Il razzismo in Italia non è più un'“emergenza”, nel senso che è quotidiano e diffuso da tempo in tutte le aree del paese. Non contribuisce certo a frenare questa deriva, quel processo di legittimazione culturale, politica e sociale del razzismo di cui gli attori pubblici, in particolare le istituzioni, sono i principali protagonisti: esso svolge un ruolo di primo piano nel mutamento delle modalità con le quali la società italiana si relaziona con i cittadini di origine straniera. Tale legittimazione, che ha richiamato l'attenzione dell'opinione pubblica internazionale e delle istituzioni europee, ha alimentato quei sentimenti diffusi di intolleranza e di ostilità che costituiscono l'humus favorevole per la proliferazione di atti e violenze razziste.
Qui analizziamo il ruolo che del diritto speciale “riservato” ai migranti ha svolto e svolge nella produzione di un'immagine stigmatizzante dei cittadini di origine straniera e dei rom.
ACCUSE ALL'ITALIA DALLE ISTITUZIONI INTERNAZIONALI
Il nostro Paese non è nuovo a censure in materia di rispetto dei diritti umani e del principio di non discriminazione, in particolare con riferimento a Rom, Sinti e Camminanti e ai diritti dei migranti.
Le prime avvisaglie della disapprovazione della comunità internazionale nei confronti delle scelte dei governi italiani si trovano in una risoluzione adottata dal Parlamento europeo il 15 novembre 2007: il Parlamento ricorda, di fronte alle minacce italiane di espulsione di cittadini rumeni, che la libertà di circolazione è inviolabile e che le legislazioni nazionali devono rispettare la legislazione comunitaria.
Il 20 maggio 2008 il Parlamento europeo richiede alla Commissione chiarimenti sulla situazione dei Rom in Italia. Il Commissario Vladirmir Spidla è prudente, ma richiama “gli Stati membri” al dovere di respingere qualsiasi stigmatizzazione dei Rom, affermando che “non dovremmo chiudere gli occhi” di fronte alla discriminazione e all'esclusione subite dai Rom e che la lotta contro i crimini deve essere condotta rispettando i principi dello Stato di diritto.
Il 10 luglio 2008 il Parlamento europeo, che ha invitato una sua delegazione in Italia, adotta una nuova risoluzione in cui “esorta le autorità italiane ad astenersi dal procedere alla raccolta dell'impronte digitali dei rom” e afferma che “questi atti costituiscono una violazione del divieto di discriminazione diretta e indiretta, previsto in particolare della direttiva 2000/43/CE.
Tra il 20 e il 26 luglio 2008 è l'Odihr (Ufficio per le Istituzione democratiche e i Diritti umani) dell'Osce, che già aveva espresso la sua preoccupazione, a condurre una visita in Italia. Le conclusioni sono chiare: i provvedimenti sono sproporzionati, ingiustificati, sotto divieti profili illegittimi e stimolano l'insorgere di xeonofobia e razzismo. Inoltre Rom e Sinti subiscono forme gravi di segregazione abitativa e scolastica e sono soggetti ad allontanamenti collettivi in violazioni di tutte le convenzioni internazionali.
Nell'ultimo rapporto dell'Ilo, l'Agenzia per il Lavoro dell'Onu, sull'applicazione delle convenzioni e delle raccomandazioni internazionali in tema di diritti dei lavoratori, documenta e denuncia che l'Italia viola la Convezione 143 sulla promozione della parità di opportunità e di trattamento dei lavoratori migranti, ratificata nel 1981: anche per responsabilità dei suoi leader politici – si legge nel Rapporto – i lavoratori immigrati, le minoranze e soprattutto i rom sono gravemente discriminati, in un contesto in cui anche dalle istituzioni è favorita la diffusione di forme di intolleranza, xenofobia e razzismo. Gli esperti del Comitato dell'Ilo accusano apertamente l'Italia per le “gravi violazioni dei diritti umani dei lavoratori immigrati irregolari, soprattutto quelli provenienti dall'Africa, dall'Europa orientale e dall'Asia, che comprendono maltrattamenti, salari bassi e pagati in ritardo, orari eccessivi e situazioni di lavoro schiavistico, in cui parte della paga è trattenuta dall'impresa per un posto in dormitori affollati, senza acqua né elettricità”.
