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Emigrazione clandestina: paragoni strampalati

Gli sbarchi a Lampedusa e i problemi di accoglienza che comportano i fuggitivi dal Nord Africa possono a giusta ragione richiamare alla memoria gli sbarchi lungo le cose pugliesi degli albanesi che negli anni Novanta fuggivano dall’Albania. In vena di paragoni, alcuni giornalisti e politici propongono anche il richiamo dell’emigrazione italiana dell’Ottocento e di buona parte del Novecento. Ci sono in effetti delle analogie: si tratta infatti sempre di persone in fuga dalla miseria o in cerca di una vita migliore in altri Paesi ritenuti più prosperi. Ci sono però differenze fondamentali che non si possono dimenticare o minimizzare. Se infatti albanesi e nordafricani erano e sono per lo più immigrati «clandestini», non altrettanto si può dire degli italiani, con buona pace del giornalista Gian Antonio Stella e tutti coloro che invitano più o meno pateticamente a ricordarsi di quando eravamo noi gli albanesi e i nordafricani.
Paragoni strampalati
Mi sembra un errore storico e politico paragonare i flussi migratori dall’Albania e dal Nord Africa con quelli italiani dell’Ottocento e del Novecento. Intanto, quelli attuali sono concentrati nel breve periodo, quelli italiani nel lungo periodo. Inoltre, l’accoglienza talvolta ostile nei confronti degli immigrati italiani non era affatto dovuta alla loro (inesistente) clandestinità, quanto piuttosto al loro numero e ai loro comportamenti.
Sotto il profilo della legalità/clandestinità credo che sia opportuno fare un po’ di chiarezza. Qualificare l’emigrazione italiana come «clandestina» è un errore storico perché essa è sempre stata in larghissima misura legittima e regolare. Come non è sostenibile la tesi di una società «delinquenziale» perché ci sono in essa alcuni delinquenti, così non si può generalizzare l’emigrazione italiana sulla base di alcuni emigrati clandestini. Mentre l’immigrazione di questi giorni (come quella degli anni Novanta) è quasi interamente irregolare o clandestina, in tutta la storia ultracentenaria dell’emigrazione italiana i clandestini sono stati una minima parte, eccezioni e non la regola.
Gli italiani non potevano infatti imbarcarsi senza passaporto, neppure quando partivano «clandestinamente» dai porti francesi. In questi casi la «clandestinità» consisteva unicamente nel sottrarsi ad alcune limitazioni di carattere burocratico volute dai governi italiani dell’epoca per scoraggiare l’emigrazione. Basti pensare alla circolare Lanza del 1873 che introduceva una cauzione di quattrocento lire in contanti o di una garanzia da parte di terzi per poter pagare le spese di rimpatrio di chi non fosse in grado di pagarle direttamente. Ma quanti potevano disporre di una tale somma, visto che i salari dell’epoca erano bassissimi? Per questo molti, ma sempre eccezioni, piuttosto che imbarcarsi nei porti italiani, preferivano partire «clandestinamente» dai porti francesi. Ma erano soprattutto clandestini dal punto di vista dell’Italia, non dei Paesi di arrivo.
Inesistente o limitata l’emigrazione «clandestina» verso la Svizzera
Inoltre non va dimenticato che ai tempi della grande emigrazione italiana i Paesi di destinazione erano generalmente carenti di manodopera, per cui soprattutto i giovani erano benvenuti, soprattutto se già pratici di qualche attività professionale. Oggi invece, purtroppo, i Paesi occidentali devono ancora superare la crisi e devono far fronte a una disoccupazione giovanile spesso a due cifre, come in Italia.
Per di più l’Italia ha sempre avuto accordi d’emigrazione con quasi tutti i Paesi dov’erano diretti i flussi migratori italiani sia in America (Argentina, Uruguay, Brasile, Canada, ecc.) che in Australia e soprattutto in Europa (Francia, Belgio, Svizzera, Germania, Svezia, Olanda, ecc.). Con la Svizzera, poi, fin dal 1868 vigeva tra l’Italia e la Svizzera una sorta di accordo d’emigrazione che garantiva in sostanza la libera circolazione dei cittadini di entrambi gli Stati.
Durante una riunione italo-svizzera in cui la delegazione italiana si lamentava che la Svizzera lasciasse entrare troppi italiani «clandestini», la delegazione svizzera rispose che era solo una questione italiana se gli espatriati dovevano avere particolari autorizzazioni e timbri perché alla Svizzera era sufficiente un documento di riconoscimento (anche un passaporto turistico) e un contratto di lavoro.
L’immagine distorta di G.A. Stella
L’idea diffusa anche recentemente da Gian Antonio Stella con la sua brutta immagine dell’emigrazione italiana fatta di straccioni e delinquenti, «quando gli albanesi eravamo noi», non aiuta certo a capire quel che è stato il fenomeno migratorio italiano nel suo complesso. Non è pertanto condivisibile l’idea che dà dell’emigrazione italiana sottotitolando un capitolo del suo celebre saggio «L’orda»: «i nostri clandestini: via in massa oltre le Alpi e gli oceani».
L’emigrazione italiana fu ben altra cosa. Basti pensare alle sue realizzazioni anche solo in Svizzera. Proprio qualche giorno fa è stato ricordato il centenario della caduta del diaframma della galleria del Lötschberg. Ma i lavoratori italiani furono i veri protagonisti di tutte le altre grandi gallerie svizzere, a cominciare da quella San Gottardo, delle grandi infrastrutture idroelettriche, della rete autostradale, della grande urbanistica svizzera, della grande industria, ecc. Altro che clandestini!
Giovanni Longu
Berna 13.4.2011

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