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Habemus Palma?

Piange di gioia Moretti di fronte alla “standing ovation” alla fine della proiezione del suo “Habemus papam”, uno dei favoriti per Cannes 64, già accolto con grande favore alla proiezione per i giornalisti al mattino. Ma la gara sarà difficile e bisognerà vedere se Moretti la spunterà contro Malick, che pare abbia portato uno vero capolavoro, all’altezza de La sottile linea rossa. E c’è anche (oltre agli altri italiani), l’incognita Kin Ki-duk, che dopo essere stato designato tra i maestri più eretici e coraggiosi d’inizio millennio, con un nugolo di capolavori da lasciare senza fiato (Bad Guy, L’isola, Address Unknown, La samaritana), ha poco per volta perso completamente la propria vena espressiva, rinchiudendosi in una messa in scena onanista e del tutto autocelebrativa. Ma l’ultima opera, Arirang, sorta di auto-ritratto documentario – ma con una scrittura alle spalle tutt’altro che di secondaria importanza – in cui il regista coreano – dà libero sfogo a tutte le proprie recriminazioni verso un mondo che, a suo avviso, è troppo crudele per permettere la libera espressione artistica e potrebbe battere tutti sul filo di lana. I complimenti più significativi per Nanni Moretti erano già arrivati in conferenza stampa al mattino, da Michel Piccoli, 85 anni ed una vivacità ancora piena. “Potrei anche chiudere qui, appagato dopo un film così” dice grande attore francese, che con il suo Pontefice smarrito, si candida, per la Palma d’oro di miglior attore. A Piccoli, come nel film, bastano poche parole per far cascare l’uditorio ai suoi piedi. Nel film recita con una mimica facciale strepitosa, in conferenza regala ilarità quando racconta la sua adesione entusiasta al film e il provino che gli ha chiesto Moretti, o i 20 ciak (compreso quello al bistrot parigino, in uno dei primi incontri!) per l’urlo angosciato che annuncia la crisi del Pontefice appena eletto al Soglio. C’è la farà Moretti a vincere la Palma d’Oro per il film e anche quelle per protagonista e regia, con questa storia, girata con piani fissi morettiani, in cui Nanni torna con forza sul tema della profonda solitudine dell'essere umano, ma sa anche che non la si può ipostatizzare assolutizzandola. La forza del film è nel messaggio, che racconta appunto la forza di chi sa dire di no a Dio non per paura ma perché è convinto di non poterlo servire, attraverso l'umanità, come sarebbe necessario leggendo i segni dei tempi. Il Papa di Moretti si interroga e ci interroga, laici e credenti, pur facendolo con un cinema poco dinamico, molto “retrò” rispetto a questi tempi, ma che tuttavia è molto caro ai francesi. Non è certo la prima volta che Moretti chiude i suoi film su una nota interrogativa o comunque sulla constatazione di un horror vacui in cui tutti rischiano di perdersi. Qui però il discorso si fa molto più sfumato: perché più ambizioso e universale, ma anche perché più vago e alla fine irrisolto. Pur tuttavia, debbo riconoscere che, sebbene non sia un fan di Moretti, a questo film riconosco il merito di avere ricordato a noi tutti che avremmo bisogno di un pontefice con qualche dubbio in più, rispetto al papa tedesco dei dogmi e delle certezze dottrinali. In fondo se qualche dubbio ce l'ha avuto anche Cristo sulla croce, forse se li può concedere anche il capo della Chiesa. Ciò che ci convince meno è, al solito nel caso di Moretti, proprio lo stile (anche se lui dice di se stesso che “gira da Dio”), perché qualunque cosa egli voglia dire non ce lo dice chiaramente o lo dice con dispettosa nebbiosità. Un Papa disposto alla rinuncia per paura è una storia avvincente. Però avrebbe avuto bisogno di un regista più solido, più abile nel leggere i reconditi meandri dell’animo umano. Ci è riuscito Ignazio Silone in L’avventura d’un povero cristiano, descrivendo il dramma etico, religioso e politico di un Celestino V non pauroso anzi consapevole di aver compiuto un profondo gesto energico di lotta. Per questo film ci sarebbe voluto un incomunicabile, un introspettivo come Michelangelo Antonioni. Lui avrebbe saputo utilizzare la camera come un pennellata dal tratto vigoroso. Ma Antonioni è stato un grandissimo artista, mentre Moretti è ancora tutto intramezzato. Nei giochi ironici dei cardinali, avremmo preferito un Almodóvar o un Álex de la Iglesia. Le caricature sarebbero state più umoristiche, più sprezzanti, più ciniche ma anche più umane. Nel tentativo di non accusare nessuno, Moretti, finisce nell’esprimere poco e nulla e per giunta male. Parafrasiamolo senza indugio: non sarebbe male l’idea di un film su una rinuncia di un regista perché inadatto alla storia assegnata. Non solo il Papa può essere inadeguato ma pure un regista. La sua colpa più grave è quella di essere stato ambivalente. E’ un film di un ateo pentito. L’ateo vorrebbe ritornare nell’alveo della grande casa della cattolicità per sentirsi nuovamente al sicuro. Ma è troppo debole perché possa riuscirci, enormi le delusioni della sua vita. Tutto ciò su cui ha creduto: i grandi ideali, i grandi partiti, i girotondi, a mano mano sono tutti franati nella indifferenza. Tuttavia, va anche dato merito alla direzione di tutti gli attori, non solo quella magistrale di Michel Piccoli, ma anche la carrellata dei caratteristi che interpretano i cardinali, lui, lo psicanalista, che è del tutto credibile e, infine, Margherita Buy, sempre ottima, anche nei cammei.

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