Altrettanto severo e preoccupato è il Rapporto reso pubblico il 16 aprile 2009, che Thomas Hammarberg, Commissario per i diritti umani del Consiglio d'Europa ha redatto in seguito alla sua visita in Italia dal 13 al 15 gennaio 2009. Egli rivela che in Italia si va manifestando una preoccupante tendenza al razzismo e alla xenofobia, “talvolta sostenuta dalle azioni delle collettività locali, cosa che ha provocato atti di violenza contro rom, sinti e cittadini italiani di origine straniera”. Il commissario esprime “un'inquietudine particolare” per il fatto che un tale clima d'intolleranza verso gruppi etnico sociali non dominanti e vulnerabili continui ad essere incoraggiato dalla dichiarazioni di certe personalità politiche”. Esprime inoltre “viva inquietudine” per i nuovi provvedimenti su immigrazione e asilo, già adottati o in corso di discussione, come l'aumento della pena per i migranti irregolari, l'aggravante della “clandestinità” per chi commette un reato, l'obbligo di fatto per il personale medico di denunciare i migranti “irregolari” che ricorrono alle strutture sanitarie pubbliche. “La criminalizzazione dell'immigrazione irregolare è una misura sproporzionata che va oltre gli interessi legittimi di uno stato a tenere sotto controllo i propri confini, una misura che erode gli standard legali internazionali”, aggiunge Hammarberg. Il Commissario osserva ancora che la raccolta e il trattamento dei dati personali sensibili, “connesso con il clima politico estremamente polarizzato che si è determinato con la dichiarazione dello 'stato d'emergenza' e con le dichiarazioni pubbliche di certe autorità, hanno avuto gravi ripercussioni sulle popolazioni dei rom e sinti, divenute un bersaglio, e sulla loro immagine presso l'opinione pubblica”. Egli esprime infatti “la sua disapprovazione a proposito degli accordi bilaterali per il rimpatrio forzato di migranti irregolari, stipulati con paesi dei quali si sa da lunga data che praticano la tortura”.
LE NORME NAZIONALI: IL DIRITTO SPECIALE PER I MIGRANTI
Visto nel suo insieme, il complesso delle misure amministrative e penali funzionali all'allontanamento dello straniero irregolare rivela i tratti di un diritto speciale: innanzitutto la restrizione della libertà personale del migrante irregolare rappresenta non già un'extrama ratio, ma – sia nella disciplina penalista, che in quella amministrativa – la regola. E' regola, inoltre l'intervento coercitivo affidato all'autorità di polizia, ossia quell'intervento che il terzo comma dell'art. 13 Cost. pretende limitato ai “casi eccezionali di necessità ed urgenza”. Infine la coercizione della libertà personale dello straniero tende a svincolarsi dal riferimento a condotte soggettive connotate dall'ordinamento in termini di disvalore, per legarsi alla condizione individuale del migrante.
Ancora prima della legge del 2009: immigrati denunciati dagli ospedali
L'impronta discriminatoria di alcune disposizioni contenute nel Disegno di legge approvato nel 2009 si è palesata ancora prima della loro approvazione definitiva, mettendo in luce come l'interazione del discorso politico e mediato con l'intervento del legislatore possa svolgere un ruolo di primo piano nel processo di stigmatizzazione sociale del cittadino straniero. Risultano, da questo punto di vista, esemplari alcuni casi riportati dalla cronaca. Nel corso dell'iter parlamentare, l'abolizione del divieto di segnalazione alle autorità di Pubblica Sicurezza previsto per i medici che entrano in contatto con i cittadini stranieri privi di permesso di soggiorno che si rivolgono alle strutture sanitarie è stata annunciata, introdotta e stralciata più volete. Nel testo definitivo della legge questa abolizione non è presente. Le cronache hanno però nel frattempo registrato diversi casi di “segnalazione” di utenti stranieri privi di permesso di soggiorno da parte dei servizi sanitari. Esemplare il caso di Kante Kadiatou, richiedente asilo ivoriana che, recatasi il 5 marzo 2009 per partorire all'ospedale Fatebenefratelli di Napoli in assenza di documenti validi, ma munita della documentazione che attestava la sua richiesta di asilo, è stata segnalata dal personale dell'ospedale alle forze dell'ordine che l'hanno separata dal bambino. La segnalazione è avvenuta prima che il disegno di legge diventasse legge. Analoga e dall'esito meno fortunato, la sorte di Maccan Ba, cittadino senegalese di 32 anni, che il 9 aprile dalla sala di attesa di un pronto soccorso odontoiatrico di Brescia è stato condotto direttamente in Questura e poi espulso.
