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America’s Cup, più soldi meno Italia

Com'era bella e affascinante l'America's Cup! L'ultimo grande spettacolo si è visto nelle acque di Valencia, nel 2007, con un finale di gara da brividi. Race 7: Alinghi (il Defender) contro Emirates Team New Zealand (lo sfidante, vincitore della Louis Vuitton Cup). Il verdetto sorriderà ad Ernesto Bertarelli, patron del sindacato svizzero. I neozelandesi verranno battuti 5-2 ma con un finale degno di una sceneggiatura da film triller. I kiwi sono in vantaggio fino a 500 metri dall'arrivo, ma una rotazione improvvisa del vento, costringe i due equipaggi a correggere la rotta, stavolta con il vento contro, devono ananzare di bolina. Le operazioni sono concitate, si ammaina lo spinnaker e si procede di sola randa. Si rompe un boma, quello di Alinghi che rimane indietro. La prua di Team New Zealand è ormai al traguardo ma devono scontare ancora una penalità inflittagli in precedenza; per farlo, devono effettuare un giro su sé stessi di 360 gradi, mentre piano piano gli svizzeri riacquistano velocità. La prua dei neozelandesi è di nuovo davanti alla linea del traguardo ma la barca è ferma e deve riprendere velocità. Quella svizzera, invece, ha ormai raggiunto gli avversari e riuscirà a varcare la linea di arrivo pochi centimetri prima degli altri, sul filo di lana. Che spettacolo! Ma anche l'ultimo, purtroppo. Già la successiva edizione tenutasi nel 2010, la 33esima, si è svolta all'insegna della battaglia legale – che qui risparmierò di raccontare anche perché fin troppo noiosa – conclusasi con una sfida a due tra i mostruosi multiscafi, il catamarano Alinghi 5 e il trimarano americano USA 17 di BMW Oracle Racing (divenuto 'Challenger of Record' al posto di Desafio Espanol) e che vide vittoriosa, in maniera marcatamente netta, la futurista imbarcazione di Larry Ellison, in rappresentanza del Golden Gate Yacht Club (GGYC) di San Francisco. Vittoria schiacciante, con distacchi abissali, priva di match race, praticamente senza adrenalina. Tutto il contrario del 2007, soprattutto negli 'Acts' della Louis Vuitton Cup, dove 11 sindacati (ben tre erano italiani: Luna Rossa, Mascalzone Latino e +39 Challenge) si sfidarono a colpi di match race per andare poi a sfidare i detentori della brocca di cristallo, ma soprattutto avvicinando un popolo non solo di velisti ma anche di totali inesperti del settore. Il successo fu totale, la più importante manifestazione sportiva velica della storia, riusciva a catalizzare l'attenzione su di sé come solo il Calcio sa fare. Sembrava si andasse nella direzione giusta ma, prima la battaglia legale, poi la scelta di queste autentiche formula uno dell'acqua, i multiscafi, che di fatto escludono, però, chi non riesce a stare al passo con la tecnologia e con gli enormi investimenti, hanno tracciato una linea al di là della quale è difficile immaginare di assistere ad una nuova avvincente competizione velica. L'ultima notizia poco felice è arrivata dall'ultimo sindacato che poteva rappresentare l'Italia nell'edizione del 2013. Venezia Challenge, infatti, non potrà partecipare alla prossima America's Cup perché, in sintesi, non ha rispettato gli impegni, ossia non ha soddisfatto gli obblighi economici; in breve, non ci sono gli euro. Stesso motivo per Mascalzone Latino ('Challenger of Record' per la 34esima edizione) ritiratosi già qualche tempo fa per mancanza di copertura finanziaria. Insomma la crisi c'è e invece di “fare squadra” per non perdere il pubblico avvicinatosi in questi anni, ci si esclude a colpi di “moneta sonante”: chi dispone di maggiori budget per finanziari i progetti, va avanti, gli altri rimangono al palo. Ma il divertimento, dov'è?

Paolo Natale

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