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Intervista all’on. Antonio Razzi

«Tanti anni di mortificazioni seduto all’ultimo banco come l’alunno ciuco di una classe di professori mi ha logorato»

Dopo tanti anni di fedeltà all’Italia dei Valori lascia il partito. Qual è stata la motivazione?

Guardi, è tanto ma tanto tempo che avrei dovuto prendere questa decisione. Mi sono trovato in un partito che non è altro che Antonio Di Pietro. Punto. Un partito persona. Tutti gli altri fanno da contorno e devono eseguire più o meno prostrati ai piedi del capo. Beninteso, vi sono anche personaggi di spicco ma questi raramente vanno a criticare l’operato del capo.

Vuole dire che esiste un timore riverenziale da parte dei deputati e senatori IDV nei riguardi di Antonio Di Pietro?

Esatto. Basti pensare ai due pesi e due misure che si adottano sistematicamente all’interno del partito. Mi spiego meglio. Per esempio il codice etico dell’Italia dei Valori impone l’assoluta illibatezza dei suoi componenti non ammettendo che qualcuno, indagato, possa continuare a stazionarvi. Qualcuno, e non voglio fare nomi, per il semplice fatto di essere indagato, ha lasciato il partito in ottemperanza al codice etico interno. Per qualche altro rinviato a giudizio invece, c’è stata la difesa a spada tratta del Presidente.

A chi si riferisce onorevole?

Non faccio i nomi anche perché si tratta di persone che stimo indipendentemente ed a prescindere. Mi farebbe brutto il solo fatto di pronunciare i loro cognomi. Ma posso aggiungere che all’interno del partito c’è stato chi ha avuto il coraggio di denunciare il doppiopesismo in atto.

Quindi lei ha lasciato il partito per questi ordini di motivi?

Ed altro ancora, ovviamente. Contro di me, e contro conseguentemente le comunità all’estero che rappresentavo, c’è stata una presa di posizione sclerotica, di chi insofferente alla mia persona, ha fatto di tutto per contrariarmi, mobbizzarmi, mettermi in ridicolo, parlo del Presidente, senza che io avessi mai fatto una scortesia. Dopo la mia elezione non mi salutava più e non sapevo perché. Lei avrà letto la mia lettera ad Antonio Di Pietro con la quale spiego le mie motivazioni. In quella lettera mi svesto finalmente dei panni del succubo ed affronto la questione da uomo ad uomo. In quella lettera ho cercato di sintetizzare al meglio i fatti ed i sentimenti, le situazioni contingenti e lo stato di prostrazione psicofisica nel quale Antonio Di Pietro mi aveva relegato. Se una cosa ho sbagliato, è stata non averlo abbandonato subito dopo la mia rielezione quando mi venne chiesto di dimettermi così sarei diventato un eroe. Era quello il momento in cui avrei dovuto prendere una decisione radicale. Ma purtroppo per me non la presi. Mi rendevo conto che ero affezionato, nonostante tutto, all’uomo con il quale e per il quale avevo lavorato tanti anni. E non solo, quella decisione non la presi neanche quando avrei potuto facilmente, all’epoca di Vasto, dando ampia prova invece di fedeltà.

Come come? Doveva dimettersi appena eletto? Ma sembra una cosa assurda e sarebbe stato quello un atto eroico?

L’eroismo sarebbe da riscontrarsi proprio nella idiozia della proposta. Si renderà conto che al cospetto di una tale richiesta chiunque se ne sarebbe andato subito da quello che non poteva essere un partito in cui dicevano i valori giocassero un ruolo fondamentale. Il secondo dei non eletti sarebbe subentrato alle mie dimissioni e tutti saremmo stati contenti soprattutto io che avrei avuto appiccato al petto la medaglia di eroe. Senza contare che all’estero il partito nel quale ci si candida conta sino ad un certo punto, all’estero valgono le preferenze. Perciò devo ringraziare solo gli elettori che hanno scritto il mio nome e cognome sulle schede elettorali. In seconda battuta il partito che ritenne di candidarmi.

