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La povertà  della giustizia sociale

( L’articolo è apparso su “ The Catholic Thing ” )

Robert Royal

Diversi anni fa, il curatore di un’enciclopedia cattolica mi chiese di scrivere circa una dozzina di voci sulla dottrina sociale cattolica, tra le quali una sulla giustizia sociale. Feci una ricerca nella letteratura, ma scoprii che la giustizia sociale, se si può dire che esista veramente, è un’idea piuttosto logora.

Prima che scriviate una lettera di protesta: la dottrina sociale cattolica dice che abbiamo responsabilità di solidarietà verso gli altri e, in modo speciale, verso i poveri. Dobbiamo tutti riflettere seriamente su questo e agire di conseguenza. Ma Aristotele, Agostino, Tommaso d’Aquino e la tradizione cattolica tutta fino ai tempi recenti hanno parlato semplicemente di giustizia, che ha sempre a che fare con le relazioni sociali e, quindi, non ha bisogno di essere ravvivata con l’aggettivo “sociale”.

Quest’intera questione è molto importante perché, a parte l’ovvia urgenza di aiutare i poveri, i cattolici si sono sentiti dire per mezzo secolo che la “giustizia sociale” è una parte di pari valore – assieme alle attività pro-life – della protezione della vita umana. E noi dovremmo votare conseguentemente (quasi sempre a scapito di candidati pro-life ). Il problema è che è relativamente facile trovare il modo di proteggere i bambini nel grembo: non abortirli. Come aiutare i poveri è molto meno chiaro, specie in termini politici.

I cattolici della vecchia scuola hanno imparato che la giustizia si esplica in tre forme: commutativa, il giusto scambio tra due parti, dalla quale dipendono tutte le altre forme; distributiva, che richiede che i beni e i servizi vengano distribuiti ragionevolmente all’interno della comunità (il che è diverso dalla redistribuzione; gli schemi redistribuzionisti hanno condotto nel XX secolo a regimi molto iniqui, se non addirittura tirannici); la generale giustizia custodita nella legge.

La giustizia sociale scivolò verso le stesse assunzioni del socialismo, del marxismo e di altre forme di ingegneria sociale: la comune convinzione che esista un’analisi “scientifica” della società che ci autorizzi a stabilire “programmi” e “sistemi” (due parole che meritano sempre un approfondito scrutinio) che produrranno la giustizia sociale. In questa prospettiva, tutto quello che manca è la volontà – e i suoi avvocati spesso suggeriscono che forze oscure, tra le quali spiccano gli uomini d’affari, sono gli unici ostacoli.

Il disegno è stato piuttosto potente, anche all’interno della Chiesa, ma nell’attuale crisi economica, i “cani” della giustizia sociale non stanno abbaiando più di tanto. In Caritas in veritate , l’enciclica del 2009 di Benedetto XVI, l’espressione giustizia sociale appare solo in due punti. Nel primo, non prima della venticinquesima sezione del documento, ci si riferisce alle mutate circostanze della giustizia sociale (es: la globalizzazione significa posti di lavoro spediti all’estero che aiutano i poveri altrove, ma cosa ne sarà dei lavoratori nei Paesi sviluppati?); nella seconda quasi si identifica la giustizia sociale con valori che sono talvolta identificati come “pre-politici” come la fiducia e la solidarietà. Non vi è alcuna superficiale richiesta di giustizia sociale. La scelta di Benedetto di limitarsi a principi generali è saggia.

Dato che potreste averlo notato, anche nel voluminoso dibattito su una grande questione come l’attuale crisi economica non c’è molto accordo. Paul Krugman, premio Nobel, professore di economia a Princeton e opinionista del New York Times è apologetico nel sostenere che il massiccio stimolo economico (oltre 800 miliardi di dollari) è stato tristemente inadeguato. Altre illustri eminenze sono ugualmente accese nel sostenere che le spese massicce non solo hanno fatto poco, ma ci hanno ulteriormente allontanato dal riavviare la crescita industriale, la creazione di lavoro e la riduzione del debito.

