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Montenegro, porta aperta verso la Ue: bene così. Ma anche no

di Matteo Tacconi

Il Consiglio europeo, convocato a Bruxelles domani e venerdì, conferirà al Montenegro il rango di paese ufficialmente candidato all’adesione. I negoziati dovrebbero scattare, secondo quanto riporta la stampa internazionale, nel 2012. È comunque prematuro immaginare una data precisa sull’inizio delle trattative. Figuriamoci sull’ingresso. Ci sono molti fattori e molte variabili, d’altronde, che potrebbero rendere più celere del previsto oppure allungare la marcia montenegrina. Si vedrà.

La decisione dei 27 non cade all’improvviso. Il Consiglio, infatti, accoglie il parere della Commissione, che a novembre, diffondendo l’annuale progress report sui paesi che aspirano a entrare nell’area comunitaria, aveva reputato la giovane repubblica adriatica pronta a compiere questo importante passo. Considerando la fatica con cui l’Ue guarda all’ex Jugoslavia e le tante promesse fatte negli ultimi anni ai Balcani, tutte o quasi tutte puntualmente disattese, la scelta dell’Ue sul Montenegro è un segnale incoraggiante. Indica che prima o poi il traguardo della completa “riunificazione europea” verrà tagliato.

Bene così, dunque. Ma anche no. Il punto è che l’incentivo offerto al Montenegro induce a riflettere, vista la fedina non proprio limpida del paese. Negli anni ’90 il Montenegro divenne un avamposto criminale e il centro operativo, secondo la Procura di Bari, del contrabbando di sigarette nell’Adriatico, di cui la Sacra corona unita fu grande protagonista. La tesi dei togati baresi è che Milo Djukanovic, a quell’epoca primo ministro, sia stato l’artefice della svolta criminale montenegrina e abbia offerto “asilo” ai trafficanti pugliesi. La sua posizione è stata archiviata, dato che Djukanovic, che in seguito è stato eletto capo dello stato e di nuovo primo ministro (carica che a tutt’oggi ricopre), ha usufruito dell’immunità diplomatica.

Ora, se è vero che il Montenegro s’è lasciato alle spalle quella vicenda, è altrettanto vero che nel corso degli anni sono emerse nuove dinamiche criminali. Nel periodo che ha preceduto e seguito l’indipendenza dalla Serbia, sancita dal referendum del maggio 2006, Podgorica s’è messa in luce come la “lavandaia” dei soldi sporchi delle mafie russe. Sulle coste montenegrine, rapidamente, sono sorti alberghi, casinò, night club e villaggi turistici costruiti con finanziamenti russi provenienti da paradisi fiscali e forzieri offshore, senza che nessuno sia mai potuto risalire all’identità degli investitori. Insieme alle coste, cementificate in barba alla legge e alla Costituzione, che definisce il Montenegro “stato ecologico”, le autorità locali hanno permesso ai russi di comprare fabbriche, case e terreni a prezzi decisamente inferiori a quelli di mercato. Molte volte le procedure di vendita hanno lasciato a desiderare, quanto a trasparenza. Le ricostruzioni delle Ong locali, dell’opposizione e della stampa non allineata convergono sul fattore riciclaggio e dicono che il canale attraverso cui filtrano tutto questo denaro è la Prva Banka, istituto di credito direttamente controllato dalla famiglia Djukanovic, definito come vero e proprio motore dell’economia montenegrina: tutti i soldi che arrivano in Montenegro, sporchi o puliti che siano, passerebbero da qui.

Questa fase, sembra, è venuta parzialmente esaurendosi, anche a causa della crisi economica, che ha intaccato le fortune dei russi contraendo il flusso d’investimenti. Ma il Montenegro ha confermato la sua fama ambigua, prendendo parte, a quanto pare, al nuovo grande affare: la cocaina. Da varie inchieste, comprese quelle della magistratura italiana, risulterebbe che i Balcani, già noto corridoio dell’eroina di produzione afghana, sono diventati anche una potenza dell’import di coca sudamericana. Il Montenegro sarebbe la roccaforte di queste attività, con Darko Saric, imprenditore di Pljevlica, città situata nel versante settentrionale del paese, a ricoprire il ruolo di principale cerimoniere. Saric, attualmente latitante (qualcuno dice che sia lo stato montenegrino a fornirgli protezione, altri sostengono che si sia rifugiato in Sudamerica), avrebbe fatto transitare imponenti somme di denaro nelle casse della Prva Banka. Nulla è provato, nulla è certo. Però tutto questo background criminale, passato e presente, vero o presunto, ciclico o stabile, sdogana una domanda: all’Europa conviene davvero prendersi il Montenegro?

Più che di convenienza, è il caso di parlare di inevitabilità. Nel senso che l’integrazione dei Balcani e quindi del Montenegro è fuori discussione. È che l’Europa, che assistette immobile alle guerre jugoslave, è storicamente e moralmente obbligata a integrare i Balcani. È che colmare il “buco nero” balcanico favorirebbe la stabilità regionale e continentale. È che i Balcani, se pungolati, stimolati e incentivati, hanno dimostrato di sapersi migliorare, come dimostrano le recenti esperienze di Serbia e della Croazia, che sollecitate dal “fattore europeo” hanno dispiegato riforme, accantonato parzialmente i nazionalismi e iniziato a lottare contro i gruppi criminali (dopotutto le mafie non sono soltanto un fenomeno montenegrino).

Anche il Montenegro – sarebbe ingeneroso ometterlo – ha conseguito progressi in termini di acquis communitaire. Il conferimento del rango di paese ufficialmente candidato all’ingresso, c’è da credere, porterà Djukanovic e la classe dirigente a una maggiore responsabilizzazione, anche sul fronte del contrasto alle mafie. La cosa che però non convince è che l’Europa, stavolta, ha ragionato anteponendo lo status agli standard. Approccio, questo, che rappresenta una novità, nel panorama delle relazioni tra Bruxelles e i Balcani. Prima di premiare il Montenegro sarebbe stato il caso di procedere con esami e verifiche più scrupolose. Non è andata così. Perché? C’è un passaggio del progress report della Commissione che suscita a questo proposito qualche perplessità. «L’accesso del Montenegro – si legge nel documento – avrebbe un impatto limitato sulle politiche dell’Ue e non inciderebbe sulla capacità dell’Unione di mantenere e approfondire il proprio sviluppo». Beninteso: è solo un’interpretazione. Ma sembra quasi che questa valutazione si basi sulla “stazza minima” del Montenegro. Cioè la sua ridotte dimensioni territoriale, economica e demografica. Sembra quasi che possa essere questo l’elemento che ha condotto Bruxelles a mettere lo status davanti agli standard, senza insistere troppo sulle faccende criminali.

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