Ma perché ha votato la fiducia al governo Berlusconi?

Decidere in questo senso è stato veramente difficilissimo. Non fosse altro per lo stato d’animo mortificato ed offeso che mi ha sottratto alla tranquillità persino il sonno. Nella vita di un uomo ci sono momenti ardui e che esigono il coraggio delle proprie azioni. Lasciano il segno. Ma entrare a far parte di un nuovo gruppo, composto da amici tra i quali anche vecchi militanti dell’Italia dei Valori che ti accolgono a braccia aperte, significa anche uniformarsi politicamente alle sue direttive. Si tratta di fare un nuovo percorso, una nuova esperienza politica attraverso la quale, sono sicuro, troverò le soddisfazioni, la democrazia interna e l’autonomia che mi sono mancate per tanti anni. Antonio Razzi è stato sempre il signor “Nessuno” ed all’improvviso, come per incanto, è divenuto l’uomo del secolo al quale tutti vogliono affibbiare una croce che non è sua. Dal quale dipendono i destini della nazione addirittura. Non ci provassero. Non ci provasse nessuno a guidare la macchina schiacciasassi che passa su tutto e tutti uniformando in giudizi approssimativi e distruggendo le reputazioni. Se cercano un capro espiatorio lo vadano a cercare altrove, il capro. Neanche se il mio voto fosse stato determinante, e non lo è stato, sarebbe ammissibile la caccia all’uomo ai miei danni. Da uomo libero ho agito tenendo in conto le situazioni contingenti personali e generali.

Ma intanto Di Pietro è ricorso alla magistratura perché vuole vederci chiaro sul perché deputati in forza alla sua squadra lo abbiano abbandonato

Faccia quello che crede, io sono una persona con le mani pulitissime. Prima di me Di Pietro ha incassato altre defezioni. Fossi in lui mi chiederei perché viene sistematicamente abbandonato. E sa cosa le dico? Non finisce qui. Vedrà che in seguito ci sarà qualche altro che sarà stufo ed abbandonerà baracca e burattini. La mia decisione di lasciare il partito è assolutamente politica senza fini secondari. Poi Antonio Di Pietro è abituato a ricorrere ai magistrati, è una attività che pone in essere spesso anche quando non ne ricorrono i presupposti. Per quanto mi riguarda non mi interessa, non ho nulla ma proprio nulla da temere. Sono un uomo libero e come tale mi sono autodeterminato in tutta coscienza accingendomi a percorrere un nuovo cammino più democratico nel quale la mia dislocazione sarà chiara e svincolata da timori riverenziali. Guardi, anticipo la sua domanda sul famoso mutuo. Sia ben chiaro una volta e per tutte che per via della mia superficialità e disinvoltura ad affrontare i microfoni, a non stare attento all’uso delle parole pensate nella dialettica giusta che è saltata fuori questa leggenda metropolitana. I miei debiti li pago io come ho sempre fatto. Ho lavorato 40 anni come operaio e ne vado fiero. Non ho bisogno di nessuno.

Ma dal nulla non è sorta però questa leggenda

Certo che no. All’epoca, un carissimo amico fidato che mi vuole un mondo di bene, mi raccontò che aveva saputo che Di Pietro non mi avrebbe ricandidato alle prossime elezioni sia che la legislatura fosse interrotta a metà sia nel caso fosse portata a termine. Non ci potevo credere in quanto avevo dato appena prova a Di Pietro della mia fedeltà in quell’epoca rinunciando ad abbandonare il partito. All’epoca, tengo a precisare con il pericolo di elezioni anticipate, non avevo ancora maturato neanche il vitalizio, per intenderci. Se fosse caduto il governo e non fossi stato ricandidato, non avevo gli anni necessari per aver maturato il vitalizio, faccia i conti della serva e vedrà. Questo rendeva la mia decisione inappuntabile. Lo feci dunque proprio per dare un segnale forte ed inequivocabile che, nonostante non fossi sicuro di essere ricandidato accettavo il rischio di trovarmi fuori del parlamento con tutti i miei problemi e senza neanche il vitalizio pur di restare nel partito. Volevo sottolineare che niente al mondo mi avrebbe fatto cambiare idea neanche l’incertezza economica che sarebbe scaturita da una mia non rielezione. D’altronde all’epoca dei fatti con più comunicati stampa ho smontato la fasulla notizia del mutuo. Ho sempre smentito a 360 gradi. Mai nessuno propose allora come nessuno ha proposto ora, una cosa di questo tipo. L’ho sconfessato decisamente e subito ma i giornalisti vi hanno fatto la scarpetta ed il partito l’ha usata per farsi propaganda. Per quanti insistono su questa falsa riga, anche a mezzo stampa, ho già dato ai miei legali mandato per i risvolti penali che queste affermazioni significano.

