Ampezzo, Italia

di Andrea Ermano

La piccola capitale di una repubblica partigiana dimenticata si chiama in lingua friulana Dimpeç, in italiano Ampezzo. Da non confondersi con Cortina d'Ampezzo, ubicata più a occidente, Ampezzo si trova in Carnia, zona montuosa da non confondersi a sua volta con la provincia autonoma di Cacania (Musil ci perdoni), il capoluogo della quale coincide con Bolzano, splendida città germanica che nel 1861 non faceva parte dell'Italia e che ancor oggi se ne sente attivamente estranea.

Anche il comune di Ampezzo si trovava in territorio austro-ungarico nel 1861, ma 150 anni dopo, il 17 marzo 2011, ha ugualmente celebrato l'Unità d'Italia, senza contropartite prebende regalie. E senza gli immancabili pianti coccodrilloni.

La gente della Carnia appartiene anch'essa a una minoranza che, quanto a tragedie novecentesche, ha patito non meno di altre. Nel 1916, per dire, s'è ritrovata in “profuganza”, cacciata dagli scarponi chiodati asburgici in avanzata nonché italiani in ritirata. Da Caporetto al Piave e ritorno.

Dopo le trincee del Grande macello venne l'ora del terremoto del 1928 (doppiato negli anni Settanta). Poi giunsero le leggi razziali; e la gente si chiese cos'avevano mai fatto di male gli Astori, gli Elia, i Giacobbi…

Infine, arrivò la Seconda guerra mondiale. E sul più bello il duce, in vena di generosità, fece dono alla Germania dell'intero Nordest; e subito il territorio della Carnia fu “girato” da Hitler ai Cosacchi, sulla cui tragica fine scriveranno Magris e Sgorlon. L'occupazione cosacca avvenne mentre mille gavette di ghiaccio ritornavano (o appunto non ritornavano) dalla campagna di Russia, come narra Rogoni Stern. Ad affrontare il “Generale inverno” il regime inviò non pochi ragazzi provenienti dalle rozze popolazioni di montagna che risultavano assai poco fascistizzate e per giunta dedite all'anticlericalismo, una qualità che rendeva particolarmente adatti a crepare in condizioni di temperatura estreme.

Non furono hitleriane, ma partigiane, salvo poche eccezioni, le nostre Alpi. E così fu anche la Repubblica libera della Carnia. Carnia che nell'Ottocento era divenuta una landa d'emigrazione. E tale rimase anche in seguito alla Seconda guerra mondiale, soprattutto nei riguardi degli ex partigiani. Non c'era posto per loro nella Nuova Italia che avevano contribuito a liberare.

Contro la marginalizzazione, lo sfruttamento indiscriminato delle acque, contro il conseguente dissesto idrogeologico, contro la massiccia occupazione del territorio da parte di pesanti servitù militari furono regalate alla gente queste parole alate: “Imparate le lingue e riprendete le vie del mondo”.

Liberi di dover partire, per dirla con Leo Zanier, loro ripresero le vie del mondo imparando le lingue, senza far casino, senza per esempio collocare bombe sui tralicci dell'alta tensione, di cui il territorio pur era ed è disseminato.

Di recente, quando si trattò d'istituire la provincia, la popolazione bocciò la proposta in un referendum perché è inutile moltiplicare enti inutili

Il 17 marzo 2011 Ampezzo ha festeggiato l'Unità d'Italia conferendo la cittadinanza onoraria a un vecchio agronomo, il quale – ai tempi in cui era un giovane agronomo, cioè tra l'estate del 1943 e la primavera del 1945 – fu chiamato a guidare la Repubblica Libera della Carnia.

Quell'agronomo ha oggi novantotto anni. Si chiama Romano Marchetti. Tra i suoi meriti di allora, in quanto presidente del governo partigiano, c'è indubbiamente la creazione di un “Comando unico” per le brigate Garibaldi e Osoppo.

Era entrato in contatto durante i primi anni di guerra con Fermo Solari e aveva aderito alle posizioni federaliste ed europeiste, di Giustizia e Libertà, propugnate sull'ADL da Ignazio Silone e sull'Avanti! clandestino da Eugenio Colorni.

Il governo Marchetti introdusse nella “Zona libera” il suffragio universale e la tassazione progressiva. Fu una piccola repubblica partigiana, circondata tutt’intorno dalle armate nazifasciste, ma resistette fedele alla propria ispirazione federalista, europeista e cosmopolita. Ed è nello spirito questi ideali che Ampezzo ha celebrato l'Unità d'Italia.

Non parlare di Ampezzo nel 150° dell’Unità d’Italia sarebbe un atto di viltà. L'ho capito qualche giorno fa al telefono proprio con Romano Marchetti che avevo chiamato, nell'anniversario della morte di Placido Rizzotto, per chiedergli se qualche ricordo si fosse conservato in Carnia di quel partigiano corleonese, rientrato in Sicilia dopo la Resistenza e assassinato dalla mafia il 10 marzo del 1948.

Nell'estate del '43, Placido Rizzotto era sergente degli alpini di stanza in Carnia e dopo l'8 settembre si arruolò nella Brigata Garibaldi, e contribuì alla difesa della Repubblica di Ampezzo.

C'è un'altra Italia tra Ampezzo e Corleone; dalla Repubblica Romana a quella della Val d'Ossola; da Mazzini e Garibaldi ai padri della Costituente; dalle vittime della violenza di qualunque colore ai mezzadri meridionali, agli operai della Fiat, dal movimento delle donne a quello degli studenti; dalle antiche organizzazioni degli emigranti a quelle nuove degli immigrati, i cui bambini devono poter divenire, se lo vogliono, i nostri connazionali di domani.

Penso qui, per esempio, ad Amal Sadki, la brava allieva ligure di origine marocchina che il Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano, ha voluto accanto a sé, come ospite d'onore, durante la cerimonia solenne al Quirinale. Grazie, Presidente. Viva l'Italia.

Amal Sadki con la sua insegnante, Patrizia Pavarini

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