UNO SU CINQUE

Anche se i recenti provvedimenti governativi non trattano della disoccupazione giovanile nazionale, i dati parlano chiaro: quattro milioni d’italiani, con meno di 35 anni d’età, non hanno ancora trovato un’occupazione a tempo indeterminato (in pratica il desiderato posto fisso).Come a scrivere che si arrangiano. Solo uno su cinque, dagli inizi del nuovo secolo, c’è riuscito. Che, poi, rappresenta il 20% dell’ipotetica forza lavoro nazionale. Il restante 80% di questa fitta umanità tira avanti con contratti di collaborazione, impieghi a termine, rapporti occupazionali “part –time” e, come ultima novità, col lavoro interinale ( che significa in affitto). A ben osservare, in Italia il mondo del lavoro non è riuscito ad offrire nulla di più delle incertezze che già avevamo segnalato a chi ha la pazienza di seguirci. In questa situazione, anche l’età anagrafica può giocare un suo ruolo. Infatti, i lavoratori con borsa di studio ( durata massima due anni) sono destinati solo a chi non ha superato i 30 anni e sono offerti principalmente in province ad alto tasso di disoccupazione. Tra i 18 ed i 35 anni, bel 1.500.000 lavoratori hanno trovato una sistemazione sempre temporanea, con contratti di collaborazione coordinati. Il 54% ha un diploma di scuola media superiore, il 22%, una laurea e gli altri hanno ottemperato la scuola dell’obbligo ed hanno frequentato corsi professionali. Quando occupati, tutti sono iscritti alla gestione speciale INPS con una trattenuta previdenziale globale del 15% che, al compimento dei fatidici 65 anni, dovrebbe garantire una modestissima pensione di vecchiaia. Sempre con l’invalicabile limite dei 35 anni d’età, 1.700.000 individui hanno trovato sistemazione “part-time”. Ma anche in quest’ipotesi, che è sempre meglio di niente, la durata occupazionale non supera i diciotto mesi e le retribuzioni corrispondono al 40% di un occupato, con la stessa qualifica, a tempo pieno. Tra le varie forme di “part-time”, si è affermata, quasi in sordina, quella “ciclica”. In pratica, si lavora solo in particolari periodi dell’anno. Tra occupati come collaboratori coordinati e “part-time”, sono 3.500.000 i lavoratori ancora a tempo determinato. Se togliamo i 375.000 “borsisti” che troviamo soprattutto al sud del Paese, restano fuori conto almeno altri 128.000 aspiranti lavoratori che aspettano, logorando la loro gioventù, il loro turno. Per costoro non resta che la via dei contratti di lavoro interinali. Si tratta, in altri termini, di posti di lavoro “in affitto” che sono gestiti da imprese fornitrici d’impiego temporaneo che avviano i giovani presso aziende che hanno bisogno di personale qualificato solo per determinati periodi nell’arco dell’anno. In quest’Italia dei disoccupati ad oltranza, anche il sesso ha un suo peso. Lavorano a tempo parziale il 38,5% delle donne ( sempre d’età compresa tra i 18 ed i 35 anni). Gli uomini non raggiungono il 20%, anche se, spesso, si autosistemano in attività lavorative assai differenti da quelle studiate a scuola. Se la tendenza, oggi accentuata dall’occupazione dei cittadini extracomunitari, non dovesse cambiare con nuovi provvedimenti legislativi, che per ora proprio non vediamo, entro il 2020, saranno nove i milioni di lavoratori che vivranno alla giornata ed i posti”fissi” caleranno tanto che solo uno su quindici degli aspiranti, con tutte le carte in regola, potrà ottenerne finalmente uno. Anche sul fronte dell’occupazione giovanile ci sono delle responsabilità che sono ben note, ma che non sono servite a farci apprendere la lezione. Senza lavoro, o con un’occupazione precaria, non è possibile fare dei progetti per il futuro, sperare in una casa, in una famiglia. Che, almeno, le Forze Sociali s’attivino per inserire nei Contratti Nazionali di Lavoro delle clausole per l’inserimento programmato di lavoratori di prima occupazione. Solo il tempo, che è galant’uomo, evidenzierà se la strada che proponiamo sarà quella giusta.

Giorgio Brignola

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