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La storia ci insegni a saper accogliere

Mentre il Mediterraneo è ancora una volta crocevia di fughe dalla miseria e dalla guerra e le immagini delle tragedie sconvolgono i nostri cuori, tornano alla mente le vicende che noi italiani emigrati abbiamo vissuto sulla nostra pelle e che pensavamo ormai appartenere solo alla memoria storica collettiva. Le immagini dei naufragi ci fanno ricordare la tragedia della nave Sirio del 1906, a Capo Palos, e quella del 27 della nave “Principessa Mafalda” in cui persero la vita 300 migranti italiani”.

Sul tema della memoria dell'emigrazione e quello dei profughi provenienti dalla Tunisia, ospitiamo la lettera commovente del Prof. Antonio Lerario, Presidente del Centro Nazionale della Bontà e soprattutto pugliese di nascita, la Regione che da anni sta dando prova di grande coraggio e solidarietà nell'accoglienza dei profughi da vari Paesi.

Agosto 1945. La 2° guerra mondiale è praticamente finita. La bomba atomica ha prodotto effetti devastanti sulle città, sulle nazioni disgregate e smarrite, sulle popolazioni lacerate nel corpo e nello spirito. Quell'arma micidiale ha provocato, in quel triste giorno, in Giappone 200.000 morti, senza contare, ulteriormente, quelli deceduti e nati deformi, a causa delle radiazioni atomiche.
Avevo 4 anni e vivevo in Puglia. La mia famiglia era numerosa e povera, come tutte le famiglie dei paesi limitrofi, non industrializzati. Mancavano luoghi di formazione e libera istruzione e soprattutto pane di grano. Crescevo nell'ignoranza, nella fame ed imbottito di idee fasciste: ero figlio “della Lupa”, a dispetto di mia madre che mi aveva generato e che, alla patria e al fascio, aveva consegnato (?) i miseri beni che circolavano in casa e la preziosa fede nuziale che scintillava nelle sue mani.

Cosa ero costretto ad apprendere nella Casa del Fascio? Un fasullo amor di patria e l'odio verso lo straniero, il negro soprattutto. Avevo paura di tutti quelli che mi accostavano, anche degli americani “liberatori”, i quali, cacciati dalla città i nazisti, in cambio della generosità profusa in cibo e in denaro, stupravano le più belle ed affascinanti ragazze del paese, le quali prima erano state preda dei nazisti.
Non ho avuto e non ho odio verso lo straniero, ma giuro di aver fatto fatica ad accettare tutti come fratelli da amare e come amici con cui vivere.
Gli anni, l'istruzione clandestina, la dignità acquisita hanno inculcato in me l'accettazione dell'altro e del diverso.
Anch'io ho provato il gusto amaro dell'emigrante all'interno alla mia Nazione. L'esperienza mi ha insegnato ad abbattere le barriere che mi rendevano estraneo ai connazionali e agli stranieri, soprattutto quando, all'Università Gregoriana, unico laico tra mille religiosi, ho dovuto relazionarmi con tedeschi, francesi, americani, cinesi, giapponesi, tutte persone intelligenti ed altamente globalizzate nello studio e nella fede.
La fede è stato il ponte che ha condotto alla reciproca comprensione e successivamente anche alla collaborazione nella scuola, nella ricerca scientifica e nella società civile. Il negro, il giallo, l'occhio a mandorla, l'ebreo, il musulmano, l'ateo, il protestante, il buddista molto mi hanno insegnato, molto hanno appreso.

In questa alterità si fonda il dialogo e la convivenza. Come può essere facilitata l'alterità se non con quegli strumenti che si chiamano: intercultura, interreligiosità, interlavoro?
Nel nostro paese sono approdati molti rumeni, cinesi, giapponesi. Sono giunti nelle nostre case clandestinamente, con documenti prodotti a suon di euro, forse depredati a noi stessi. Oggi, proprio questi immigrati, i quali “sanno come sa di sale il pane altrui” che lavorano intensamente, sfruttati e a prezzi irrisori, sono lentamente diventati piccoli imprenditori; le loro prospettive sono impensabili. Essi, maschi e femmine, sono quasi tutti giovani o giovanissimi che si mettono a confronto con i nostri nel lavoro, nell'amore, nelle varie attività professionali e culturali. Hanno calmierato i prezzi dei lavori manuali. Vederli nei mercatini, sui marciapiedi delle strade con le loro mercanzie più o meno falsificate, sono garanzia e stimolo ai nostri giovani, non assuefatti al sacrificio.

Oggi c'è l'emigrazione di massa delle popolazioni africane verso l'Italia, verso l'Europa, sospinte da ragioni politiche, religiose, da povertà, desiderio di espatriare, per impossibilità o incapacità di creare nel proprio paese centri di produzione. Non scacciamoli in maniera indiscriminata. Noi ed il mondo abbiamo bisogno di loro; loro hanno bisogno di noi, della nostra cultura.

Prof. Antonio Lerario
Presidente del Centro Nazionale della Bontà

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