Il testo definitivo del provvedimento all'art. 1 c.22 g esclude dall'obbligo di esibizione del permesso di soggiorno gli stranieri irregolari che si rivolgono ai servizi sanitari e quelli che accedono alle prestazioni scolastiche obbligatorie. La modifica effettuata non vale però purtroppo a garantire una piena tutela del diritto all'istruzione e alla salute per gli stranieri privi di permesso di soggiorno: è stato infatti introdotto il reato di ingresso e soggiorno illegale. Gli art. 361 e 362 del codice penale obbligano i pubblici ufficiali o coloro che esercitano un pubblico servizio a denunciare un reato di cui vengono a conoscenza nell'ambito dello svolgimento delle loro attività. Dunque anche i dirigenti scolatitici e sanitari che vengano a conoscenza della posizione irregolare delle persone con le quali entrano in contatto potrebbero sentirsi obbligati a darne segnalazione alla autorità.
Il reato di clandestinità e l'aggravante anticostituzionale
Il Governo attualmente in carica ha adottato subito dopo il suo insediamento molteplici iniziative legislative riguardanti la condizione dello straniero in Italia.
Tra le misure più gravi definitivamente adottate vi sono le disposizioni in materia penale contenute nella legge 125/2008, in particolare l'introduzione dell'aggravante della pena per i cittadini stranieri irregolari. In base alle norme introdotte la pena inflitta a seguito della commissione di un reato viene aumentata di un terzo se l'autore è uno straniero irregolare.
Si tratta di un'evidente violazione del principio di uguaglianza di fronte alla legge sancito dalla nostra Costituzione.
L'aggravante fa leva su una valutazione presuntiva di maggiore capacità a delinquere del migrante irregolare del tutto ingiustificata, risolvendosi, pertanto, in una discriminazione fondata su uno status individuale in irriducibile contrasto con il nucleo essenziale del principio di uguaglianza, che vieta distinzioni normative ratione subiecti, ossia correlate a qualità meramente soggettive.
La rottura rispetto al volto costituzionale dell'illecito penale sancita dalla legge del luglio 2009 contribuirà inoltre a rafforzare quella radicale asimmetria tra i diversi livelli di cittadinanza che mina le basi stesse della democrazia costituzionale.
L'aggravante di clandestinità è stato bocciato dalla Corte Costituzionale per violazione degli articoli 3 e 25 della Costituzione. In primo luogo, per irragionevolezza perché in base al principio del 'ne bis in idem' l'aggravamento della pena andrebbe a collidere con il reato di clandestinità introdotto nel 2009 dal 'pacchetto sicurezza'. Inoltre, l'aumento di pena violerebbe il principio costituzionale del “fatto materiale” quale presupposto della responsabilità penale, nel senso che l'aumento di pena sarebbe collegato esclusivamente allo 'status' del reo (il trovarsi irregolarmente in Italia) e non alla maggiore gravità del reato, né alla maggiore pericolosità dell'autore (é il caso dei recidivi o dei latitanti).
