Antonello Confente, Vicepresidente dell'associazione Mantovani nel Mondo,
torna in Italia da Rio de Janeiro dopo 6 mesi (torna un paio di volte
all'anno). Qui è solo di passaggio, ma trascorre un tempo che pare sia
sufficiente a scattare una fotografia istantanea di chi le cose le vede
dall'esterno, sebbene conosca il cuore della questione, poiché è italiano
Al suo ritorno in Brasile, gli chiediamo di condividere qualche riflessione
sulle impressioni che ha avuto di questa Italia.
– Antonello, dopo questo tuo ultimo viaggio in Italia – appena concluso – e
ora che sei tornato al tuo ufficio di Rio, potresti confidarci quali sono le
tue impressioni personali rispetto all'Italia che hai trovato?
Dal punto di vista dell'economia, si conferma che l'Italia sta attraversando
una crisi dalla quale non sembra sia possibile vedere la fine del tunnel. Ti
posso dare un mio parere personale sui motivi della crisi europea. Si sono
create troppe regole che strangolano le PMI; tutti dovrebbero invece
procedere rispettando le stesse regole. Faccio un esempio banale per
spiegarmi. Un europeo e un cinese decidono di disputare una partita a
calcio. Soltanto che l'europeo, per dover rispettare le regole della
sicurezza, inizia a indossare il casco e tutta una serie di protezioni e
misure precauzionali, fino a diventare un portiere di hockey su ghiaccio.
Abbiamo così salvaguardato la sicurezza del giocatore secondo tutte le norme
vigenti, ma stiamo dimenticando che stiamo giocando a calcio e
principalmente che il suo avversario, non usando queste norme, è molto più
leggero e quindi darà un 100 a 0.
Dobbiamo quindi obbligare tutti alle stesse regole e, quindi tornando al
nostro caso, obbligare i produttori delle merci importate a seguire le
stesse regole imposte ai nostri produttori. Le nostre fabbriche chiudono,
lasciando la gente a casa che per un minore potere di acquisto compra il
cinese più economico creando cosi un circolo vizioso. Ho notato anche che la
corruzione è ritornata in Italia ai tempi di “mani pulite”.
– “Il Brasile è sicuramente uno dei paesi in via di sviluppo con maggiori
opportunità al mondo in questo momento”: caro Antonello, questa citazione
risale all'ultima intervista che ci hai rilasciato. La pensi ancora così,
benché questo periodo di crisi economico-finanziaria sia per così dire
“globale”?
La crisi in Brasile non esiste, anzi: il governo, per paura dell'inflazione,
mantiene i tassi di interesse altissimi e in questo modo evita che il PIL
superi il 10%. L'imprenditore italiano ha moltissime possibilità ma deve
capire che esiste una concorrenza feroce e standosene seduto in Italia
aspettando gli ordini dal Brasile non otterrà nulla. Non è questione di
prezzo, ma di network. Rio è molto più cara di Roma , Parigi o Milano a
causa dei fortissimi dazi doganali. Il più grosso ostacolo e limite per gli
italiani che pensando al Brasile come meta, è che è un Paese molto
protezionista. E' mia opinione personale, che in questo senso il governo
italiano dovrebbe prendere esempio.
– Antonello, tre buoni motivi per vivere a Rio de Janeiro, secondo la tua
esperienza, rispetto all'Italia?
Il clima, un'economia in forte crescita (Rio è la seconda città più
economicamente potente del Brasile). Una famiglia.
Antonella De Bonis
www.lombardinelmondo.org
Lil Dago's café
Dago è il dispregiativo che fu ampiamente usato in passato per offendere gli
italiani in America. Non che gli altri gruppi etnici fossero riveriti, ma
per gli italiani se ne coniarono molti, e non solo in America. E' difficile
risalire alle sue origini, e se qualcuno ricorre alla storpiatura del nome
maschile Diego, si può subito ribattere che Dago è un nome comune nella
marina britannica. Ad esempio era battezzato Dago il cargo salpato da Leith
in Gran Bretagna il 31 dicembre 1897 diretto a Baltimora, Maryland che dopo
essere incappato in una tempesta durata molti giorni affondò poche ore dopo
che l'equipaggio era stato salvato dal mercantile tedesco Aller. Omonimo
dell'altro cargo affondato dai tedeschi nel 1915 a Peniche, Portogallo. A
mischiare le carte ci hanno pensato pure gli inglesi che nel secondo
conflitto mondiale chiamavano la nostra flotta Dagonavy.
E allora perché per anni gli italiano sono stati Dago e hanno abitato a Dago
Hill? Forse perché avevano sempre il coltello tra le mani (sic) ovvero il
dagger?
