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Ocse: cresce la disoccupazione giovanile, Italia penultima

Il 2010 sta per concludersi ed è tempo di bilanci. Purtroppo non sono affatto rassicuranti. Cattive notizie giungono da oltralpe, l’Ocse (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo economico) ha denunciato un drammatico scenario per l’occupazione giovanile: nel terzo trimestre del 2010, nei 33 Paesi aderenti all’organizzazione ci sono 3,5 milioni di giovani disoccupati in più rispetto allo stesso periodo del 2007 e almeno 16,7 milioni di ragazzi identificati come “neet” (Not in education, employment or training), ovvero i ragazzi che non studiano, non lavorano né cercano un impiego. La situazione italiana è anche peggiore: siamo penultimi nell’area Ocse per l’occupazione di ragazzi tra i 15/16 e 24 anni, pari soltanto al 21,7%, ben al di sotto della media degli altri Stati che è del 40,2%. Dietro di noi, magra consolazione, c’è soltanto l’Ungheria con il 18,1% di giovani occupati. Un vero e proprio crollo, se si pensa che nel 1999, il 27,3 dei giovani aveva un posto di lavoro.
In un periodo così nero, coloro che hanno trovato un impiego sono considerati privilegiati, ma la loro condizione non è certo invidiabile. Sempre l’Ocse, infatti, denuncia che il 44,4% di chi ha un lavoro è precario e il 18,8% ha contratti part-time. Il dato più sconfortante è quel 15,9% di ragazzi che non studiano né lavorano: 16,7 milioni di persone che vivono senza far nulla, loro malgrado. Secondo l’Ocse 6,7 milioni di questo gruppo sono alla ricerca di un posto di lavoro ma altri 10 milioni hanno addirittura smesso di cercare perché scoraggiati dalla situazione. Sono ragazzi che non credono più in un futuro migliore, ai quali sono stati tolti anche i sogni e la possibilità di fare progetti.
Questo quadro sconfortante è confermato anche dal Centro studi di Confindustria che in una ricerca parla di una diminuzione, dal primo trimestre 2008 al terzo trimestre 2010, del numero di occupati in Italia pari a 540mila persone, alle quali si aggiungono le ore di Cassa integrazione guadagni che hanno un impatto pari a 480mila unità di lavoro. Il numero dei disoccupati a ottobre 2010 era di 2,167 milioni, più del doppio rispetto ad aprile 2007. Confindustria non lascia spazio a previsioni ottimistiche nemmeno per il prossimo anno, stimando che “il numero delle persone occupate continuerà a diminuire nel 2011”, con un calo atteso dello 0,4%. Il tasso di disoccupazione toccherà il 9% nel quarto trimestre 2011 e “inizierà a scendere molto gradualmente nel corso del 2012”.
L’Italia fotografata nel pieno della sua crisi economica sembra essere diversa da quella della quale parla Silvio Berlusconi. Il governo vive rinchiuso nel Palazzo ignorando l’insofferenza che regna in tutti gli strati sociali, dagli studenti delle superiori che non sanno se verrà tolto loro il diritto di studiare in università pubbliche ai neolaureati che continuano a mandare curricula senza ricevere alcuna risposta, passando per i precari a 800 euro al mese, per coloro ai quali il Capodanno coinciderà con lo scadere del contratto e per le migliaia di operai in cassa integrazione. I ministri preferiscono sminuire le manifestazioni, bloccare i cortei e attribuire le rivolte a pochi facinorosi. È più facile dire che il problema non esiste piuttosto che affrontarlo con proposte concrete.
L’Italia dei Valori continuerà, ora più che mai, a difendere il diritto al lavoro dei cittadini e soprattutto dei ragazzi, facendo proprio l’invito dell’Ocse rivolto a tutti gli Stati affinché “vengano lanciati programmi d’intervento che forniscano un’efficace assistenza alla ricerca di lavoro per i diversi gruppi di giovani”. Tra gli 11 punti del programma Idv c’è una seria riforma dello stato sociale che prevede nuovi e più adeguati ammortizzatori sociali e misure di stimolo all’occupazione, come ad esempio l’abbattimento del costo del lavoro per favorire le assunzioni a tempo indeterminato, un salario minimo d’ingresso per i giovani pari ad almeno mille euro al mese, la copertura dei periodi di assenza per maternità, malattia e infortunio per le partite Iva con un reddito inferiore a 20.000 euro l’anno.

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