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Mantovani nel Mondo alla Festa di Teofilo Folenghi

Maggiori informazioni IN THEOPHILI FOLENGI SIVE MERLINI COCAII
POETAE HONOREM FAVSTISSIMA CENA III
IL “MARTIRIO” DELLA VACCA CHIARINA NEL CONVENTO DEI FRATI DELLA MOTTELLA

GIOVEDI' 28 APRILE 2011 ORE 20,00
Centro “Sandro Pertini”, via Togliatti, 52
Mottella – San Giorgio di Mantova

Presenta la manifestazione il Sindaco di San Giorgio, Damiano Vicovaro.
Durante la cena Rodolfo Signorini leggerà e commenterà brani del “Baldus” di
Teofilo Folengo che porteranno i partecipanti a riscoprire ed apprezzare
piatti e sapori antichi della tradizione mantovana.
Intrattenimento musicale del Mantva Flute Quartet

Costo cena: 25,00 euro
Informazioni e prenotazioni presso Ufficio socio culturale del Comune di San
Giorgio di Mantova (tel: 0376 273114)

NOTA BIO-BIBLIOGRAFICA SU TEOFILO FOLENGO

di Rodolfo Signorini

Mantova/Cipata 8 novembre 1491-Campese di Bassano del Grappa, 9 dicembre
1544)

Gerolamo Folengo/Folenghi nacque dal notaio Federico e di Paola Ghisi, l'8
novembre 1491 a Mantova (ma secondo l'epitaffio, a Cipata, borgo un tempo
sulla sponda sinistra del Mincio, di fronte a Mantova), e, come i fratelli

