Decisamente l'Italia non riesce a essere un Paese di immigrazione dopo essere stato per oltre un secolo una enorme fonte di emigrazione. Verrebbe da dire che, nonostante i suoi riconosciuti valori di umanità, il nostro Paese tenda a espellere più che ad accogliere, come se avesse perso completamente la memoria dei milioni di veneti, calabresi, siciliani, lombardi, emiliani, pugliesi, toscani, friulani, ecc. che dalla fine dell'Ottocento sono emigrati – spesso in condizioni drammatiche – ovunque nel mondo e in particolare nelle Americhe e nelle nazioni europee. Italiani che hanno pagato un prezzo altissimo e ora che sono diventati, con i loro discendenti, quasi ottanta milioni vengono ignorati dal loro Paese di origine, che non li considera, anzi li discrimina anche quando sono cittadini italiani come dimostra la vergognosa norma sull'assistenza sociale negata, in caso di rientro in Italia, contenuta in una legge votata dall'attuale maggioranza del Parlamento italiano. Se parlassimo di una persona fisica anziché di una nazione, sarebbe da consigliargli di sdraiarsi sul letto di uno psicanalista.
Ora non si discute d'altro che del temutissimo esodo dal nord dell'Africa. Ancora non sappiamo se ci sarà o no un'ondata d'urto di due-trecentomila nordafricani spinti dal vento rivoluzionario che sta attraversando Libia, Egitto, Tunisia e Algeria e già ci rivolgiamo disperati all'Europa, senza risparmiarle reprimende e contumelie varie, chiedendo che il peso sia distribuito equamente tra tutti i paesi dell'Unione.
L'Europa per inciso e indirettamente ci fa sapere che la Germania dopo la caduta del “Muro” e la crisi dei Balcani si è accollata trecentomila immigrati senza chiedere aiuto a nessuno, mentre la Svezia, che ha nove milioni di abitanti, non fa storie per ospitare tremila estoni e lettoni, e dunque l'Italia con i suoi sessanta milioni di abitanti non dovrebbe cadere in ginocchio se le arrivano in casa alcune migliaia di fuoriusciti. Il Belgio con poco più di dieci milioni di abitanti ha valutato 24 mila domande d'asilo, contro le 6 mila dell'Italia. La morale della favola è sempre la stessa: ancora non sappiamo e già incominciamo a “espellere”. Il nostro egoismo nazionale diviene così riflesso condizionato da far crescere a dismisura le nostre ingiustificate paure.
Intanto, vi è da dire che la nostra economia ha bisogno di un apporto d'immigrati certamente superiore a quello attuale. Molto più dei tre-quattro mila che ci può dare la paventata “invasione” di Lampedusa; occorre indubbiamente dare risposte tempestive in termini di organizzazione per accogliere gli immigrati, poiché la capienza del CIE di Lampedusa è già ampiamente superata e certamente l'iniziativa umanitaria messa in campo dal Governo è fondamentale per aiutare le popolazioni in loco e frenare le spinte all'esodo, ma sull'immigrazione credo vadano fatte riflessioni più ampie.
Gli economisti tedeschi calcolano che al loro Paese mancano ancora quasi otto milioni d'immigrati, su una popolazione di ottanta, per compensare la mancanza di giovani occupati che possano pagare le pensioni dei lavoratori in quiescenza e mantenere così in equilibrio il sistema socio-economico. Egualmente dovremmo renderci conto che alcune nostre fobie, segnatamente quella dello stravolgimento etico e culturale, sono infondate, dal momento che un recente studio – riferito all'Europa – ha stabilito che gli insediamenti di soggetti di fede musulmana nei nostri Paesi non potrà mai superare il 7% della popolazione complessiva.
Accade poi che nel bel mezzo dell'allarme “invasione” il Governo italiano stesso, segnatamente il Ministero del lavoro diretto da Maurizio Sacconi, chiede più immigrati: ne serviranno due milioni nei prossimi dieci anni per far fronte al fabbisogno di manodopera. Il recentissimo rapporto, risalente al 23 febbraio scorso, documenta con grande realismo il numero di immigrati occorrenti nei prossimi anni per far funzionare il sistema Italia.
Ma le riflessioni non finiscono qui. La popolazione italiana cresce solo grazie all'apporto degli immigrati. Le scuole chiudono un po' meno laddove i bambini sono soprattutto extracomunitari (e i nostri maestri e professori così lavorano). Di recente è stato rilevato che la maggior parte di piccole aziende che s'iscrivono alle camere di commercio italiane, dirette da giovani sotto i quarant'anni, per la maggior parte è composta da immigrati. E anche in Italia, in tempi non troppo remoti, si prevede che una parte importante del carico previdenziale sarà sostenuta in larga misura dai lavoratori dipendenti provenienti dall'estero.
D'altronde il futuro sta in quelle nazioni. I nostri vecchi Paesi a crescita zero guardano all'altra sponda del Mediterraneo nel quale si trova un continente, l'Africa appunto, in cui si concentra un'elevatissima percentuale della popolazione adolescenziale del mondo. La rivoluzione in atto nel Nord contro le vecchie oligarchie del continente nero è sostenuta proprio dalle giovani generazioni, con tassi di diplomi superiori e di lauree di quasi un terzo, con voglia di stili di vita occidentali e armati spesso solo degli strumenti informatici moderni che padroneggiamo come i loro coetanei europei. Ossia tutto il contrario di quell'islamismo medievale, bigotto e razzista che molti occidentali paventano.
L'Italia, la settima potenza industriale al mondo, dovrebbe adeguatamente cogliere il ventaglio di opportunità che si offrono, da un lato valorizzando la grande risorsa degli italiani nel mondo rafforzandone ulteriormente i legami e non discriminandoli anche nelle piccole cose (come la chiusura delle sedi consolari che costituiscono la soglia di accesso al nostro Paese), dall'altro ponendosi con una sua impronta politica al centro di questo evento storico che sta stravolgendo l'Africa del Nord. La Germania, quando vent'anni fa sono crollati il Muro di Berlino e il regime sovietico, non si è messa certo a piagnucolare o a chiedere aiuto a chicchessia, ma si è rimboccata le maniche gestendo economicamente e politicamente davanti al colosso russo questo vasto movimento di popoli, anch'essi disastrati economicamente e per giunta senza le materie prime dell'Africa del Nord, fino a essere quello che è oggi: un gigante non solo economico ma anche politico in Europa e nel mondo.
Guardiamo le cose in faccia: l'Europa in quanto a consistenza nazionale non è l'America e neanche la Cina, non sappiamo se lo sarà un giorno, e in generale recita un ruolo in parte distinto e in parete coordinato con l'America nello scacchiere politico internazionale. L'Italia, per ragioni storiche e di prossimità geografica, è chiamata ad essere un interlocutore di primo piano con il nord dell'Africa. Il mondo che segue l'evoluzione libica guarda nel contempo anche l'Italia. America, Germania, Francia e Inghilterra sembrano dirci con molta discrezione: “è il vostro momento”.
Perché balbettare una politica estera recandoci in Europa col cappello in mano come ha fatto il ministro dell'interno il quale si è giustificato agli occhi del Paese dicendo: “Pensate, proprio io sono stato il più europeista di tutti”? Come dire: a che punto mi sono umiliato.
Orbene facciamo in modo che le uniche cose che conosciamo dell'Africa non sia solo il “bunga bunga” che ha allietato le notti di noti personaggi.