Qual è stata la molla che le ha fatto scattare la decisione, la fatidica goccia che ha fatto poi traboccare il vaso?

La mia nomina a responsabile dell’Italia dei Valori nel mondo per gli italiani all’estero. Mi sentivo per un verso inorgoglito, dall’altro non riuscivo a spiegarmi le modalità e la tempistica con la quale mi arrivava la nomina. Mi si avvicina Di Pietro nel ristorante della camera e me lo dice. Punto.
Da allora ho dato una sferzata alla mia politica, mi sono attrezzato per poter affrontare questa fase decisamente incisiva ed importante dando davvero una svolta a tutta la mia attività. Tutti i miei comunicati stampa, documenti politici ecc. portavano un sottotitolo “Piano di rilancio dell’Italia dei Valori nel mondo”. Ma notavo che più la mia azione diveniva incalzante più produceva insofferenza in quanto mostravo di aver elevato decisamente il livello dell’azione politica che mi riguardava e questo fatto invece che far piacere indispettiva. Si immagini che consegnai in quel periodo una bozza di progetto di legge a mio parere molto innovativo, difficile ma sarà l’orientamento futuro all’on. Donadi per averne un parere, ancora sto aspettando. Menefreghismo assoluto. In realtà, se non avessi avuto quella nomina, se non mi fossi dato da fare politicamente per meritarmela, non sarei riuscito a capire che ai miei danni ed alle mie spalle si tramava vigliaccamente il fatidico calcio al fondoschiena. Non che mi interessasse la ricandidatura perché se vogliamo essere chiari e cinici, in questa fase invece il vitalizio l’avevo maturato per aver concluso i cinque anni di legislatura. Quindi le anticipo ancora una risposta qualora volesse essere caustico. Faccio questa precisazione perché è la prova del nove che essere ricandidati per me non era vitale, potevo farne a meno come posso oggi farne a meno. No, era il subdolo atteggiamento ed il sotterfugio di Di Pietro che non digerivo. In fondo, come uomo, non accetto da lui lezioni, sono anche più grande in età. La misura era oramai colma.

Apro una parentesi spinto dalla curiosità, ci dice di quale progetto di legge innovativo parla?