La corte ha dato invece il via libera al reato di clandestinità (art.10 bis del testo unico dell'immigrazione del 1998 introdotto dalla legge 94 del 15 luglio 2009), con la sentenza 250/2010, che ha respinto le questioni di illegittimità costituzionale sollevate dal giudice rimettente in quanto contrasterebbe con il principio di solidarietà umana e sociale (art. 2 Cost.), criminalizzando una condizione personale e sociale di marginalità, a fronte di un comportamento privo di offensività a terzi. Le eccezioni sollevate sono state disattese principalmente in nome della discrezionalità del legislatore nelle scelte di politica penale. La Corte, in particolare, ha ritenuto non irragionevole la scelta di elevare da illecito amministrativo a penale l’ingresso e il soggiorno illegali in quanto funzionale alla finalità di gestione delle migrazioni, che costituirebbe espressione peculiare di quella prerogativa essenziale della statualità consistente nel controllo del territorio.
Ma in pratica il reato di clandestinità è stato un vero flop. Prevalgono le espulsioni dei prefetti e le richieste di archiviazione delle procure. A Milano nei primi 6 mesi dell'applicazione della legge le richieste di archiviazione sono state 500. A Roma davanti a 40 processi per il reato di clandestinità ci sono state invece 661 decreti di espulsione.
La discriminazione in base al mestiere
La legge sulla regolarizzazione di colf e badanti ( “Dichiarazione di attività di assistenza e di sostegno alle famiglie” del 2009) contraddice l' art. 6 della Dichiarazione Universale Dei Diritti dell'Uomo in base alla quale “Tutti sono eguali dinanzi alla legge e hanno diritto, senza alcuna discriminazione, ad una eguale tutela da parte della legge”; oltre che l' art. 3 della Costituzione Italiana: “tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali di fronte alla legge, senza distinzione […] di condizioni sociali e personali”.
La normativa tutelando una sola categoria di lavoratori esclude milioni di persone che non possono regolarizzare la propria posizione solo perché svolgono un' attività diversa.
A più di un anno di distanza dall'approvazione questa sanatoria comunque non ha funzionato nemmeno per le persone che dovevano beneficiarne, a causa dei requisiti troppo rigidi, dell'evidente macchinosità delle norme e dell'inadeguatezza delle risorse messe a disposizione.
Dai siti ufficiali risultano presentate 294.744 richieste di regolarizzazione da parte di cittadini stranieri, un risultato oggettivamente lontano dalla quota 500.000 preannunciata dal Ministero dell'interno.
In più occorre ricordare che il primo decreto sulla sanatoria-regolarizzazione lasciava chiaramente intendere che alla medesima avrebbero potuto accedere anche coloro che avevano ricevuto il foglio di via non per reati, ma solo per clandestinità e che una successiva circolare del Ministero (Circolare Manganelli) escludeva però questa possibilità disorientando molti immigrati che avevano fatto la domanda sborsando la cifra prevista di 500 euro e, successivamente pagato , assieme ai datori di lavoro, i contributi necessari per la sanatoria-regolarizzazione .
Questa grave situazione penalizza in maniera quasi vessatoria le numerosissime persone che vogliono uscire da una condizione di clandestinità, persone che lavorano da anni in nero, loro malgrado, e il cui contributo all'economia nazionale è oramai accertato, oltre che fondamentale; persone che hanno manifestato chiaramente la loro volontà di integrarsi in Italia rispettando le leggi, pagando le tasse, mandando i figli nelle scuole.
Le ronde private per la sicurezza
La legge 94/2009 prevede l'istituzionalizzazione delle ronde. Associazioni di “volontari per la sicurezza”, preferibilmente costituite da ex appartenenti alle forze dell'ordine, potranno vigilare e denunciare alle autorità “eventi che possono arrecare danni alla sicurezza urbana” o situazioni di disaggio sociale. L'istituzionalizzazione sotto mentite spoglie delle ronde legittima di fatto il principio secondo il quale la tutela dell'ordine pubblico non è più prerogativa esclusiva dello Stato ma può essere delegata a gruppi di privati cittadini. Chi controllerà l'operato delle ronde?
