Donne violentate e donne uccise, in varie circostanze e diversi luoghi del mondo, ogni giorno e per i più diversi motivi. Stuprata ed uccisa nel Bahrain la poetessa ventenne Ayat al-Ghermezi, aurtrice di poesie contro il regime, in prima fila durante le proteste in Piazza della Perla a Manama, dove recitò i suoi versi di fuoco contro il primo ministro Khalifah Ibn Salman. Secondo quanto dichiarato dalla famiglia, vittima di insulti, mail e lettere minatorie, Ayat, una volta recatasi dalla polizia a riferire delle minacce ricevute, è stata insultata anche dai funzionari. Alla fine di marzo le forze di sicurezza hanno realizzato due blitz in casa sua, minacciando la sua famiglia affinché fornisse informazioni su Ayat, minacciando che, in caso di silenzio, avrebbero “distrutto la casa con le proprie mani, come ordinato da funzionari di alto grado”. Così la famiglia ha confessato dove fosse e di lei non si sono avute più notizie. Quando sono iniziate le sue ricerche, la polizia ha detto alla famiglia di non sapere dove si trovasse e ha tentato di far firmare ai parenti una lettera che confermava la sua scomparsa. A metà aprile una telefonata anonima alla famiglia ha informato che Ayat era in coma in un ospedale militare. Al nosocomio i dottori hanno confermato che Ayat era entrata in coma dopo essere stata stuprata più volte. A nulla sono serviti gli sforzi dei medici per salvarle la vita e la poetessa è morta all'ospedale militare. E l’orrore si aggiunge al’orrore con l’assassinio, mediante sgozzamento, di una bellissima ragazza teramana, Carmela Rea, detta Melania, 29 anni, scomparsa il 18 aprile, quando si era allontanata dal pianoro di Colle San Marco di Ascoli Piceno, dove era salita con il marito Salvatore Parolisi, sottufficiale dell’esercito in servizio al 235/o Reggimento Piceno, e la loro bambina di 18 mesi e il cui cadavere orribilmente sfigurato è stato trovato l’altro ieri, dopo una telefonata anonima, a Ripe di Civitella, in provincia di Teramo, a 18 Km dalla zona della scomparsa, nei pressi di un’area militare usata per le esercitazioni di tiro. Le donne vengono violentate e uccise a tassi allarmanti in tutto il mondo e la stragrande maggioranza dei colpevoli non vengono assicurati alla giustizia. In queste ore ci giunge notizia di quattro donne violentate ed uccise in Eritrea, mentre Mustafa Abdul Jalil, presidente del Consiglio nazionale transitorio dei ribelli libici anti-Gheddafi, ha denunciato le violenze e gli assassini perpetrati sulle donne, da parte dei militari fedeli a Gheddafi. Sono passati 18 anni dalle parole di Kofi Annan a quelle di Ban Ki-Moon. Eppure il tono è sempre lo stesso, il fenomeno della violenza sulle donne rimane ancora un problema irrisolto, nonostante i mutamenti sociali, i diritti acquisiti e le leggi varate in questi anni. Il fenomeno e il concetto di violenza di genere hanno subito modifiche nel tempo, con l'evoluzione del contesto culturale, sociale ed istituzionale, ma le donne continuano ad essere violentate e uccise, in tutto il mondo. Sono 60 milioni le donne uccise in tutto il pianeta. Nella metà dei casi si tratta di bambine sotto i 15 anni. Uno studio del Centro di ricerca “Innocenti” di Firenze, ha calcolato che 60 milioni di donne in tutto il mondo sono state uccise dai mariti, padri, fidanzati o indotte al suicidio a causa delle continue violenze subite, con situazioni ben oltre i limiti della civiltà. In situazioni di guerra, da sempre, abusare delle donne è considerata una ricompensa dei soldati nonché un vero e proprio metodo di combattimento, volto a fiaccare la resistenza psicologica della popolazione. Con la risoluzione n. 1820 del 19 giugno 2008, le Nazioni Unite hanno inserito lo stupro fra le armi da guerra, impiegata per umiliare e spaventare, determinando lo spostamento di intere etnie in altri territori o il rispetto di determinate imposizioni. Casi di stupri di massa si sono registrati e si registrano tuttora nei territori dell'ex-Jugoslavia, della Cecenia, del Darfur, dell'Iraq e di molti altri paesi del mondo Da non trascurare anche lo stupro come metodo di