Silvestro (agostiniano), Placido [benedettino a San Benedetto di Polirone
(oggi San Benedetto Po) nel 1495 e morto 15 anni dopo a Montecassino],
Ludovico (benedettino al Polirone nel 1497, nel 1517 abate di quel cenobio)
e Nicodemo (benedettino a Praglia nel 1502), scelse la via del chiostro.
Nel 1508 decise di entrare nella Congregazione di Monte Cassino e il 24
giugno 1509 a Brescia, nel monastero di Sant'Eufemia fece professione, e fu
dom Teofilo. Nel 1512 venne trasferito al Polirone e in altri cenobi
italiani. Forse nel 1513 fu nel monastero di Santa Giustina a Padova. Nel
1514 ancora a Brescia, in Santa Eufemia, dove rivestì la carica di
sub-cellerario, ossia di sottosoprintendente alla cantina e alla dispensa
del monastero. Nel 1517 fu a Cesena nel cenobio di Santa Maria del Monte, e
fra il 1520 e il 1524 nuovamente a San Benedetto di Polirone. Forse in
quegli anni soggiornò anche nel monastero di Pomposa.
Intorno al 1525 (forse per eterodossia religiosa, è del 1517 la rivolta
luterana) lasciò la Congregazione. Nel 1528 lo seguì il fratello Giovanni
Battista.
Teofilo entrò successivamente al servizio di Camillo di Paolo Orsini (1492 –
aprile 1559) – marchese di Atripalda e di Montefredane, principe di
Amatrice, signore di Mentana, Monterotondo e di Sermoneta, figlio di Paolo,
fratello di Fabio, padre di Giovanni, Latino e Paolo, capitano di ventura al
soldo della Serenissima – quale precettore di suo figlio Paolo. In seguito,
con il fratello Giovanni Battista, chiese di essere riammesso alla
Congregazione.
Per tre anni i due fratelli condussero vita eremitica nei monasteri di Monte
Conero (Ancona), di Tossicia [(Teramo) alle pendici del Gran Sasso], di
Monte Luco di Spoleto, di San Pietro a Crapolla (presso Torca, frazione del
comune di Massa Lubrense, in provincia di Napoli, sulla penisola
Sorrentina), dove ebbero contatti con il circolo evangelico fondato da Juan
de Valdés e conobbero la poetessa Vittoria Colonna.
Il 9 maggio 1534 i fratelli Folengo vennero riaccolti nella Congregazione
benedettina dal presidente, abate dom Leonardo Bevilacqua di Pontremoli, e
grazie all'intercessione del primo duca di Mantova, Federico II Gonzaga.
Teofilo fu quindi nominato parroco di San Benedetto di Capra, a Sulzano
(Brescia), sul lago d'Iseo, e visse nell'eremo di Santa Maria del Giogo fino
al 1539. Fu in quell'anno mandato a Palermo, nel monastero di San Martino
delle Scale, presso Monreale, e visse pure a Partinico (Palermo), nel
cenobio di Santa Maria delle Ciambre. Di là, nel 1542, tornò in
settentrione, nel monastero di Santa Croce di Campese (Bassano del Grappa),
dipendenza di San Benedetto di Polirone, nel quale si spense il 9 dicembre
1544, a soli 53 anni. Sfinito dallo studio piuttosto che dalla vecchiaia
(studio potius quam senio confectus), si legge nell'iscrizione celebrativa,
dettata dal genovese dom Angelo Grillo – abate di San Benedetto di
Polirione, poeta, amico di Torquato Tasso, autore di versi per Claudio
Monteverdi – e murata nella cappella funeraria del poeta, sita nella chiesa
del detto cenobio, dal lato del Vangelo.
Dom Teofilo fu prolifico autore in volgare, latino e macaronico, ma in
questa terza lingua portò ai vertici dell'arte la lingua fiorita
nell'Università di Padova, una sapiente mescidanza di volgare, dialetto e
latino, attenta alle norme grammaticali, sintattiche e metriche latine, che
ebbe in Tifi Odasi il primo cantore.
L'Opus macaronicum (Baldus, Zanitonella, Moschaea, Epigrammata) del Folengo,
vivo il poeta, che scelse di celarsi sotto lo pseudonimo di Merlin Cocai,
ebbe tre edizioni, a Venezia, nel 1517, (nota come “Paganini” dallo
stampatore Alessandro Paganini), nel 1521, a Toscolano del Garda
(“Toscolanense”) e dopo il 1535, a Venezia (“Cipadense”); la quarta,
postuma, vide la luce nel 1552, per i torchi veneziani degli eredi Ravani,
ed è detta la “Vigaso Cocaio” dall'autore della lettera di prefazione.
Opere in italiano: Orlandino (Venezia 1526); La humanità del figliuolo di
Dio (Venezia 1533) e La Palermitana (Palermo, 1876).
Opera in italiano, latino e macaronico, Chao del Triperuno (Venezia 1526).
Opere in latino: Varium Poema e Ianus editi assieme ai Pomiliones del
fratello Giovanni Battista (1533/34?), Hagiomachia, diciannove passiones di
santi màrtiri.
Opera in volgare, latino ed ebraico: Atto della Pinta (sacra
rappresentazione).

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TEOFILO FOLENGO, Baldus, VIII 348-445

Zambello beffato da fra Rocco e fra Baldracco, frati di Mottella; fine della
vacca Chiarina

Zambello, figlio di Berto Panada e di Dina, e fratello putativo di Baldo,
conduce a casa la sua bellissima vacca Chiarina. Due frati di Mottella, fra
Rocco e fra Baldracco gliela sottraggono con un imbroglio, persuadendo lo
stolto che Chiarina è una capra, non una vacca. I frati si portano via la
facile preda e finiranno per mangiarsela tutta assieme ai confratelli del
convento.
La scena del pasto è oltremodo grottesca. I versi onomatopeici consentono di
udire i frati azzannare feroci le carni, leccare come cani le brodaglie
nelle scodelle, trangugiare a gola aperta le polpe, spezzare gli ossi e
suggere il midollo, soffiare, ruttare: schioccano le labbra unte di grasso e
di lardo colante.
Anche Zambello è invitato a quella gozzoviglia e giura di non aver mai
mangiato carne migliore, sebbene gli passino ossi spolpati. Chiarina a poco
a poco scompare nelle fauci bestiali.
L'arte del Folengo raggiunge qui vertici insuperati di potenza icastica.

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