Il trattamento “speciale” per i rom. Prendere le impronte ad un'intera etnia
Una normativa particolarmente discriminatoria è stata infine riservata ai rom. Le ordinanze prevedono il monitoraggio dei campi autorizzati, l'individuazione dei campi abusivi e il censimento della popolazione presente nei campi da effettuarsi anche nei confronti dei minori attraverso rilievi segnaletici. La previsione della rilevazione delle impronte anche per i minori ha suscitato le proteste della società civile, del Parlamento Europeo e del Commissario per i diritti umani del Consiglio di Europa Hammarberg. La lettera di Jacques Barrot – che nel frattempo aveva sostituito Franco Frattini come Vicepresidente della Commissione e responsabile per l'area di Giustizia, Libertà e Sicurezza – al Ministro Maroni per chiedere il sostanziale abbandono del censimento etnico di Rom e Sinti, ha determinato la successiva emanazione delle “linee guida” che smentiscono le scelte del governo.
Esclusione dagli aiuti sociali
La legge finanziaria 2009 ha introdotto diverse disposizioni che violano in modo più o meno esplicito il principio di pari opportunità e le norme contro la discriminazione nazionali ed europee.
La carta acquisti prevista all'art. 81 c.12, che dovrebbe facilitare l'accesso delle persone meno abbienti all'acquisto dei beni e servizi, è stata esplicitamente riservata ai “cittadini residenti di cittadinanza italiana che versano in condizione di maggior disaggio economico”.
Il piano casa (art. 11, c. 2 punto g), con il quale il Governo ha annunciato un programma nazionale, volto ad incrementare l'offerta di abitazioni di edilizia residenziale per le fasce sociali più deboli, riserva le facilitazioni previste “ai cittadini residenti in Italia in modo continuativo, da 10 anni. Tale requisito è richiesto anche (art. 11 c. 13) per accedere ai contributi integrativi per il pagamento della locazione (ex legge 231/98) e, in questo caso, il cittadino straniero è tenuto a presentare anche il certificato storico di residenza. L'anzianità di residenza richiesta esclude in modo irragionevole una grandissima parte di cittadini stranieri dall'accesso a questi benefici. E noto infatti che solo una minoranza della popolazione straniera (circa il 25% risiede in Italia da più di 10 anni.
Non la residenza, ma il soggiorno regolare continuativo, almeno decennale, è invece il requisito previsto all'art. 20 c.10 per poter usufruire dall'assegno sociale.
I POTERI SPECIALI AI SINDACI
La politica delle ordinanze supera le assemblee elette
L'evocazione dell'emergenza sicurezza costituisce uno strumento di legittimazione del proprio ruolo. Incapaci, per mancanza di poteri effettivi, di agire sulle fonti principali di insicurezza collettiva, gli attori politici possono non risolvere, ma agire come se risolvessero, l'altra fonte di insicurezza, quella legata alla criminalità: scaricando su quest'ultima, ma soprattutto sui capri espiatori cui viene arbitrariamente associata (immigrati, rom, senza dimora ecc.), l'ansia derivante dalle altre fonti di insicurezza.
Così, i rimedi per affrontare la “percezione di allarme” sono spettacolarizzati, di scarsa efficacia ma di grande impatto simbolico: bracciali elettronici, “giri di vite” sui campi rom, controllo del territorio da parte delle forze dell'ordine e così via.
Il primo passo verso l'attuale situazione avviene con la legge finanziaria del 2007 quando il governo di centro-sinistra prevede la possibilità di stipulare convenzioni tra Prefetture ed enti locali, allo scopo di predisporre “programmi straordinari di incremento dei servizi di Polizia, di soccorso tecnico urgente e per la sicurezza dei cittadini” (legge 296/2006, art.1, comma 439) Sulla base di questi indirizzi il Ministero dell'interno firma, il 20 marzo 2007, un “Patto per la Sicurezza” con l'ANCI nazionale.
Letizia Moratti, Sindaco di Milano, lancia nel mese di Marzo una mobilitazione cittadina, chiedendo al Ministero l'invio di forze dell'ordine per contrastare il “degrado”, lo spaccio di droga e l'immigrazione “clandestina”. Che si tratti di una campagna del tutto strumentale è dimostrato dal fatto che i reati, nella città lombarda, sono in diminuzione non in aumento.