Si tratta di una presa di coscienza. Di aver preso atto che ormai la politica economica di un paese alla luce della globalizzazione deve essere il risultato di scelte condivise tra maggioranza ed opposizione.
Il periodo storico che l’Italia, insieme a tutto il mondo sta attraversando, vede finire, almeno per questa fase, il tempo delle ideologie politiche in forte contrapposizione tra loro.
Le logiche attuali, nella morsa di una economia globalizzata, impongono ormai una evoluzione intellettuale e politica che permetta di affrontare con il vigore e la strategia necessarie, sia la crisi economica attuale, sia quelle future che si ripresenteranno ciclicamente.
La linea economica dunque di una Nazione che sino a pochi decenni orsono caratterizzava il posizionamento politico in Parlamento delle compagini facenti parte, oggi, acquista un significato davvero privo di tendenze di settore e di connotazioni politiche. La politica economica mondiale non può permettersi più di essere di parte, di destra o di sinistra, liberista o socialista, per il pubblico o per il privato. Essa rappresenta ormai un passaggio cruciale ed obbligatorio che induce i governi di tutto il mondo a parlare di organigrammi che non possono prescindere dai destini degli altri. Le problematiche che affliggono il sistema sono comuni. Affondano le loro giustificazioni nei rapporti di forza economici mutati soprattutto per merito di quei paesi cosiddetti emergenti che pongono all’attenzione degli amministratori governativi problemi comuni: il mercato, la moneta, le banche, il commercio, la ricerca, la famiglia, il lavoro.
A fronte di una economia che in qualche modo prospetta solo sé stessa dichiarandosi fondamentale a decidere sui destini della salute nazionale ed internazionale dei conti, le nazioni continuano a ritenere il piano economico nazionale come l’aspetto caratterizzante di governi di destra o di sinistra.
Questo è un errore gravissimo. Appare invece evidente che il concetto di economia globalizzata che attualmente prevale, si sia smarcato e prescinde da contrassegni politici che invece hanno caratterizzato tutto il dopoguerra. Attualmente, e potrebbe sembrare questo un paradosso, le differenze di storia e di cultura tra i partiti che caratterizzano quelle che un tempo venivano stigmatizzate più facilmente come ideologie, sono essenzialmente altrettanto necessarie ma specificatamente filosofiche non più o solo economiche. I problemi economici che affliggono la globalizzazione, hanno caratteristiche universali da un punto di vista tecnico. Ciò che non è universale è il posizionamento ed il trattamento sull’opera dell’uomo in quanto tale ed in quanto propulsore della ricchezza. Infatti, la differenza del concetto di diritto, di diritti umani: lavoro-retribuzione, assistenza e previdenza modifica ed altera i rapporti di forza tra concorrenti del mercato condizionando i concetti stessi di mercato e di concorrenza.
Gli obiettivi prestabiliti che un piano economico di un paese si accinge a voler raggiungere, non sono tantissimi ma sono assolutamente irrinunciabili, qualsiasi sia il governo di turno: contenimento della spesa pubblica, pagamento dei debiti, qualità ed investimenti nella produzione, sanità, ricerca ed Università.
Nessuno di questi parametri e molti altri ancora a questi connessi in una serie di ramificazioni collegate, può avere oggi una connotazione di destra oppure di sinistra riconoscendosi ormai ufficialmente il contributo sia del pubblico sia del privato. Per il passato ciò determinava la contrapposizione partitica ideologica caratterizzando la politica economica di sinistra se tendeva a statalizzare, di destra se invece tendeva a privatizzare. Non è più così ormai da tempo riconoscendo all’uno ed all’altro aspetto stessa rilevanza politica ed economica. Oggi, in Italia, si parla piuttosto di interessi privati a danno di quelli pubblici ma non per una questione spiccatamente politica e neppure ideologica ma per latrocinio che a mezzo d’un atto pubblico si “sciacqua” dalle impurità ripresentandosi, agli occhi della cittadinanza, lecito ed accettabile.
Siamo abituati, nel nostro paese, ad ascoltare la relazione del nuovo ministro dell’Economia e delle Finanze che subentra agli avversari politici dopo l’appuntamento elettorale, con una certa angoscia. Si è sempre verificato che quella relazione si prospettasse come una sequela di guai e di buchi, di debiti e disastri economici insomma lasciati in eredità dalla amministrazione precedente. Siamo purtroppo abituati a sentire che il disastro lasciato dalla amministrazione politicamente contrapposta pretenderà anni e sacrifici per poter essere sanata e che i cittadini sono sempre chiamati ad ulteriori restrizioni.
Ciò non può essere più accettabile né tantomeno giustificato. Oggi l’economia è globalizzata e la “cassa” è comune, per i paesi dell’Unione è così, ragion per cui non è lecito procrastinare oltre questo spettacolo indecente di deresponsabilizzazione reciproca dei governi che si succedono alla guida del paese. Le colpe dei deficit e di una politica economica fallimentare sono sempre da attribuirsi agli altri.
Tutto ciò brevemente premesso, in quanto l’argomento esige uno studio approfondito ed un dibattito parlamentare costruttivo, si può, ed a questo punto si deve, decidere che la politica economica del paese da presentare al vaglio della globalizzazione, sia studiata e presentata al paese quale frutto della collaborazione di due ministri rappresentativi delle forze politiche bipolari. Con la diretta compromissione del ministro della compagine che ha perso le elezioni, si induce a responsabilizzare anche l’opposizione delle scelte strategiche di breve e di lungo periodo che il paese si troverà costretto ad affrontare. In caso di disaccordo insanabile tra due, il Parlamento sarà chiamato a gestire quella crisi con il voto, magari, dopo una “quarantena” di approfondimenti e di studi ulteriori da parte dei due ministri per scongiurare l’empasse. Si eviterà, di contro, quella deresponsabilizzazione dei conti del paese e lo scaricabarile sistematico quando l’un ministro di destra subentra nella gestione appena lasciata da quello di sinistra e viceversa.
Insomma, la politica economica di una compagine partitica, non può e non deve essere l’indicatore, e di fatto proprio non lo è, che connota il posizionamento alle Camere. Oggi, il sistema non lo accetta più, né riconosce al metodo quelle caratteristiche che un tempo, molto tempo fa, delineavano oggettivamente di quale tendenza politica ideologica si facesse parte al solo disquisire di economia.
Nel dibattito politico-filosofico che è in atto nel paese dove studiosi e politici si chiedono sul significato di essere di destra o di sinistra, appare immediatamente forzata la spiegazione di chi accampa fatti contrapponendo l’operaio all’imprenditore, il servo al padrone, il capitale alla statalizzazione.

