposizione circa 10.000 euro al mese più di quelli italiani, ma ci viene detto che noi siamo i più i pagati.

Vogliamo parlare dei deputati tedeschi? Basti dire che solo di diaria prendono 1.000 euro al mese più di noi e che per il personale hanno a disposizione 14.712 euro al mese, tre volte e mezzo il nostro contributo di supporto; hanno tutti l’auto pubblica a disposizione per servizio in Berlino, mentre da noi ce l’hanno solo una ventina di senatori e deputati con particolari cariche; hanno il vitalizio, cui hanno diritto anche dopo un solo anno di legislatura, senza pagare i contributi pensionistici. Ecco perché, come anche i francesi, hanno un’indennità lorda più bassa della nostra, ma un netto superiore.

Un ennesimo gioiello del giornalismo d’autore è stata l’affermazione secondo la quale Senato e Camera italiani costerebbero 100 milioni più dei loro corrispondenti di Washington. Chi ha letto questa presunta verità assoluta è trasalito: ma come, gli Stati Uniti, più grandi e più ricchi di noi, hanno un Parlamento che costa meno? C’è persino un po’ di verosimiglianza, visto che i parlamentari americani sono meno numerosi di noi. Ma anche questa è una balla, forse più spudorata delle altre. Di nuovo, basterebbe controllare su Internet: Senato e Camera degli Stati Uniti costano non 100 milioni in meno, ma 2,3 miliardi in più! Non è strano, dato che i deputati, oltre all’indennità, hanno a disposizione per le loro spese fino a 100.000 euro al mese e i senatori fino a 280.000 euro al mese. Sottolineo “euro” e sottolineo “al mese”. E va detto che, a differenza di quanto avviene nei nostri bilanci, il costo del Congresso americano non comprende i vitalizi dei parlamentari e le pensioni dei dipendenti, cosa che vale anche per i principali Parlamenti europei: ecco perché il nostro Parlamento sembra sempre più caro degli altri.

Messo in chiaro tutto questo, noi, come Gruppo del Popolo della Libertà, siamo impegnati a continuare sulla strada della riduzione della spesa, come dimostrano le cifre del bilancio approvato in Consiglio di Presidenza che, per il terzo anno consecutivo, non incrementa la spesa in termini nominali e dunque la riduce sensibilmente in termini reali, cosa mai avvenuta prima, neanche per un solo anno, e come dimostra l’ordine del giorno che presentiamo come Popolo delle Libertà con importanti proposte per proseguire la razionalizzazione.

Il Partito Democratico, invece, mostra di avere più di una faccia. I suoi autorevoli rappresentanti nel Consiglio di Presidenza hanno approvato con noi un bilancio virtuoso, con importanti misure di risparmio. Del resto, anche noi nella scorsa legislatura approvammo, sotto la Presidenza Marini, dei bilanci contenenti misure di risparmio. Poi, però, i vertici del Gruppo del Partito Democratico presentano un ordine del giorno che sconfessa completamente l’intero Consiglio di Presidenza, inclusi i membri appartenenti al loro stesso Gruppo, disegnando fantasiosi e demagogici scenari. Ora, va bene che questo “PD due” sa che verrà approvato il bilancio approvato anche dal “PD uno” e non questo strampalato ordine del giorno; però un po’ di pudore non guasterebbe.

Il senatore Morando, uno che conosce i bilanci come pochi e dunque sa molto bene di cosa parla, oggi scrive questo ordine del giorno che attacca frontalmente il terzo bilancio consecutivo in cui si riduce il peso del Senato sui contribuenti. Ma quando toccò a lui essere relatore dell’ultimo bilancio approvato nella scorsa legislatura, il 4 aprile 2007, nella lunga relazione e nella altrettanto lunga replica non pensò di dire una parola sul fatto che le spese del Senato aumentassero del 2,77 per cento, ben oltre il tasso di inflazione. Ieri la spesa saliva ed era tutto a posto; oggi la spesa scende e ci si oppone. Complimenti per la coerenza, ma non crediate di fare fessi gli elettori, che fessi non sono!

Il fatto è che i signori della sinistra sui costi della politica sono bravissimi a parlare, ma le cose concrete le abbiamo sempre fatte noi. Siamo noi, che nel primo Governo Berlusconi abbiamo abolito ogni esenzione dalle imposte per l’indennità parlamentare, non voi. Siamo noi che abbiamo ridotto del 20% i consiglieri provinciali e comunali in questa legislatura. Siete voi che avete fatto il Governo dei 101 Ministri e Sottosegretari, noi siamo scesi di 40: il 40% in meno! Siamo noi che abbiamo approvato dopo un faticoso iter parlamentare la riduzione del numero dei parlamentari, che sarebbe già in atto da tre anni se non aveste condotto una feroce campagna contro la modifica della Costituzione, che portò alla bocciatura della riforma con il referendum del 29 giugno 2006. Oggi, per nascondere questa evidenza, vi agitate per calendarizzare lo stesso provvedimento.

Siamo noi che abbiamo approvato la liberalizzazione dei servizi pubblici locali, per abolire il monopolio e il «magna-magna» delle municipalizzate, con le migliaia di assunzioni clientelari, le nomine dei dirigenti di stampo politico strapagati e lottizzati sulla gestione degli acquedotti, la raccolta rifiuti e i trasporti locali. Siete voi che con una campagna di menzogne avete convinto gli italiani a bocciare questa riforma, raccontando che avrebbero dovuto pagare per bere alla fontanella pubblica e che l’Italia sarebbe diventata come Cochabamba!

Siete voi che nel 1995 lavoraste per bocciare il referendum che aboliva il doppio turno alle amministrative, e oggi volete addirittura introdurlo per le elezioni politiche, con un costo di qualche centinaio di milioni per legislatura.

E allora, anche oggi, noi ci assumiamo volentieri la responsabilità di fare i risparmi veri, votando un bilancio virtuoso che riduce le spese e votando il nostro ordine del giorno che traccia la strada per ulteriori risparmi ed efficienza per il futuro; e lasciamo volentieri a voi la cinica demagogia, il meschino chiacchiericcio e quell’atteggiamento di cui parla Dante nel XXIII canto dell’Inferno.”

Intervento al Senato, 2 agosto 2011

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