Nel giro di un mese e mezzo, il ministero dell'Interno lancia, assieme ai Sindaci di centro-sinistra, una nuova campagna sulla “sicurezza”.
I bersagli vengono individuati strumentalizzando singoli episodi di cronaca. A Giuliano, periferia di Napoli, una donna viene travolta e uccisa dal ladro che le sta rubando l'auto: il killer è un Rom di origina slava, e la vicenda scatena una vera e propria campagna contro gli “zingari”. Il “Patto per Roma Sicura”, stipulato con il sindaco della capitale, prevede l'abbattimento delle “baraccopoli” e la costruzione di quattro campi attrezzati fuori della cinta urbana (vera e propria segregazione istituzionalizzata dei Rom). Altri “patti” vengono firmati nelle principali città metropolitane (Bari, Bologna Cagliari, Genova, Milano) e prevedono controlli serrati sulle presenza Rom, iniziative contro la vendita ambulante di merci contraffatte, contrasto alla prostituzione e sgomberi di case occupate. Viene garantita ai Sindaci una particolare visibilità nelle iniziative sicuritarie.
Lo strumento individuato, per agire sui cosiddetti fenomeni di degrado urbano, è l'”ordinanza contingibile e urgente”, prevista dall'art. 54 del Testo Unico degli enti locali.
Si tratta di un provvedimento emanato direttamente dal Sindaco, per fronteggiare un danno incombente (urgenza) quando non sia possibile provvedere con gli ordinari strumenti di legge (contingibilità).
Una sentenza del Consiglio di Stato ha stabilità proprio nel 2007 che “il requisito della contingibilità va inteso come eccezionalità dell'evento determinata da causa imprevista e accidentale, tale da non poter essere affrontata con i mezzi ordinari”.
Ma le ordinanze dei Comuni si discostano notevolmente da queste prescrizioni. Emblematica è la prima di queste ordinanze, quella contro i “lavavetri” del Comune di Firenze dove l'evento “eccezionale”, determinato da “causa imprevista e accidentale”, sarebbe la presenza di stranieri che lavano il vetro ai semafori. Altro caso emblematico è quello emblematico del comune di Cittadella, vicino Padova, dove il Sindaco nega la residenza agli stranieri perivi di reddito: un'iniziativa destinata a “fare scuola”, diffondendo soprattutto nel Nord Italia ordinanze dal contenuto illegittimo che spesso scavalcano e contraddicono le leggi vigenti.
Nel “pacchetto sicurezza” del Governo Berlusconi viene inserita una nuova modifica del Testo Unico degli Enti Locali: il sindaco così può adottare “provvedimenti anche contingibili e urgenti”: inserimento dell'anche estende notevolmente il potere dei primi cittadini.
Nel 69% dei casi le ordinanze si rivolgono a tutta la popolazione. Ma basta fare due conti per scoprire che le cose sono assai più complesse. Sommando insieme varie tipologie di ordinanze, si scopre che almeno il 42,9% di provvedimenti si rivolge direttamente o indirettamente alle minoranze etniche, agli immigrati ai poveri.
L'effetto principale di provvedimenti di questo genere è quello di ridefinire il concetto di sicurezza: che non ha più a che fare solo con l'incolumità personale, ma anche (e forse soprattutto) con la morale pubblica, il “decoro”, la “decenza”.
Spesso il diritto speciale delle ordinanze si sostituisce a quello ordinario, sanzionando comportamenti non previsti come reati. In altri casi, invece, l'ordinanza del sindaco aggiunge una sanzione pecuniaria alla punizione già prevista dalla legge, istituendo una vera e propria “doppia pena” per migranti, senza fissa dimora, rom o minoranze etniche: questa politica delle ordinanze rischia di minare in profondità lo stato di diritto e il suo carattere non discriminatorio e universalistico.
Questo conferma anche in sede locali che l'istituzione del “diritto separato” è la vera cifra delle nuove politiche sull'immigrazione in Italia.
DICHIARAZIONE DI EMMA BONINO RADICALI