Thyssen, una sentenza che cambia tutto

LAVORO E DIRITTI

a cura di rassegna.it

Intervista a Sergio Bonetto, legale di parte civile degli operai. Una sentenza storica: riconosce che l'omicidio colposo è sanzione troppo generosa, e fa prevalere le aggravanti sulle attenuanti. I metodi di indagine sono stati decisivi

Intervista a cura di Antonio Fico

Sergio Bonetto è il legale di parte civile degli ex operai della ThyssenKrupp, primus inter pares nel collegio di avvocati che ha difeso le ragioni dei familiari e dei lavoratori nel processo. Nella sua lunga storia di avvocato, ha assunto la difesa dei familiari dei morti di amianto, nel primo grande processo alla Eternit negli anni 80, e sarà a giugno in aula nel nuovo processo all'Eternit.

Avvocato, perchè siamo in presenza di una sentenza storica?

Per tre motivi. Innanzitutto, riconosce che l'omicidio colposo è una sanzione troppo generosa – in certi casi. Inquadra una figura che è molto più frequente di quello che si crede, quella dell'imprenditore che è perfettamente cosciente di correre dei rischi, e ciò nonostante decide di farli correre comunque ai lavoratori. La colpa è la negligenza, qui siamo in presenza di qualcosa di più. Mentre negli incidenti stradali si è già riconosciuto da tempo il dolo eventuale, in materia di lavoro è la prima volta.

Con quali effetti concreti?

L'aggravio di pena, che rende effettiva la sanzione – la prigione in questo caso -, in un paese in cui a nessuno capita mai niente, malgrado responsabilità gravissime. Secondo aspetto: la Corte ha fatto prevalere le aggravanti sulle attenuanti. Questi signori sono incensurati, hanno un sacco di soldi, e quindi risarciscono il danno immediatamente, con un abbattimento di sanzione drammatico. La Corte ha ritenuto prevalenti le aggravanti sulle attenuanti. Terzo aspetto: la presenza degli operai esposti al rischio nel processo. Anche questa è una cosa mai vista, e la Corte lo ha risconosciuto.

Quando ha capito che questo processo avrebbe preso un altra piega rispetto a quelli senza colpevoli di cui è costellata la nostra storia giudiziaria?

Dalle indagini. Le indagini hanno rappresentato la fotografia del processo. Sono state condotte in modo innovativo, sul modello di quelle criminali, con i sequestri immediati e perquisizioni alle persone. E' stata la perquisizione all' amministatore delegato a portare nuovi elementi che altrimenti sarebbero scomparsi, come la relazione di Espenhan che ricostruiva l'accaduto. Lì si è capito che era stata la società italiana a decidere di non investire nelle misure di sicurezza, mentre in Germania avevano stanziato i soldi.

I momenti più complicati del dibattimento?

Il momento più difficile è stato l'inizio. C'era un clima estremo, eravamo nell'immediatezza dei fatti. E in questo senso, il presidente della Corte è stata veramente bravissimo a gestire il clima, mantenendo un atteggiamento ragionevolmente distaccato ma umano. All'inizio, è stato complicato gestire anche il dolore delle famiglie. Avevano accettato i soldi della Thyssen, togliendosi il diritto di parola nel processo, per bisogno, per mantenere i figli piccoli. Però in realtà, le madri, le sorelle questo comportamento non se lo sono mai perdonato. Avevano una carica di aggressività pazzesca, ce l'avevano con gli operai, li accusavano in certo senso di essere ancora vivi e con noi che pure tentavamo di rappresentare anche i loro figli. Poi, un poco alla volta siamo riusciti a ricomporre il gruppo degli operai e delle famiglie. Sono stati sempre presenti – implacabili – a tutte le udienze.

Quanto ha contribuito il fatto che fosse la Thyssen sotto accusa, e cioè un'azienda straniera?

Non c'è alcuna simpatia per i tedeschi, quando si pongono in questa maniera dura. La fabbrica era una vecchio stabilimento Fiat, non è nata con i tedeschi. Una cosa utile è stato chiamare i pompieri della Fiat, affinchè raccontasero come funzionava l'antincendio allora. E rapportarlo a come funzionava tre anni fa, con una squadra composta da gente che non non avevano fatto nemmeno dei corsi. E questo dice cosa è successo da quando sono arrivati questi signori.

Negli ultimi anni, lavoro e diritti sembrano essere in antitesi.

In questo senso, la sentenza va in controtendenza, rispetto a questa impostazione “marchionnesca”, che sta avendo un successo notevole. “O è così o vi chiudo”. Sono capaci tutti a fare gli eroi quando c'è un rapporto di forza di questo tipo. La sentenza rimette le cose in ordine, nel solco della Cassazione che dice: se non c'è proprio possibilità di mettere in sicurezza le cose, bisogna non lavorare. Tra il lavorare a rischio e il non lavorare è meglio non lavorare. E l'imprenditore che decide di correre il rischio, se ne assume le responsabilità.

Cosa cambia adesso?

A giugno riprende il processo alla Eternit. Faccio l'esempio dei risarcimenti: hanno dato 50 mila euro a quei dipendenti della Thyssen che sono stati esposti al rischio. Cosa devono dare ai cittadini di Casale e delle aree intorno agli stabilimenti esposti in modo permanente al rischio di cancro per venti anni? I signori della Eternit non solo hanno fatto i danni quando producevano, ma se ne sono andati lasciando tutto nella situazione in cui era. Non hanno fatto nulla per vent'anni, per rimediare al distastro che avevano provocato. E' normale in un paese normale? E' normale che lo Stato debba farsi carico di miliardi di bonifiche e loro se ne stanno tranquilli nei loro castelli in Belgio?

“La sicurezza è un lusso che non possiamo permetterci”. E' una battuta di Tremonti.

Abbiamo ragione noi, e lui ha torto. Qualche volta dobbiamo dire chi ha ragione. Non solo perchè c'è chi ha pagato con la vita. Io pretendo, con le regole che ci sono e con la società che c'è, che non sia in discussione che una persona che va a lavorare non deve lasciarci la pelle. E questo va ricordato non solo quando qualcuno muore, ma tutti i giorni.

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