tortura. Fra i casi più tristemente noti, si possono citare la vicenda di “stupro politico” di matrice neofascista di cui fu vittima Franca Rame, e le denunce mosse al governo cinese in materia di violazione dei diritti umani nei confronti delle donne appartenenti al movimento spirituale Fa Lun Gong. La violenza carnale è diventata in epoca contemporanea parte della strategia offensiva degli eserciti, una vera e propria arma per colpire la popolazione civile. Per lungo tempo sottovalutata, la violenza sulle donne ha rappresentato uno dei prezzi più alti che un popolo ha dovuto pagare per la sconfitta e l'occupazione militare. E il trauma delle vittime non sempre è stato superato, anche a causa della congiura del silenzio praticata da famigliari e comunità. Nel corso della guerra in Bosnia Erzegovina, lo stupro è stato utilizzato come strumento specifico di terrore all'interno delle campagne di pulizia etnica. L'analisi del ricorso sistematico alla violenza sessuale tuttavia, secondo diverse organizzazioni di vittime, porta a ridefinire l'intero conflitto come una guerra che, prima ancora che contro i gruppi etnici, è stata contro le donne. Il Tribunale Internazionale dell'Aja per la ex Jugoslavia ha perseguito specificamente i reati di stupro e riduzione in schiavitù sessuale in quanto crimini contro l'umanità. Questo orientamento è stato confermato dalla giurisprudenza internazionale, trovando riconoscimento anche all'interno dello Statuto di Roma della nuova Corte Penale Internazionale. Il primo verdetto espresso in questo senso da parte dei giudici dell'Aja è del 22 febbraio 2001. In giudizio c'erano i fatti di Foca, una delle cittadine bosniache il cui nome ricorre più spesso in questa particolare geografia dell'orrore. Il sistema organizzato in quell'area dalle forze serbo bosniache prevedeva una serie di centri di detenzione “de facto” nella cittadina e nei dintorni. A Foca c'era l'edificio cosiddetto “Partizan”, una sorta di palestra trasformata in luogo di detenzione per le donne bosniaco musulmane ridotte in schiavitù. Zoran Vukovic, Radomir Kovac e Dragoljub Kunarac furono i primi ad essere condannati dall'Aja per quei fatti, rispettivamente a 12, 20 e 28 anni di carcere. I tre, accusati di crimini di guerra e crimini contro l'umanità, furono giudicati colpevoli di stupro nei confronti di donne e ragazze, alcune di età tra i 12 e i 15 anni. Molte delle vittime dei campi di concentramento di Foca erano state fatte scomparire. Secondo Amnesty International, quel verdetto ha rappresentato un evento di importanza fondamentale sotto il profilo della difesa dei diritti umani delle donne, riconoscendo lo stupro e la riduzione in schiavitù sessuale come crimini contro l'umanità per i quali i perpetratori devono specificamente rispondere, e contrastando la teoria secondo cui la tortura delle donne rappresenti un fattore “intrinseco” alle guerre. Il verdetto per i fatti di Foca, peraltro, ha riconosciuto che la violenza sessuale subita dalle donne lì fatte prigioniere faceva parte di un piano sistematico e su larga scala di attacco contro la popolazione civile. E poi esiste la violenza fuori dai teatri di guerra, la violenza domestica, quella che ci circonda senza mostrarsi, nella vita comune. In Italia muore a causa di tale violenza una donna ogni quattro giorni, più che nelle guerre o durante una epidemia. Humayun Azad, prolifico scrittore bengalese, ha detto: “L'uomo vede donne come schiave e le crea tali. Qualche volta a causa di interessi personali o di paura può glorificarle come dee… ma è certamente un millantatore ed un bugiardo, nelle sue lodi”. Alla luce di questa citazione, rivolgersi alle donne come dee può essere davvero una crudele bugia nel contesto di quasi tutti i Paesi. Ad esempio in Bangldesh nel 2006, ben 6054 donne furono torturate o uccise; 967 furono stuprate e brutalmente torturate e tra di esse 248 furono vittime di stupro di gruppo e 170 furono uccise dopo essere state stuprate, mentre 478 altre donne si suicidarono. E questa orrenda mattanza senza fini continua ancora oggi, senza sosta, in tutto il mondo.