Il menù di Lil Dago's Cafè al n. 29 di Seargent Prentiss Drive a Natchez,
Mississippi riporta diverse citazioni, che ho verificato, e suggeriscono
altre versioni. Pare che a Ellis Island agli italiani venisse dato un buono
valido per girare la città alla ricerca di un lavoro “A day pass to go” che
ben presto fu trasformato in Dago. Naturalmente sono speculazioni come
quella corrente che invece sostiene che gli italiani non si fidavano molto
dei datori di lavoro locali preferendo essere pagati alla fine della
giornata, prassi ancora in uso in molti settori, ovvero “As the days goes”
che ben presto divenne Dago.
Ma Dago Red è anche il titolo di una serie di racconti brevi pubblicato da
John Fante nel 1940, dove proprio Dago Red sta a significare, attraverso il
rosso del vino prodotto dai migranti, la forza delle tradizioni nonostante
tutte le avversità, capovolgendo la negatività che i nativi addossano loro
ingiustamente.
I tempi sono cambiati e i titoli dei giornali contenenti termini
dispregiativi sono sistematicamente bollati e bloccati dalla varie
organizzazioni italo americane che non tollerano più qualsiasi riferimento
diffamatorio e spesso gratuito nei loro confronti. Non che questo cancelli
l'infinita terminologia che tutti i gruppi prevalenti e non usano nei
confronti degli altri, e che penso sia meglio evitare di elencare.
Dopo le solite disquisizioni sul significato e sull'opportunità di
intitolare il locale Lil Dago's Cafè, Modie Mascagni offre ben altro.
Innanzitutto il locale è letteralmente tappezzato di fotografie che narrano
la storia delle famiglie modenesi e bolognesi reclutate per lavorare a
Mound, Louisiana e poi trasferitesi in parte a Natchez per formare la
piccola colonia di St. Catherines Creek che tuttora si raccoglie
periodicamente presso la Assumption Catholic Church. Per ricordare il loro
retaggio Modie e Charles junior preparano anche quest'anno centinaia di
tortellini vecchia maniera per festeggiare Capodanno assieme ai discendenti
delle famiglie originarie e ancora in stretto contatto tra di loro :
Stallone, Baroni, Verrucchi, Gamberi, Rouse, Viccinelli, May, Dellalio e
Boschieri.
Il ristorante è prettamente italo americano con un menù molto famigliare. I
ravioli e gli spaghetti la fanno da padrone con le immancabili polpette
(meatballs). Siamo nel sud, non lontanissimi da New Orleans e così i piatti
di pollo oscurano la carne, anzi i sandwich sono impareggiabili. Il Po' Boy
della Louisiana ovvero ripieno di carne sfilacciata o gamberi non manca mai,
come pure la muffoletta, il gigantesco panino inventato dai siciliani di New
Orleans che contiene insalata di olive con strati di capocollo,salame,
provolone, mortadella e senape lungo fino a 25 centimetri.
Come spesso succede il ristorante non ha la licenza per vendere vino ed è un
vero peccato, ma so che provvederanno presto. Purtroppo in questo sperduto
angolo d'America, terra del cotone e della soia, i vigneti sono sconosciuti
e fa caldo. Meglio quindi la birra.
America lontana, dove Lil Dago's ricorda in realtà la tenerezza della mamma
irlandese di Modie, che aveva il suo bel daffare a crescere “sei piccoli
dago”, che forse erano piuttosto sei piccoli diavoletti.
Ernesto R Milani
Ernesto.milani@gmail.com
www.lombardinelmondo.org
Il “Self made man” lombardo: Luigi Fasoli
Luigi Fasoli giunse dall'Italia il 13 novembre 1911, in seconda classe sulla
nave “Principe di Udine”, partita dal porto di Genova.
Aveva 18 anni e veniva registrato come industriale, celibe, di religione
sconosciuta e istruito.
Era nato a Mandello del Lario (Como), in Lombardia. Nel 1914, con suo
fratello Battista, si trasferi ad Aurelia (Santa Fe) a lavorare come
salumiere per conto proprio.
L'anno seguente entrambi si recavano a Rafaela, la terza città della
provincia, e si stabilivano in via Luigi Fanti.
Nel 1916 acquisirono i terreni in cui, ancora oggi, si trova il deposito
frigorifico. Un anno dopo avevano 200 operai.
I fratelli Fasoli furono soci dal 1914 al 1925. Poi lo stabilimento diventò
Società Anonima, cui direttorio fu presieduto da Luigi Fasoli fino alla sua
scomparsa avvenuta l'1 ottobre 1956.
Nell'azienda si faceva di tutto. Tra l'altro c' era officina meccanica,
maniscalco, selleria, segheria e falegnameria.
Facevano pure il ghiaccio, murature, pitture e calzature come i zoccoli con
cui lavoravano i polacchi all'interno delle camere frigorifiche.
Quello che andava perso era solo l'urlo dell'animale…
Man mano che le vendite dei prodotti crescevano, si faceva necessario
ampliare gli impianti.
Ciò avvenne nel 1944 quando venne costruito un edificio a sei piani e tre
sottosuoli in un terreno di quattro ettari.
