IL PROBLEMA DELL’OCCUPAZIONE

Nasconderlo non servirebbe a nulla. Da noi la piaga della disoccupazione non è ancora sotto controllo, né, tanto meno, eliminata. Eppure ci avevano garantito che, pur se con non pochi sacrifici, si sarebbero reperiti nuovi posti di lavoro. Berlusconi, con i tanti problemi personali e del suo Esecutivo, non c’è sembrato ancora preparato ad affrontare, per risolverlo, l’aspetto concretamente penoso del problema. E’ indubbio che i problemi correlati all’occupazione non sono solo politici, ma, soprattutto, di produttività. Il Capitalismo si è evoluto, ma non è cambiato nella sostanza: prima gli utili, poi il resto. Ovviamente, però, non può essere lo Stato a dare lavoro; almeno non a tutti i postulanti. Rottamate le ultime riflessioni sul “Capitale”, tanto care a Marx ed ex compagni comunisti, il meccanismo dell’occupazione si è inceppato in Italia, più che altrove. Con un indice di disoccupazione superiore all’8%, c’è poco da essere ottimisti. Di fatto, nel nostro consueto realismo, non ci siamo mai fatte illusioni. Tramontati anche i tempi del “Patto Sociale”, il fenomeno si è ripresentato in tutta la sua complessità. Ora, però, ci sembra indispensabile non trasformare il problema in “cronicità”. L’UE ci osserva e, a suo tempo, dovrà anche esprimere un giudizio sul nostro operato. Di fatto, anche chi ha la fortuna di lavorare ha retribuzioni inferiori a quelle della media europea e sul fronte previdenziale, strettamente dipendente dal mondo produttivo, siamo indietro. Troppo indietro per recuperare, anche alla natura scadenza di questa Legislatura, il tempo sprecato in rivendicazioni che, tra l’altro, hanno lacerato anche il fronte sindacale. In un Paese ove il numero dei pensionati è in costante aumento ed i posti di lavoro continuano a contrarsi, gli effetti potrebbero essere irreversibili nel giro di una decina d’anni. Alzata l’età pensionabile, si dovrà agire per ridurre il debito vitalizio nei confronti di chi avrà maturato il diritto della quiescenza. Come a scrivere che4 è venuto meno il cambio “fisiologico” tra chi ha concluso il suo ciclo lavorativo e chi lo dovrebbe iniziare. Del resto, l’inflazione superiore al 2% non favorisce per nulla l’auspicata inversione di tendenza. Non a caso, si continua a privilegiare i lavori “a tempo determinato”. Poi si vedrà. Così il futuro di chi è alla ricerca di un’occupazione è meno chiaro che per il passato. Ciò che s’evidenzia è il passaggio, incontrollato, da una crisi correlata alla crescita produttiva ad una recessione che non può più essere confrontata con quella che aveva imperversato nel recente passato in tutto il mondo. Resta, immutata, l’arte d’arrangiarsi e d’inventarsi un lavoro a reddito variabile. Anche questo 2011 non sembra promettere nulla di buono. Chi viveva bene continua a farlo. Chi viveva male, ora vive peggio. Da noi, purtroppo, non ci sono mai state vie mediane. Tirare a campare non giova a nessuno. Il mondo imprenditoriale italiano s’attivi per promuovere la competitività. I “puntelli” sociali, da soli, non riusciranno a dare dignità al mondo del lavoro.

Giorgio Brignola

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