Chiusa parentesi. Torniamo a noi. Dicevamo sin qui le motivazioni personali che potrebbero essere più o meno condivisibili ma non ha pensato ai suoi elettori all’estero? Cosa c’entravano loro in questa faccenda personale?

Detta così la sua domanda ha un senso. Ma non tiene conto che i tre quarti della decisione sono proprio da attribuirsi al fatto che i miei concittadini all’estero venivano sistematicamente disillusi e dimenticati. La mia decisione è legata a doppia mandata con l’incarico che ricoprivo e per le mie responsabilità al cospetto della gente che mi aveva votato. Il partito non stanziava neanche un euro, completamente sordo alle mie richieste. Più di una volta non mi è stata data una risposta, quando qualcuno si fosse degnato di rispondere era evasivo se non addirittura volgare. Io stesso sono stato costretto a fare fronte alle spese per le manifestazioni all’estero mettendo mano alla tasca e pagando del mio. So io cosa mi è costato fare fronte alle spese di organizzazione che occorrevano per le riunioni, manifestazioni ed il resto. Premetto che dal 2006 ad oggi Antonio Razzi ha versato al partito circa 160-180 mila euro. Non riuscivo praticamente a capire allora per quale motivo stessi ancora lì ma soprattutto non sapevo più come giustificarmi nei riguardi delle comunità che rappresentavo. Quindi rispondo alla sua domanda dicendo che se Antonio Razzi veniva trattato come un cencio, tutta la comunità che Antonio Razzi rappresentava era considerata un cencio. Da uomo libero e da parlamentare senza vincolo di mandato ho preso la decisione che finalmente libera dall’angoscia e dalle mortificazioni me e le comunità che ancora si sentono rappresentate da me.

Lei è tacciato di essere un traditore, di aver tradito quanti hanno scritto il suo nome sulle schede elettorali, cosa dice loro?

