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ISTAT: Narducci (PD): L’Italia arranca; preoccupante il fatto che 1 italiano su 4 è a rischio povertà 

Il diciannovesimo Rapporto annuale dell’Istat sulla situazione del Paese 2010, si apre quest’anno all’insegna di un concetto importante: la vulnerabilità.

Come ha sottolineato il presidente Giovannini ”il sistema Italia appare vulnerabile, e più vulnerabile di qualche anno fa.”.

La recessione che si è conclusa nell’aprile del 2009 può essere considerata sicuramente la più grave dal secondo dopoguerra

La ripresa è stata difficile discontinua e disomogenea: nell’Unione europea nel 2010 la crescita media è stata dell’1,8 per cento per l’insieme dell’area, risultato su cui ha pesato la forte espansione della Germania (3,6 per cento), mentre Francia e Italia hanno messo a segno incrementi decisamente più contenuti (1,6 e 1,3 per cento). I segnali di ripresa ormai sono vedenti ma piuttosto lenti.

L’eredità più pesante della crisi è rappresentata dal deterioramento dei conti pubblici, ma, l’Italia è riuscita a contenere nell’ultimo triennio l’aumento del rapporto tra debito e Pil a poco più di 15 punti percentuali. Nel nostro Paese la politica di bilancio non ha dovuto effettuare interventi di salvaguardia del sistema finanziario, relativamente poco esposto alla crisi del 2008. Nel decennio 2001-2010 l’Italia ha realizzato la peggiore performance produttiva tra tutti i Paesi dell’Unione europea, con un tasso medio annuo di aumento del Pil di appena lo 0,2 per cento, a fronte dell’1,1 per cento rilevato per l’area dell’euro.

L’Italia ha però pagato, a causa della recessione, un prezzo elevato in termini di produzione e di occupazione, ed ha limitato l’impatto sociale soprattutto grazie alla solida struttura socio familiare che caratterizza il paese.

Le conseguenze sull’occupazione sono state pesanti: tra il 2008 e il 2010 il numero di occupati è diminuito di 532 mila unità: in più della metà dei casi si tratta di residenti nel Mezzogiorno, perdite che hanno gravato maggiormente sulle fasce più deboli della società: i giovani e le donne.

Con la recessione circa metà della crescita osservata tra 2000 e 2008 per l’occupazione maschile è andata persa; d’altra parte, la flessione di quella femminile ha determinato l’interruzione della tendenza alla crescita della partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

I giovani (18-29 anni) sono stati i più colpiti dalla recessione, con una perdita di 482 mila unità nel biennio 2009-2010. Il tasso di occupazione specifico, già sceso tra il 2004 e il 2008 dal 49,7 al 47,7 per cento, è diminuito negli ultimi due anni di circa sei punti percentuali. Nel 2010 era occupato circa un giovane su due nel Nord e meno di tre su dieci nel Mezzogiorno.

Nel corso del 2010, a fronte della stabilità dell’occupazione femminile, è peggiorata la qualità del lavoro delle donne: è diminuita, infatti, l’occupazione qualificata, tecnica e operaia ed è aumentata quella a bassa specializzazione.

Lo sviluppo dell’occupazione femminile part time nel 2010 è stato prevalentemente di natura involontaria. Inoltre il 40 per cento delle laureate ha un lavoro che richiede una qualifica più bassa rispetto al titolo posseduto.

Le donne continuano a essere un pilastro fondamentale del sistema italiano di welfare, facendosi spesso carico di compiti altrove svolti dalle strutture pubbliche, con effetti non trascurabili sull’ammontare di lavoro che grava su di esse, soprattutto se sono occupate.

La crisi ha ampliato i divari tra l’Italia e l’Unione europea nella partecipazione delle donne al mercato del lavoro.

Le donne erogano due terzi degli oltre tre miliardi di ore destinate in un anno dalla rete informale all’aiuto di componenti di altre famiglie. Si assumono quindi un carico di lavoro familiare e di cura per compensare un sistema di ’welfare familiare’ debole, supplendo alle carenze del sistema pubblico.

Peraltro, le donne sono ancora troppo spesso costrette a uscire dal mercato del lavoro in occasione della nascita dei figli.

“L’Istat – ha detto l’on. Franco Narducci – mostra la fotografia di una Italia in salita, ancora alle prese con la crisi di fronte alla quale la famiglia comincia a non essere più in grado di assumere quel ruolo di ammortizzatore sociale che ha avuto sino ad ora, anche grazie al ruolo di aiuto svolto dalle donne.

Anzi, con la diminuzione del potere d’acquisto, le famiglie, per non tagliare ulteriormente i consumi, hanno dovuto attingere ai risparmi dando luogo a una progressiva erosione del tasso di risparmio, sceso per la prima volta al di sotto di quello delle altre grandi economie dell’Uem”.

“Si tratta di un’Italia che arranca per raggiungere gli obiettivi prefissati dalla “Strategia Europa 2020” – ha affermato l’on. Franco Narducci commentando i dati Istat e sottolineando che “purtroppo in nessuno degli standard prefissati il nostro Paese brilla per attuazione, ma su due in particolare risulta piuttosto indietro: spesa in ricerca e sviluppo e abbandoni scolastici. Tra i grandi Paesi dell'unione economica e monetaria dell’Unione europea, l'Italia ha subito la maggior caduta del prodotto insieme alla Germania, mostrando però, al contrario di quest’ultima, un recupero molto modesto”.

“Ci troviamo, dalla lettura dei dati, in un Paese in cui un quarto della popolazione è a rischio di povertà o di esclusione (24,7%),un dato preoccupante visto che siamo anche ad un valore più elevato della media europea (23,1%)” ha concluso Narducci.

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