A colloquio con Bellono (Fiom Torino): “Mirafiori ha una storia importante; ma attenzione, non è che lì oggi la Fiom sia molto forte. Non ero alla mia prima assemblea: be', debbo dire che mai come in questo caso ho trovato una sintonia così alta con i lavoratori”.
di Giovanni Rispoli
“Cosa penso? Che i lavoratori hanno sempre sentito i nostri delegati al loro fianco, un fatto che hanno molto apprezzato”. Federico Bellono, segretario generale della Fiom di Torino e provincia, ha seguito passo passo la vertenza di Mirafiori. Gli abbiamo chiesto una valutazione sul che fare, adesso, dopo il bel risultato ottenuto dal no; ma, prima ancora, di raccontarci come a quel voto si è arrivati, del rapporto costruito nelle ultime settimane con gli operai dello stabilimento torinese, soprattutto del clima nelle ore cruciali, quelle che hanno preceduto il referendum.
“Lunedì 10 – racconta –, quando il primo scaglione di lavoratori rientrava dalla cassa integrazione, noi eravamo già davanti ai cancelli. Le altre organizzazioni non c'erano: una volta firmato l'accordo, la sensazione è stata che si fossero messe da parte per lasciare campo libero all'azienda. Un'idea confermata dal fatto che mercoledì 12, ormai in fabbrica c'erano tutti, preoccupandosi delle nostre iniziative per il giorno successivo, a fare le assemblee è stata la Fiat”.
Assemblee? “Sì, perché non eravamo più di fronte alle prevedibili pressioni sui singoli lavoratori (poi c'è stato anche questo, naturalmente), ma di assemblee vere e proprie, con i capi che hanno convocato gli operai a gruppi per illustrare, a modo loro, l'accordo. Un fatto che ovviamente i lavoratori non hanno vissuto bene: a spiegare le ragioni del sì non erano i sindacati firmatari ma direttamente l'azienda”.
Il giorno successivo, le assemblee della Fiom. “Che sono state un passaggio determinante. Anche dal punto di vista emotivo, del rapporto personale con i lavoratori. Guarda che noi avevamo fatto già le assemblee un mese prima, quando la trattativa era interrotta. Un appuntamento completamente diverso, dove le persone intervenivano per chiedere chiarimenti. Nelle discussioni organizzate il 13, invece, poi la sera si è cominciato a votare, il clima era cambiato completamente”.
In che senso? “I lavoratori erano ormai pienamente consapevoli di quel che l'accordo significava. Non c'era quasi più niente da spiegare. La richiesta che è venuta è stata un'altra, diversa: 'Andate avanti, tenete duro'. E a spronarci non era solo chi esplicitamente si dichiarava per il no; erano anche molti di coloro, accolti con il massimo rispetto, che ci parlavano delle loro ansie, che erano angosciati per il lavoro, che per questo avrebbero votato sì”. Un sentimento forte di vicinanza: non solo della Fiom nei confronti degli operai ma degli operai nei confronti della Fiom. “Un sentimento che non era affatto scontato, quello verso di noi. Mirafiori è una fabbrica con una storia e una tradizione sindacale importante, inutile dirlo; ma attenzione, non è che lì oggi la Fiom sia molto forte. Non ero alla mia prima assemblea, qualcuna nel tempo l'ho vissuta: beh, debbo dire che mai come in questo caso ho trovato una sintonia così alta con i lavoratori”.
“Una sintonia – prosegue Bellono – realizzata intorno a una questione precisa: il merito dell'accordo.Vedi, tutta la discussione che è ruotata intorno a Mirafiori, anche a sinistra, ha avuto secondo me un grosso limite: si è sottovalutato il dato di realtà, quel che l'accordo molto concretamente prevedeva. Noi, lì, stavamo parlando con lavoratori a cui, insieme a un peggioramento della condizione, verranno negati alcuni fondamentali diritti. E questo, per la vita quotidiana di ognuno, è decisivo. Ripeto, anche a sinistra, nel corso della discussione che c'è stata, abbiamo avuto una reazione del tipo: vabbè, però bisogna salvare l'investimento, poi il problema della rappresentanza lo risolviamo. Sbagliato: una lettura miope, superficiale. Perché la qualità della condizione, i diritti, il modo come il lavoro viene trattato non è che lo recuperi con l'investimento. È il modello che non va, perché è un modello autoritario. E da questo, in primis la Fiat, si dovrebbe ricavare qualche insegnamento”.
In che senso? “L'azienda va governata: pensare che sia possibile insistendo su un testo che la condizione di lavoro, il diritto di sciopero e la rappresentanza li definisce nei termini che conosciamo mi sembra ben difficile”. Il futuro? “Ora bisogna incalzare la Fiat sull'investimento; e su questo possono esserci anche delle convergenze. Ma fare attenzione ai lavoratori, al loro malessere, lanciare un segnale alla Fiom sarebbe un fatto di saggezza. Quello di Mirafiori non è stato un referendum politico: sì, no, poi si va avanti secondo le indicazioni delle urne. No, qui con quei lavoratori, i tanti che hanno rifiutato l'accordo, bisogna trovare un equilibrio. Guardare avanti non significa aggirare l'insieme di questioni che nel voto sono esplose”.
In pratica? insistiamo. “Da qui all'avvio delle nuove attività manca più di un anno – risponde il segretario Fiom –.Allora l'intera vicenda può essere innanzitutto un'occasione per trovare una soluzione al problema della rappresentanza. In secondo luogo bisognerà incalzare la Fiat sul piano industriale: e questo, io credo, potrà permetterci di ritornare sul merito dell'accordo. In ogni caso sarà bene esplorare anche le vie legali, visto il salto in peggio che Mirafiori rappresenta rispetto a Pomigliano. Per bloccare un disegno che riteniamo negativo nessuna strada va esclusa”. Ora c'è lo sciopero generale del 28 gennaio. “La sua riuscita è essenziale. A sostegno dei lavoratori di Mirafiori e perché la rottura di Fiat con Confindustria è appunto una rottura, non un fatto tattico – conclude Bellono –. Bisogna impedire che si avvii un meccanismo di imitazione che sarebbe, per tutti, deleterio”.