Di Filippo Giannini
Ho ricevuto lo scorso 17 luglio una mail a firma di (un per me sconosciuto) PCL. Il messaggio inizia con: “Caro/a Compagno/a” e termina con: saluti rossi, A…Genova. Ovviamente si tratta di un nuovo movimento comunista. Ora d’accordo che lo stesso Palmiro Togliatti aveva sentenziato (cito a memoria): , concetto che posso anche accettare con alcuni distinguo. Tuttavia inviare a me una mail che inizia con: Caro compagno, beh! È un po’ eccessivo. Avrei potuto accettarlo settanta anni fa se non ci fossero state quelle carognose ammazzatine e un Piazzale Loreto; ma quelle ci sono state e oggi non accetto più alcun compromesso.
Sono sul punto di terminare un altro volume (come i lettori possono constatare Don Chisciotte non combatte contro i mulini a vento solo in Spagna) e il mio lavoro tratta anche di quanto accadde nella Russia di Stalin, ma anche di quanto fece il Duce per evitare quella catastrofe che tutti i Paesi capitalisti volevano. Poiché la mail è giunta proprio nel momento che proponevo un parallelo di come fu affrontata la grande depressione economica iniziata nel 1929 dall’Italia fascista e dal resto del mondo, propongo quanto stavo scrivendo circa le felici soluzioni messe in atto dal Socialismo reale (URSS) e quelle soluzioni messe in atto dal mai sufficientemente deprecato infausto Ventennio. Quindi riporto uno stralcio tratto dal mio citato volume, che avrà per titolo (provvisorio) “Benito Mussolini, il grande artigiano della pace”. Preciso che questo titolo l’ho carpito da un giudizio del più apprezzato giornalista svizzero Paul Gentizon.
Ecco il testo.
Mentre il mondo occidentale era investito da queste calamità (la depressione iniziata nel 1929), cosa avveniva nella Russia sovietica? Possiamo anticipare che proprio in questo caso si evidenzia la differenza che caratterizzò le due rivoluzioni, quella di Lenin e quella di Mussolini. Mentre il primo pretese di cancellare ipso facto il precedente sistema e instaurare il nuovo, il secondo, salito al potere, mantenne il precedente, mutandolo gradualmente, con profonde riforme sociali, quasi tutte ancora oggi in vigore.
Stalin successe a Lenin, ma entrambi furono la causa del fallimento dell’idea di Karl Marx. Stalin fu il responsabile del periodo del terrore che investì l’URSS nello spazio di tempo a cavallo degli anni Trenta. Riprendiamo da un saggio di Giuseppe Valguarnera (Historica n° 19) il ricordo dello sterminio dei piccoli proprietari terrieri (kulaki), fatto che costituì la premessa per la più atroce delle carestie, tappa fondamentale del passaggio al Terrore staliniano. La collettivizazione forzata voluta da Stalin incontrò la resistenza dei kulaki. Allora Stalin ordinò l’eliminazione di qualsiasi opposizione con la distruzione dei villaggi che rifiutavano il programma staliniano (collettivizzazione). Nel 1930 una buona metà delle fattorie individuali entrò a far parte delle fattorie collettive. La scarsità dei prodotti agricoli e di bestiame produsse una tragica carestia che ebbe inizio nel 1932, raggiungendo livelli estremi alla fine del 1933. Conseguenza: la fame. I funzionari governativi requisivano non solo il grano, ma qualsiasi genere alimentare, il bestiame e gli attrezzi agricoli, senza lasciare nulla per l’alimentazione e le semine. In agosto (1933) venne promulgata la feroce legge delle cinque spighe che prevedeva la pena di morte per poche spighe di grano cadute o raccolte durante la mietitura.
Si moriva di fame nelle città e nelle campagne. Le prime vittime furono i bambini, poi gli anziani seguiti dagli uomini e dalle donne mentre la denutrizione si espandeva a macchia d’olio con le conseguenti malattie. I sopravvissuti si nutrivano di ogni genere di piante e di animali, cani e gatti, a volte di cadaveri. Particolarmente colpita fu l’Ucraina con 3 milioni e mezzo di morti.
Uno dei primi a parlare di questa tragedia fu Solženitsyn che indicò la cifra dei morti per fame in 7 milioni. Nel marzo 2008 il Parlamento ucraino e 19 nazioni indipendenti hanno riconosciuto le azioni del governo sovietico in Ucraina nei primi anni Trenta come atto di genocidio.
Sin qui una parte di quanto ho scritto nel mio libro, ma come reagì Mussolini alla Grande congiuntura? Dato che il volume di imminente uscita riguarda la politica estera del Governo Mussolini, la politica interna, di cui appunto è parte la reazione alla grave crisi che investì il mondo, riguarda il mio precedente saggio Benito Mussolini nell’Italia dei miracoli. Generalmente non mi piace reclamizzare i miei lavori, ma dato che ancora oggi, se è permesso il sorgere di idee e proposte che portarono il mondo ad assistere ad atrocità di ogni genere e non mi riferisco solo alle idee staliniane, ma anche – e soprattutto – a quelle liberiste che per essere protagoniste incontrastate della gestione delle ricchezze mondiali, allora non vedo il motivo per non ricordare quanto di bene e di buono fece Benito Mussolini e il suo Regime.
Cito, per avviarmi alla conclusione, un giudizio di James Gregor, docente dell’Università di Berkeley, nel suo libro Interpretation of Fascism, l’Autore ricorda che la produzione industriale italiana, rapportata al 1913, salì di 81 punti negli anni della catastrofe economica. L’Italia sbalordì il mondo, scrive sempre James Gregor, presentando un aumento del 41% della produzione generale globale, superando quella francese (40%), quella tedesca (31%), quella americana (26%), quella inglese (16,5%). A questo si aggiunga che proprio in quegli anni il Regime offrì ai lavoratori e alle loro famiglie, una serie di proposte sociali, sino ad allora sconosciute non solo in Europa, ma nel mondo intero.
E ancora James Gregor attesta: .
Se è il confronto che convince…