Maurizio Dusio: ritorno al “silenzio”

Fino al 18 marzo presso la galleria Zaion di Biella, saranno esposte le opere di Mauruzio Dusio artista novarese che ha collaborato a grandi progetti culturali a New york e Milano, dal titolo An Orpheus, ispirato alla poetica di Rainer Maria Rilke, condividendone il silenzio ed il suono, come possibilità di una speranza rigenerativa e di cambiamento di sè. L'artista sceglie di interpretare il mito senza rappresentarlo, ma solo fornendo suggestioni estetiche, come stralci di un poema più complesso, fatto di colore e della sua assenza, di luce e del suo contrario. E’ un elogio del Silenzio, in una società che non permette il dialogo con se stessi e nel quale si è perso il senso ed il significato delle parole che si possono riscattare solo nell’incontro interiore, per riallacciare quel filo archetipico con la nostra Ombra.

Come cita G. Dorfles nel suo libro sull’inciviltà del rumore, il silenzio è vissuto dalla maggior parte delle persone come un fantasma da cui fuggire. L’assenza dei rumori è luogo colmo di sottili linguaggi e significati dell’anima, nel quale molti per difendersi creano una «inarrestabile marea di suoni, di rumori, che rendono ogni giorno più intollerabile la società nella quale viviamo»….. “l’analisi dei conformismi della società contemporanea che tendono ad una costante standardizzazione del pensiero e del sentimento» tesa a massaggiare la mente e ad addormentare la coscienza omogeneizzando il gusto estetico del vivente per renderlo finanche «pronto ad accettare il dominio della peggiore delle dittature”.

Vivendo in una società nella quale è diventato sempre più importante l'essere presenti -dabei zu sein-, nelle persone si è lentamente incrementato un forte disorientamento che non permette più di riconoscere il senso dell’esistenza e delle leggi che regolano i rapporti tra gli uomini e la natura e dove si è perso il significato della pausa e del ritmo del quotidiano.

Anche l’Orfeo greco, inconsolabile per la perdita di Euridice, trova nel suo disperato silenzio il coraggio per sfidare il mondo dei morti ed il loro regno con il suono della lira e con la potenza pregnante della sua melodia, convincendo Caronte a lasciarlo oltrepassare lo Stige ed ottenendo il miracolo di ammansire Cerbero, realizzando la possibilità di presentarsi al cospetto di Ade e Persefone, per chiedere la “rinascita” nel mondo dei vivi della sua amata. Concessa la grazia, ma sfortunatamente resa impossibile a causa della caviglia ferita di Euridice, Orfeo si rinchiude nuovamente nel silenzio e nella musica per rigenerarsi e ritrovare se stesso.

Maurizio Dusio, racchiude in un cerchio le sue immagini, per sottolineare la sacralità interpretativa dei contenuti nella figura perfetta per eccellenza, simbolo di equilibrio cosmico, che caratterizza la morbidezza della forma della cetra, linea di confine tra un dove e un altrove, tra vita e morte, tra costruzione e distruzione, nel quale il mondo rappresentato dall’artista, è fatto di paesaggi della mente e della loro possibile esistenza.
Le sue opere sono atti fenomenici della materia che con le sfumature realizzate in nerofumo, catrame e cere, donano forma alle immagini interiori. I paesaggi presentati ricreano anche atmosfere notturne, altamente evocative, romantiche, con una reinterpretazione dell’encausto, tecnica pittorica antica, risalente ai tempi delle prime civiltà greche. Egli si spinge verso una ricerca tesa sempre più alla sottrazione di tutto ciò che è didascalico, verso esperienze di forme visive complesse e diversificate. “Esiste solo una prima relazione empatica nell’arte segnata bene dal termine Einfühlung….Empatia….questo termine bene lo sento accordarsi con il mondo della mia “intentio” poetica….” (M.Dusio).

da “I sonetti a Orfeo” di Rainer Maria Rilke

I.1

E si levò un albero. O elevazione pura.
Orfeo canta. O albero che nell'orecchio sale!
Ogni cosa taceva – ma era in quel silenzio
un incominciar nuovo, cenno, tramutamento.
Di silenzio animali dal chiaro bosco aperto
balzarono, da tane e fratte; e non
era astuzia o paura – si capiva – a tenerli
così raccolti in sé: ascoltavano solo.
Rugghi urli bramiti in fondo al cuore
impicciolivano. E dove una baita
trovavi a malapena, per accogliere,
un rifugio al più buio struggimento –
e a far da ingresso, pali che vacillano –
tu creasti nel loro udito un tempio.

Alla solitudine

Solitudine mia beata e santa,
così ricca sei tu, pura ed immensa
come un giardino che si desti all'alba.

Solitudine mia beata e santa!
Tieni sbarrate le tue porte d'oro
sì che attenda, di fuori, ogni altra cosa.

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