di Giampiero Mughini
Quando nel gennaio 1970 sono arrivato a Roma dalla Sicilia, e non avevo un soldo in tasca, e cercavo disperatamente di fittare una casa alla portata del mio modestissimo budget di studente fuori corso, sentii parlare per la prima volta di appartamenti di proprietà degli “Enti”. Appartamenti, e a Roma ce n’erano tantissimi, che venivano offerti a condizioni più favorevoli di quelle di mercato. Ne avessi trovato uno e avessi potuto prenderlo in affitto, lo avrei fatto? Certo che sì, e di corsa. Solo che allora come oggi non avevo “conoscenze” né “entrature” né niente di niente. Sapevo, questo sì, di tantissimi amici che abitavano in quegli appartamenti il cui fitto era meno drammatico della media romana. Ricordo due di loro, due personaggi l’uno e l’altro adamantini. Un giornalista e un uomo politico. Naturalmente non ho la più pallida idea se in quei loro appartamenti pagassero l’80 o il 60 per cento di un affitto di mercato. E non è la stessa cosa. L’80 per cento va benissimo, il 60 niente affatto.Che gli appartamenti degli “Enti” siano fittati a un prezzo meno caro di quello di mercato è nell’ovvietà delle cose. E’ giusto che sia così. C’è dunque molta ferocia e molta legge della giungla nelle attuali e furibonde polemiche giornalistiche sulla “Fittopoli” milanese e romana, dove pure emergono situazioni allucinanti quanto ai prezzi di compera o di affitto di appartamenti di proprietà pubblica. Tanto più allucinanti oggi che il gravame di un mutuo o di un affitto è divenuto la pena sovrana di una famiglia media italiana.Riuscire a comperare ai prezzi di mercato tre-quattro stanze in un quartiere centrale di una grande città è divenuta un’impresa la più ardua, forse impossibile per le coppie più giovani che non hanno alle spalle una famiglia solida. E quanto ai fitti, qui attorno alla mia casa romana vedo un giorno sì e l’altro pure negozi e punti di vendita che chiudono, tramortiti da aumenti insostenibili dei fitti. A una garbata signora (che vive da sola con la figlia) che viveva degli affarucci di un piccolo negozio a cento metri da casa mia dove vendeva cibo e aggeggi per gli animali, il proprietario delle mura ha chiesto un raddoppio del fitto. Lei ha alzato bandiera bianca e ha mollato. Tragedie contemporanee.Detto questo, non è affatto di mio gusto il cannibalismo delle discussioni attuali dove il dito per ragioni politiche è puntato a modo di revolver contro questo o contro quello. La “sinistra” e la “destra” c’entrano niente con queste realtà. Com’è fin troppo ovvio, di privilegiati ce n’è in tutti gli schieramenti politici. Trovo ad esempio fin troppo accentuata la polemica che investe Giuliano Pisapia, l’uomo che è uscito vincente dalle primarie del Pd che dovevano indicare il candidato della sinistra alle prossime elezioni amministrative di Milano. Il fatto che la sua compagna una giornalista di Repubblica si giovasse di un appartamento di un “Ente” da lei fittato a un prezzo molto ma molto favorevole, non è lo stesso che una condanna penale.Pur con questa macchia veniale Pisapia resta una bravissima persona. Semmai mi ha colpito quel che ha scritto un giornalista che conosce bene la realtà di Milano, Filippo Facci. Ha scritto che la compagna di Pisapia avesse avuto l’indicazione di quell’appartamento da un sindaco socialista, Paolo Pillitteri. Poi, quando il Psi milanese era entrato nel vortice di Tangentopoli, anche lei aveva partecipato al massacro dei socialisti. S’era dimenticata che nel giro degli “amici degli amici” c’era stata anche lei. Una mancanza di lealtà che ai miei occhi non appare tanto veniale. Amici degli amici. Altro che sinistra e destra.