La punizione dei magistrati e la rissa istituzionale nel Paese del compromesso

Non solo lo ha detto, ma intende farlo: punire cioè quei magistrati rei di ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche e conversazioni. Secondo quanto ricostruisce oggi La Repubblica, che si avvale delle notizie diramate dall’agenzia Dire, lo scorso 28 ottobre, due giorni dopo l'esplosione dell'affare Ruby, a firma del parlamentare Pdl Vitali, sottoscritta da altri 29 parlamentari tra cui Cirielli, Cassinelli, Lehner, è stata redatta una proposta di legge dal titolo più che esplicito: “Introduzione dell'articolo 315-bis del codice di procedura penale, concernente la riparazione per ingiusta intercettazione di comunicazioni telefoniche o di conversazioni”. E, dicono sempre su Repubblica, a leggere i cinque articoli del il progetto di legge, sembra proprio che esso sia stato pensato per il caso Ruby e, se venisse approvato dal Parlamento, metterebbe un serio freno all'uso delle intercettazioni da parte dei magistrati, che potrebbero incorrere in pesanti sanzioni. La proposta è stata consegnata direttamente nelle mani di Silvio Berlusconi, che ora la sta valutando, il giorno della riunione con i deputati-avvocati del Pdl. Come scrive on-line Quotidiano.net, i punti principali della proposta sono i seguenti: i pm e i gip non competenti territorialmente e funzionalmente non potranno più autorizzare intercettazioni, pena provvedimenti disciplinari stabiliti dal ministro della Giustizia. In caso di assoluzione in un processo, l’imputato, ma anche tutti i testimoni finiti nelle intercettazioni ‘spiattellate’ sui giornali, avranno diritto a un risarcimento di 100 mila euro, che sarà sborsato di tasca propria dai pm dopo sentenza “di responsabilità contabile” della Corte dei conti. Ma la vera ‘chicca’ è la norma transitoria che rende la legge retroattiva: avranno diritto al risarcimento anche coloro che sono stati coinvolti in indagini risalenti a 5 anni prima della sua entrata in vigore. I provvedimenti disciplinari, secondo l’articolo 4 della proposta, saranno valutati dal ministro della Giustizia e dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, anche su sollecitazione di coloro che sono stati ‘spiati’ ingiustamente. Se i magistrati risulteranno ‘punibili’, allora la Corte dei Conti promuoverà il giudizio di responsabilità contabile nei confronti del pubblico ministero e del giudice per le indagini preliminari che hanno rispettivamente richiesto, autorizzato ed eventualmente prorogato l’ingiusta intercettazione”. In pratica, se lo Stato dovrà risarcire, saranno i magistrati a sborsare di tasca propria. E Gianfranco Fini torna a chiedere le dimissioni di Silvio Berlusconi, rinfocolando quella che è ormai una vera e propria rissa istituzionale. In un'intervista al Corriere Adriatico, alla vigilia del primo congresso Fli delle Marche, Fini insiste per le dimissioni del premier, aprendo un botta e risposta al veleno tra i Pdl e il Terzo Polo. “L'equilibrio fra poteri e funzioni dello Stato è l'essenza della democrazia. E ci deve essere sempre rispetto tra gli esponenti delle varie istituzioni. Il potere politico non deve temere diminuzioni di autorità o di sovranità dalle inchieste dei giudici. Se esistono patologie nel sistema, queste patologie devono poter emergere, nella fisiologia e nella normalità dei rapporti istituzionali”, ha detto Fini, che ha poi denunciato”la concezione patrimoniale e para-feudale della politica”, che a suo avviso anima il Pdl. Naturalmente dal Pdl insorgono e tornano a dire che è lui, Fini, a doversi dimettere da Presidente del Parlamento, mentre il ministro della Giustizia, Angelino Alfano, non ha dubbi: Berlusconi si recherà dal suo giudice naturale se e quando sarà il momento, perché – dice il Guardasigilli che ha dato il nome al Lodo che voleva sospendere i processi delle quattro più alte cariche dello Stato, ma che è stato bocciato dalla Consulta – “non si è mai sottratto ai giudici”. Il vero problema, per il ministro, è che il governo “sta mandando avanti tutte le linee programmatiche e i giornali si occupano di altre questioni. L'appello di Maroni (il ministro sull'Interno ha scritto una lettera appello al Corriere della sera per ritornare a parlare dei temi del governo che interessano agli italiani, ) – ha aggiunto – è esattamente nelle corde del premier e di tutti noi. Il mio auspicio è che da domani si cominci a parlare dei temi di cui il governo si occupa e si lascino i gossip al dibattito parallelo in sede giudiziaria”. Alla intervistatrice, poi, che gli chiedeva se il prossimo sarà un governo Alfano o Tremonti, il Guardasigilli ha risposto che all'attuale esecutivo succederà un altro guidato sempre da Berlusconi. Attualmente sono tre i processi in corso sul conto del premier e tutti destinati a ripartire da zero. Il processo per la presunta corruzione del testimone David Mills riprenderà da capo perché il presidente