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Perchè a 20 anni da Mani Pulite stiamo sempre peggio

Mentre il Paese crolla economicamente e socialmente, le famiglie non arrivano alla fine del mese e i nostri giovani sono costretti a emigrare, i Palazzi del potere mostrano il peggio di sé e l’incapacità morale e politica ad affrontare l’emergenza. Infatti, le cronache di questi giorni sui casi Papa, Milanese, Tedesco, Penati fanno comprendere la necessità che i partiti affrontino, una volta per tutte, la questione morale con delle ferree leggi. Le vicende che hanno scandito l’agenda evidenziano come la corruzione intacchi e tenti tutti gli schieramenti, al di là del colore.

Negli anni Novanta un imprenditore pagava un politico per avere un vantaggio, oggi sono i cittadini a pagare senza volerlo, in quanto i loro soldi servono spesso per finanziare consigli d’amministrazione di società o enti, frutto di spartizioni tra partiti. All'epoca di Tangentopoli noi del pool di Mani pulite, ci trovammo di fronte ad una realtà, definita: dazione ambientale. Dopo la caduta del muro di Berlino, infatti, vennero a mancare i finanziamenti esteri alla politica e quindi questa trovò il modo di reperire diversamente le risorse economiche, attraverso un sistema di tangenti. In quegli anni, le grandi imprese italiane versavano soldi al PSI e alla DC e, per individuare la strategia, abbiamo indagato sui canali occulti di finanziamento. Abbiamo spulciato i bilanci e scoperto i fondi neri che riconducevano a reati precisi: falso in bilancio e appropriazione indebita. Così, l'imprenditore, colto con le mani nel sacco, raccontava delle tangenti che versava e a chi. In fondo, da Tangentopoli ad oggi la situazione non è cambiata, ma si è aggravata perché si utilizzano schermi formalmente legali per coprire le malefatte. E’ un sistema che si è ingegnerizzato, non si trovano più mazzette o soldi nascosti nei puff, ma si trovano consulenze, favori e incarichi. Oggi molti reati sono stati depenalizzati, come il falso in bilancio, e le leggi sono state fatte per andare incontro alle istanze delle lobby e per coprire il malaffare. La corruzione si è fatta sistema. E la vicenda di Milano ne è la prova. Persino il conflitto d’interessi che fa carico al Presidente del Consiglio non è un caso isolato: sono tante le commistioni tra politica e affari che si riscontrano nelle nomine in società pubbliche, che spesso vengono usate anche per ottenere introiti per il partito.

Innanzi a tanta sfrontatezza e decadenza morale, le forze politiche, se vogliono riacquistare dignità e credibilità, nonché funzione sociale, hanno l’obbligo di mettersi in discussione e di affrontare il problema seriamente. Qui in gioco c’è la democrazia. E mettere la testa sotto il cuscino, facendo finta di non
vedere e di non sapere, rischia di delegittimare ancor di più le istituzioni e di portare il Paese su un crinale pericoloso, dove le monetine potrebbero diventare solo l’antipasto. E’ sbagliato attribuire la responsabilità di tanto clamore ai giornalisti, che fanno solo il loro dovere d’informare correttamente l’opinione pubblica. Piuttosto la classe politica faccia un “mea culpa” e coloro che risultano coinvolti facciano fino in fondo il loro dovere: corrano dal giudice, come tutti i cittadini. La casta non si autoassolva.

Oggi più che mai, sono sempre più convinto che il rapporto tra l’economia e la politica, come quello dell’etica e i partiti, abbia bisogno di regole precise
che siano stabilite da leggi e non soltanto dai cosiddetti codici interni ai partiti, che rischiano di lasciare il tempo che trovano. Per questo, l’Italia
dei Valori ha depositato, dall’inizio della legislatura, una ventina di proposte di legge per combattere la corruzione sistemica che vige all’interno della politica. Proposte che giacciono ancora nei cassetti delle commissioni parlamentari, in quegli stessi organismi che negli ultimi tre anni hanno licenziato solo norme per salvaguardare Berlusconi dai suoi guai giudiziari.

Eppure, per cominciare basterebbe l’approvazione delle tre disposizioni chiave, contenute in un disegno di legge a mia prima firma: 1) I condannati non devono essere candidati. Qualora un esponente politico venisse condannato nel corso del suo mandato, deve decadere dalla carica. 2) Gli imputati non possono assumere incarichi di governo né locale, né nazionale (quindi né assessori, né ministri). E qualora un esponente di governo venisse rinviato a giudizio durante il suo mandato, deve decadere dalla carica. 3) Gli imprenditori che si sono macchiati di reati contro la pubblica amministrazione, in particolare per reati di corruzione, falso in bilancio, evasione fiscale e finanziamento illecito ai partiti, non possono partecipare alle gare pubbliche né direttamente, né per interposta persona.

Insomma, la politica deve uscire dalla sua condizione di casta. E questo vale sia per l’impunità che pretende di avere, sia per gli sprechi di denaro pubblico di cui continua a usufruire alle spalle della povera gente. Ma il Governo si continua a muovere in direzione opposta: venerdì è stata posta la quarantottesima fiducia sul disegno di legge sul processo lungo che, di fatto, rinviando alle calende greche l’iter processuale, garantisce l’impunità a tutti coloro che vogliono sfuggire alla giustizia, in primis al Presidente del Consiglio. Ed è questa la vera ragione per cui è stata fatta la norma.

Ormai, la maggioranza parlamentare ha venduto la propria dignità per una poltrona e, pur di mantenere i propri privilegi, manda al macero decine di migliaia di processi. E’ uno schiaffo a tutti coloro che aspettano giustizia ed è un insulto ai 27 milioni di cittadini che con il referendum hanno detto ‘basta’
alle leggi ad personam. L’opposizione ha un’unica strada da percorrere: sfiduciare Berlusconi e ridare la parola ai cittadini. Chi non lo farà, di fatto, si renderà complice.

NB: Una parte di questo articolo è stata pubblicata oggi sul “Giorno”.

Postato da Antonio Di Pietro

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