Si tradisce una fede, la patria, il consorte. Io non sono stato sposato con l’Italia dei Valori né tantomeno con Di Pietro. L’IdV non è un ordine religioso, una setta massonica o una congregazione di frati, è un partito politico. La gente ha votato me scrivendo il mio nome e cognome non certo il partito che neanche era conosciuto all’estero. Ho ritenuto, svincolato da vincoli di mandato, di fare gli interessi della gente che mi ha votato perché le loro aspettative venivano sistematicamente disattese. Non solo non li ho traditi ma ho dimostrato loro di avere capacità di discernimento, di essere libero finalmente e questo mi permetterà di agire meglio nei loro stessi interessi. Si lasciano convincere da quanto la propaganda dice a mio discredito che mi sono venduto che mi hanno pagato, estinto il mutuo ecc. Tutte falsità di una gravità assoluta. Il partito su questo ci è sguazzato in quel di Vasto per farsi propaganda. Non si è fatto scrupolo alcuno di organizzarmi telecamere di tutte le televisioni davanti alla mia faccia per far vedere al mondo intero l’onestà dei componenti del partito. L’Italia dei Valori non è una fede, neanche è intrisa di ideologia sacra ed inviolabile. Se lo faccia dire da chi ne ha fatto parte per tanti anni. Invito la gente a leggere di più i fatti veri e di non farsi ingannare dalle apparenze, ad approfondire le circostanze. La politica non è la Religione, non è una religione. E’ la via da percorrere per risolvere i problemi della gente. Nell’Italia dei Valori, quella strada non c’è per gli italiani all’estero. Una mia colpa è stata quella di non essermene reso conto subito questo si ma mai potevo immaginare che al partito non interessassero queste istanze. Mi auguro, beninteso, che chi sarà eletto al posto mio prossimamente abbia più accoglienza e credito ma conoscendo i papabili posso dire già da subito che se saranno eletti avranno una vita difficile quanto se non più della mia all’interno del partito.

Passare al gruppo Noi Sud significa abbandonare le istanze dei suoi concittadini italo elvetici?

Assolutamente no. Se avrò, come mi è stato promesso dal segretario on. Iannaccone, lo spazio necessario continuerò la mia azione politica per essere utile alle istanze degli italiani all’estero. Comprendo il loro disappunto per la mia decisione, capisco anche gli insulti e le parolacce sul mio conto fuori proprio da ogni creanza ammissibile, ma quello che non capisco e mi preoccupano sono le minacce esplicite alla incolumità mia e dei miei cari. Allora ho preso delle contromisure per salvaguardare le nostre persone. In giro vi sono parecchi scalmanati che sono disposti a calpestare chiunque.
Ho avuto però ed ho anche grandi manifestazioni di solidarietà dalla gente che mi vuole bene alla quale ho dato ogni spiegazione del mio operato e delle mie scelte e con le quali ho contatti frequenti. Questo mi conforta perché significa attaccamento alla persona a quello che ho rappresentato per i miei connazionali. Non vi sono dunque solo cori di protesta contro di me ma anche moltissime manifestazioni di affetto e vicinanza che mi invitano a proseguire per la nuova strada intrapresa.

Alle prossime elezioni si ricandiderà?

Non credo. Sono stanco perché tanti anni di mortificazioni seduto all’ultimo banco come l’alunno ciuco di una classe di professori mi ha logorato. Non so se mi passerà questa smania di tirare i remi in barca. Non mi alletta affatto essere ricandidato neanche ne ho bisogno se è questo che vuole sapere. Come se dipendesse da me poi. Noi Sud è un gruppo con una struttura ed un segretario. Da ultimo arrivato non pretenderei mai di essere candidato.

Ritiene di aver dato una lezione ad Antonio Di Pietro con questa sua decisione?

Si. Ritengo proprio di sì. Il “diritto” soccombe quasi sempre per le mani del fesso. Ed il fesso sarei io certo perché il diritto è lui. Ho teso la mano ad Antonio Di Pietro uscente da una conferenza stampa alla Camera ed incontrato lì per caso guardandolo diritto negli occhi non più tardi di ieri 16 dicembre scorso. Tonino ha abbassato lo sguardo ed è andato via in gran fretta senza stringermela farfugliando tra i denti qualche cosa che non ho sentito. Come vede non ero certo io ad avere la coda di paglia. Da uomo ho il coraggio delle mia azioni anche in questi frangenti.

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