del collegio della decima sezione penale Francesca Vitale ora è in corte d'appello. A sostituirla sarà Antonella Lai che nel vecchio collegio era a latere e subentreranno due nuovi giudici. Nella fase precedente del processo erano già stati decisi i temi di prova. Il processo più ingarbugliato è quello “Mediaset diritti tv”, dove il premier risponde di frode fiscale. Il presidente Edoardo D'Avossa, da tempo trasferito a La Spezia come massimo responsabile del tribunale locale, non potrà più beneficiare della “applicazione” a Milano avendo superato tutti i tetti di tempo. Il dibattimento era a circa tre quarti del cammino e i difensori degli imputati, tra cui il presidente di Mediaset Fedele Confalonieri, hanno già preannunciato che non presteranno il consenso per ritenere validi gli atti fin qui svolti. Per quanto riguarda poi l'udienza preliminare di Mediatrade, dove Berlusconi è accusato di appropriazione indebita fino al 2006 e di frode fiscale fino al 2009, dice Repubblica che bisognerà capire le conseguenze del trasferimento in tribunale del gip Marina Zelante, che però aveva celebrato solo la fase iniziale, con la decisione di rimettere gli atti alla Consulta. Zelante sarà sostituita dalla collega Maria Vicedomini. Tre anni fa, il Guardian, scrisse che nonostante abbia a suo carico accuse gravissime, per corruzione e attività finanziarie illecite, Berlusconi continua a vincere e che questa è uno dei paradossi a cui la libertà politica ci obbliga: dare spazio anche ai suoi stessi nemici. I fatti sono lì a dimostrare che anche nei suoi momenti migliori, Berlusconi è un uomo da fiction e non da fatti: lo dimostrano gli ancora aperti problemi a Napoli e a L’Aquila. Oggi il governatore Roberto Formigoni, a proposito del caso Minetti, la consigliera regionale coinvolta nelle intercettazioni, parla di “politici presuntuosi della sinistra che vogliono giudicare prima della magistratura”. Ed aggiunge che “Berlusconi ha il diritto di difendersi dalle accuse infamanti lanciate in maniera preventiva contro di lui”. E ricorda come “le parole del Papa siano un invito e un richiamo per tutti”, giocando il solito gioco di depistaggio che intende dimostrare che Berlusconi e i suoi sono operosi e assennati e che tutta la magistratura uno strumento di rallentamento. Per cambiare l’Italia, argomenta pacato il vicecapogruppo del Pdl al senato Gaetano Quagliarello ricordando “il dramma di Bettino Craxi” , manca “una riforma indispensabile: quella della giustizia, senza la quale il sistema non avrà una sua stabilità. Dobbiamo salvare l’autonomia della politica dall’attacco di un altro potere”. E ricorda quella parte di magistrati “che ogni giorno fa il suo dovere”. Mentre il coordinatore regionale del Pdl Guido Podestà denuncia la macchinazione mediatico-giudiziaria quando si sta per realizzare una riforma fondamentale come il federalismo. Ecco la strategia: parlare solo di ciò che interessa al governo e tacere su ciò che interessa a l’Italia, come Nazione e come condotta. E, a proposito del richiamo di Quagliariello a Craxi, ieri sera, in seconda serata, lo “Speciale Tg1 il documentario”, su Bettino Craxi, in onda su RaiUno dalle 23.30, è stato seguito da un milione 216 mila telespettatori, con il 9,26 per cento di share ed ha chiarito che Berlusconi con Craxi “non ci azzecca nulla”, come ideologia e come condotta. Bettino Craxi è stato un politico capace ed innovatore, coraggioso e a volte velleitario, un capro espiatorio o una vittima sacrificale che è stato demonizzata e poi lasciata morire in esilio dai suoi carnefici; qualcosa di molto diverso dalla parabola di Berlusconi. Silvio Berlusconi non è né Aldo Moro né Bettino Craxi, che si sono scontrati e sono morti, confrondandosi con il Moloch impalpabile che teme le riforme, quelle vere, s’intende e non solo annunciate. Il primo è stato ucciso, il secondo è morto in esilio, il terzo continua ad imperversare da 17 anni al governo dell’Italia, con piccole, insignificanti parentesi. L’Italia è un Paese con scarso senso dello Stato e senso civico: le è mancata la guerra di secessione per l’unificazione territoriale e la pacificazione per quella sociale. Il Risorgimento è stato una successione di sconfitte militari; quella di liberazione una scaramuccia senza esito riconciliativo. Poco o nulla rispetto a quanto sperimentato da Francia, Gran Bretagna e Usa per trasformare i rispettivi popoli in altrettanti Popoli. Una politica post bellica ossequiosa al compromesso ha fatto invece maturare l’Italia come paese della prebenda diventata aspettativa legittima, della scorciatoia e dell’accomodamento. Il Paese dove il compromesso è spesso presupposto di affidabilità per posti di responsabilità e le norme spesso rendono i cittadini dipendenti dagli addetti ai lavori. Il Paese ideale per persone come Berlusconi ed un’arena mortale per gente come Craxi e Moro.

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