In quell'anno cominciarono le esportazioni di carni preparate apposta per
l'Europa, devastata dalla seconda guerra mondiale.
Con il tempo, lo stabilimento diventerà uno dei più importante del
Sudamerica ed una fonte di lavoro sia per la Città sia per la regione.
I prodotti col marchio “Lario” ancora oggi sono tra i più pregiati del
mercato argentino e latinoamericano.
Jorge Garrappa Albani – Redazione Portale Lombardi nel Mondo-06/01/2011
www.lombardinelmondo.org – jgarrappa@hotmail.com
Il Messico è un'avventura possibile Fabrizio Lorusso fino a otto anni fa
viveva tra la Bovisa e Quarto Oggiaro, a Milano. Oggi, che ha 33 anni, vive
a Città del Messico, contento di aver seguito i sogni inquieti emersi da una
laurea in storia dell'economia messicana del XX secolo alla Facoltà di
Economia aziendale della Università Bocconi di Milano.
Insomma, Fabrizio era già innamorato dell'America Latina, già cervello in
fuga, già predisposto per tentare l'avventura a 25 anni. “Ho deciso di
trasferirmi per eventualmente entrare in un dottorato di ricerca e mi sono
messo a insegnare italiano per avere garanzie economiche”. E oggi appunto,
anche se da precario con contratto rinnovabile di cinque mesi in cinque
mesi, Fabrizio è professore all'Istituto italiano di Cultura della capitale
messicana mentre ha già conseguito una “Maestria in studi Latinoamericani”
all'Università Nazionale Autonoma del Messico e tra un anno terminerà il
dottorato in Studi Latinoamericani (studia il modello della business school)
della stessa università.
Intanto, tra l'insegnamento di 15 ore settimanali, qualche traduzione,
l'inizio di una carriera giornalistica come esperto dell'America Latina (e
in particolare del Messico) per l'Italia, un blog seguitissimo dagli
italiani con la voglia di fuggire sulle spiagge bianche di Cancun, fa una
prima riflessione:”Qui ci si può inventare attività legate alla lingua madre
e in un semestre il lavoro lo trovi”.
L'esperienza e i titoli che Fabrizio già possedeva gli hanno facilitato
l'ingresso all'Istituto italiano di Cultura, ma lui era partito così, senza
pensarci troppo su: “Sapevo lo spagnolo, avevo già fatto uno scambio
accademico in un bel posto come questo, e sapevo che sarei potuto
sopravvivere anche senza fare nulla”.
Aveva già insegnato alla Dante Alighieri (la più prestigiosa scuola italiana
all'estero) e attualmente il suo permesso in Messico è di studente e perciò
non definitivo.
Nonostante che Fabrizio sia già un bel cervello in economia e politica
dell'America Latina, sta specializzandosi sulle future classi dirigenti e il
loro modo di studiare, in sostanza il livello educativo in ambito economico
di questi paesi. Detta così sembrerebbe una formazione talmente alta da
consentirgli di trovare immediata occupazione in Italia.
D- Che progetti hai una volta terminato il dottorato?
R- “Qui ci sono indubbiamente più possibilità di lavoro nelle Università
pubbliche. In Italia è tutto incerto. Io, comunque, lascio un barlume di
speranza al rientro”.
D- Come si vive in Messico?
R- “E' un Paese progressista e la mentalità sta cambiando. Ci sono tante
coppie aperte, matrimoni gay, l'aborto è legalizzato,. L'uomo italiano si
può trovare anche molto bene con una donna messicana che è di temperamento
geloso e affettuoso insieme. Certo il contrario, cioè una donna italiana con
un uomo messicano, è un rapporto più difficile”.
Fabrizio risparmia sulle spese condividendo l'appartamento con una amica
messicana, ma prima erano in tre: c'era anche un italiano con loro che da
quando ha trovato l'anima gemella e si è sposato, li ha lasciati soli.
D- E la delinquenza lì non ti fa paura?
R- “A me non è mai successo niente. Certo esiste, e il problema più grave è
quello dei sequestri-lampo che possono essere di pochi minuti o diventare
anche lunghi una settimana. Finchè non paghi”.
D- Nostalgie dell'Italia?
R- “A volte mi mancano alcune persone, o la famiglia o gli amici. Mi mancano
alcuni luoghi, alcuni ricordi, le persone dell'Europa. Ma non è un amore
esclusivo”.
D- Ti senti italiano al 100%?
R- “Visto dai messicani io sono lo stereotipo dell'italiano. Non sono
nazionalista, ma un po' di folclore ovviamente rappresenta anche me. Quando
vivi all'estero resti una persona affascinante per gli altri e sei
affascinato dagli altri anche dopo tanti anni, In fondo è un bel vantaggio.
Io però, personalmente, mi sento un abitante della Bovisa, di Milano, della
Lombardia e anche del Messico”
A cura di Bruna Bianchi
Fonte: voglioviverecosi.com