PISA. CARO BONDI, LE NAVI ROMANE FARANNO LA FINE DI POMPEI?

di Fabio Evangelisti

Questa mattina il quotidiano La Repubblica dedica un’intera pagina (23) a uno dei patrimoni storico/archeologici più importanti del nostro Paese, le Navi Romane di Pisa, titolando “Rischio collasso per la Pompei del Mare”.
L’ennesima dimostrazione di come il sistema Bondi stia contagiando e immarcescendo tutto il patrimonio storico, archeologico e culturale del Paese. Angolo che giri, vaso di Pandora che trovi e che rivela tutta l’ignavia e i metodi amical-familistici del Ministro della Cultura, scampato alla sfiducia della Camera grazie alla generosa chiusura di Montecitorio da parte della Capigruppo (che ha voluto anche permettere a B. e al suo morente Governo una proficua compravendita di parlamentari in vista del 14 dicembre). Ne è incresciosa testimonianza la situazione in cui versano le 'Navi Romane' di Pisa, a proposito della quale il 10 dicembre ho depositato un’interrogazione a risposta scritta allo stesso Bondi. Le Navi di Pisa potrebbero essere, o avrebbero potuto essere, un modello esemplare di come la scienza archeologica debba investigare sul passato di un territorio, unendo organicamente le esigenze di ricerca scientifica con quelle della salvaguardia del patrimonio, della musealizzazione a scopo conservativo e didattico, della valorizzazione di un bene culturale fino a raggiungere obiettivi di promozione economica e turistica.
Nel dicembre del 1998, durante i lavori per la costruzione di uno snodo ferroviario presso la stazione di Pisa San Rossore, iniziarono a emergere dagli scavi sotterranei tracce di materiale archeologico. La scoperta si rivelò presto ben più importante del previsto, trattandosi di un sito di grande importanza; inizialmente, infatti, si riteneva si trattasse di uno scalo portuale, ma ben presto, identificando la vera natura del deposito, si comprese che si trattava del punto di incrocio di un canale della centuriazione pisana con il corso del fiume Serchio (l'antico “Auser”), dove, a seguito di una serie di disastrose alluvioni (ne sono state identificate almeno sette, dal II secolo a.C. al VII secolo d.C.), erano affondate almeno trenta imbarcazioni.
Il cantiere, oggi, data la grande complessità della situazione stratigrafica, è stato reso stabile e trasformato in un cantiere scuola. Attualmente, a distanza di quasi un decennio, lo scavo è bloccato da mesi, le condizioni di giacitura dei reperti sono in pericolo a causa delle condizioni meteo e di una mancanza di protezione efficace, mentre il museo non è ancora completato e mancano i fondi per terminare i lavori.
Nel 1998, la scoperta eccezionale aveva subito fatto parlare di una Pompei in versione marittima. Il paragone, di questi tempi, purtroppo, rischia di essere infelice, alla luce dell’evidente disastro causato dalla non-gestione del sito campano da parte del Ministro. Da qui, la mia interrogazione alla Camera, nata grazie alla segnalazione dei ragazzi della Giovanile Idv di Pisa. Per scongiurare il parallelismo con la Domus dei Gladiatori, dunque, è urgente che Bondi spieghi al Paese perché lo scavo, che sorge in un contesto delicatissimo che andrebbe trattato con un occhio di riguardo in più rispetto ad altri depositi archeologici, si trovi in questa incomprensibile empasse e quali interventi urgenti intenda adottare per consentire il prosieguo dell’opera conservativa di tale patrimonio culturale e artistico e per quale ragione non ritenga di sostenerne e valorizzarne l’importanza. Vorremmo sapere dal Ministro come mai non si sia ancora deciso a sostenere l’attività del Comitato promotore dell’inserimento di tale patrimonio tra quelli in elenco all’Unesco e, più specificamente, perché si è proceduto alla ricopertura degli scafi con il famigerato “sudario” di vetroresina, dando fiducia a una tecnica di restauro che non ha portato ad alcun risultato, invece di coinvolgere almeno un archeologo navale nel cantiere (anche se ne sarebbe servito uno per nave) e un esperto di imbarcazioni antiche per la documentazione degli scafi.

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