Pericolo sventato: la mannaia del “taglia-leggi” Calderoli non ha abolito le norme contro i cibi adulterati

Chi mette in commercio cibi adulterati potrà essere perseguito ed essere condannato.
Secondo la Cassazione l’etichetta “taroccata” integra la tentata frode alimentare per chi vende merce scaduta
La Suprema Corte chiarisce ufficialmente i dubbi circa la presunta abrogazione della normativa istitutiva dei reati connessi con la messa in commercio e vendita di “cibi avariati” da parte della mannaia del “taglia-leggi” Roberto Calderoli” Ministro della Semplificazione o dell’Impunità, come lo avevamo definito due mesi or sono quando il procuratore della Repubblica di Torino Raffaele Guariniello aveva lanciato l’allarme circa il rischio connesso alla soppressione di tali reati a seguito dell’entrata in vigore della legge 246/05 (c.d. “taglia-leggi”).
Con la sentenza n. 9276 emessa dalla terza sezione penale della Cassazione le cui motivazioni sono state depositate il 9 marzo 2011, viene sostanzialmente affermato che le norme contro gli alimenti adulterati di cui alla legge 283/62 restano in vigore poiché per configurarsi il reato di tentata frode alimentare è sufficiente che il prodotto presenti una data di scadenza posteriore a quella vera.
Nonostante la normativa su cibi e bevande non sia espressamente indicata nell’elenco delle leggi da salvare, tale norma resta in vigore in quanto coerentemente a quanto stabilito dall’articolo 14 comma 17 della legge 246/05 (c.d. “taglia-leggi”) che disciplina in via generale l’esito delle leggi da mantenere in vigore, è stata esclusa dall’abrogazione la legge 441/63 modificativa della legge 283/62.
Per quanto riguarda in esplicito la violazione dell’articolo 515 del Codice penale, l’etichetta “truccata” può comportare comunque per il commerciante 1.000 euro di multa come già previsto. Secondo gli ermellini integra la tentata frode in commercio non l’effettiva messa in vendita del prodotto, ma è sufficiente che sia destinata alla commercializzazione la merce che per origine, provenienza, quantità o qualità non corrisponde a quanto indicato, ad esempio, dall’etichetta.
Ma i giudici di legittimità vanno oltre: ai fini della configurabilità del reato non bisogna, infatti, dimostrare che vi sia stata un’effettiva contrattazione fra l’esercente e il cliente e la fattispecie sussiste anche a seguito della semplice esposizione sul banco vendita. Ciò che conta, infatti, è la messa in vendita di aliud pro alio.
I consumatori possono tirare così un sospiro di sollievo sostiene Giovanni D’Agata, componente del Dipartimento Tematico Nazionale “Tutela del Consumatore” di Italia dei Valori e fondatore dello “Sportello dei Diritti”, mentre tutti quei lestofanti che pensavano di farla franca dopo la paventata abrogazione della disciplina sulla tutela della vendita degli alimenti potranno comunque essere perseguiti. Non ci resta che auspicare, però a questo punto un inasprimento delle pene dalla suddetta legge perché la salute dei cittadini è un bene primario per il quale tutt’oggi appare non sufficiente il deterrente rappresentato dalle esigue sanzioni previste in materia di messa in commercio di cibi adulterati o delle frodi alimentari in generale.

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