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Dall’Egitto alla Sicilia con il visto della mafia

di Dina Galano

Un’inchiesta dello scorso marzo potrebbe svelare un nuovo aspetto dell’immigrazione clandestina: il coinvolgimento diretto della mafia siciliana nella gestione degli arrivi per mare. Tutto ha inizio con l’arresto di due pescatori siciliani, secondo gli inquirenti appartenenti al clan Brunetto, affiliato alla famiglia dei Santapaola. I periodici sbarchi sulla costa del ragusano, tra Capo Passero e Pozzallo, hanno corroborato la tesi investigativa sull’esistenza di un’organizzazione attiva sul territorio con funzioni di assistenza a terra e di sostegno logistico.

Sull’ipotesi indaga la procura di Siracusa e la direzione distrettuale antimafia di Catania che a marzo ha disposto una cinquantina di fermi. Tra le particolarità di quel filone d’indagine, la collaborazione con trafficanti di origine egiziana impegnati nel raggruppamento dei profughi nordafricani e nel loro trasferimento verso l’Italia. Una volta raggiunta la costa siciliana, la “nave-madre” lasciava ai pescherecci italiani il compito di percorrere gli ultimi metri fino alla riva.

Due giorni fa, è stata riscontrata la stessa dinamica, poi intralciata dall’intervento della Guardia di finanza. «Il natante è stato avvistato in acque internazionali ed è stato scortato fino alla costa. Era dotato di un piccolo gommone a bordo che avrebbe dovuto trasbordare gli immigrati a piccoli gruppi», riferisce il comandante della Gdf di Pozzallo, Salvatore Campisi. In totale, 105 persone «che riteniamo tutte di origine egiziana». Pur se «è molto probabile che sul territorio esista un’organizzazione criminale gestita da nordafricani», secondo Campisi Pozzallo resta «un errore di navigazione, perché l’ordine è sempre di sbarcare a Lampedusa».

L’università di Catania, in collaborazione con Libera e con il Centro Astalli, sta approfondendo i legami stretti dalla mafia locale con le organizzazioni criminali nordafricane nell’ambito di un vasto studio sul degrado nella regione. Il coordinatore della ricerca, Renato Camarda, riferisce che «a tutt’oggi l’interesse mafioso esiste, ma sotto traccia. Tutt’al più è concentrato nella serie di attività da sempre gestite dalle cosche locali». In particolare il lavoro nero nelle campagne, dove l’attività di caporalato è appaltata a gruppi di stranieri che svolgono l’intermediazione, ma anche il traffico di organi e il lavoro minorile.

«I rapporti tra migranti e mafia sono molto più forti in provincia di Ragusa per via della concentrazione di serre e campi agricoli, e nella zona di Cassibile (Siracusa). L’organizzazione di sfruttamento del lavoro nero – spiega il ricercatore – costruita direttamente tra lo straniero e l’agricoltore locale, si muove all’interno di un sistema economico che rientra nelle dinamiche mafiose». L’esempio della forte presenza della comunità cinese nel centro di Catania, oltre 4.000 persone stabilmente insediate cui sono state concesse licenze commerciali, non può che essere «l’esito di un accordo con la criminalità locale».

da Terranews

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