Questo è un approccio vacillante, ma se si desidera discutere sulla giustizia – sociale o quale che sia – le cose sono ancor più complicate. I liberals e i conservatori si sono ugualmente arrabbiati nei confronti dei salvataggi di Wall Street, avvenuti mentre la gente rimaneva senza lavoro a Main Street. Il dibattito è ancora aperto sui tentativi di creare o preservare posti di lavoro direttamente – come nel caso del salvataggio di General Motors. Indubbiamente, il programma Cash for Clunkers dimostra nella piccola scala che si possono utilizzare cinque miliardi di soldi dei contribuenti e non fare nient’altro che incoraggiare le persone a anticipare di un po’ l’acquisto di automobili.

Ma ecco un rimando alla giustizia, perlomeno di antico stampo: come può essere giusto salvare un’impresa e non un’altra? Perché gli operai metalmeccanici di Detroit e i costruttori di pannelli solari ottengono aiuti finanziari per un periodo, mentre, ad esempio, i poveri lettori, collaboratori e editori di The Catholic Thing e gli stessi contribuenti non possono ottenere un aiuto? È giusto che alcune persone – un cinico potrebbe dire quelli con connessioni politiche, migliori lobbisti o qualche vantaggio di tipo ideologico – ottengano un trattamento differente sotto la legge?

Le organizzazioni private non ne sanno molto di più in materia di giustizia sociale. Catholic Charities USA , alla quale alla fine di ogni anno do un’offerta in sostegno della sua opera caritativa, ha fissato come obiettivo il dimezzamento della povertà entro il 2020. Una pia speranza, e sarò lieto se ciò si avvererà. Ma possono farcela?

Quando il presidente Johnson annunciò la “guerra contro la povertà” alla metà degli anni Sessanta, il tasso di povertà era attorno al 15%. Da allora è naturalmente fluttuato – scendendo a poco sopra il 10%, salendo di nuovo al 15% e attualmente è al 14,3% – quasi del tutto in relazione all’economia più che a qualsiasi cosa che i sostenitori della giustizia sociale abbiano mai fatto.

Spendere trilioni per la povertà avrebbe dovuto produrre alcuni effetti, cattivi in termine di disincentivi all’utilizzo del welfare , ma anche buoni sotto altri aspetti. (Lasciamo le questioni relative alla costituzionalità e all’avvedutezza di espandere governi che diffondono valori anti-cristiani a un’altra volta.) Ma qualcuno sa come dimezzare la povertà? Ciò significherebbe raggiungere un 7% senza precedenti storici. Le statistiche non sono mai del tutto scientifiche e non possono prevedere il futuro, ma non c’è alcun esperto di politiche a Washington o alla Kennedy School di Harvard che scommetterebbe il suo mutuo a riguardo.

Se la giustizia sociale è solo una questione di lobbying e di convincere le persone attive nel mondo degli affari e del governo a abbandonare le loro maniere egoiste e a adottare “programmi” e “strutture giuste” atte a eliminare la povertà – si spera non tutte quelle che sono fallite fino a oggi – perché è così difficile riuscire a dimezzare la povertà?

I sostenitori di ciò dicono che la nostra attenzione verso tutta la vita umana ci chiede di operare nell’ottica della giustizia sociale. Per quanto mi riguarda, sarei felice con la giustizia, ma, mentre siamo alle prese con problemi che nessuno sa come risolvere, non c’è alcuna scusa per non riuscire a affrontare la più grande questione odierna di giustizia che pure sapremmo come risolvere: il massacro di bambini innocenti.

Robert Royal è Senior Fellow del Centro Studi Tocqueville-Acton, Presidente del Faith & Reason Institute di Washington D.C. e Direttore responsabile di “ The Catholic Thing ”

Tradotto da Francesco Martini

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