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RIFLESSIONE: LA “CIVILTA’ DEL SUPERFLUO”

In tutta Italia si è svolta la “Colletta Alimentare” proponendo alla gente di donare una piccola quota della propria spesa per contribuire a poter offrire un pasto a chi non ha i soldi per pagarselo.
Pochi immaginano infatti quante siano le persone che nella nostra opulenta società sono veramente in difficoltà da non coniugare il pranzo con la cena.
Non solo immigrati, ma anche anziani ai limiti della sopravvivenza (con una spesso non ostentata povertà, ma vera dietro ad una immagine di decoro) e quanti subiscono il periodo economico difficile. Nell’offrire qualche ora come volontario all’iniziativa, distribuendo sacchetti all’ingresso di un supermercato cittadino, osservavo però anche i carrelli della gente avviata verso l' uscita.
Cumuli di alimentari che in buona parte poi finiranno buttati (oggi gettiamo in pattumiera il 30% degli acquisti), imballaggi debordanti rispetto ai contenuti, maxi-confezioni di prodotti che sicuramente non fanno troppo bene alla salute, articoli identici a quelli offerti in tele-promozione a sottolineare la dipendenza psicologica negli acquisti. Non serve fare il censore di turno, ma credo sia necessaria una energica iniezione di maggiore sobrietà e forse anche qualche lezione di “cultura all’acquisto” che da sola porterebbe a ridurre molti problemi.
C’è invece una corsa al “pago di più per risparmiare tempo” e allora nessuno pulisce più l’insalata, ma molti non si accorgono che le buste pronte al consumo costano cifre da capogiro, oppure notano che molti prodotti-base giustificano solo per le loro super confezioni – e non per il contenuto – il loro prezzo. Sono le abitudini di una società che ultimamente è cresciuta così, dove un abito costa cento volte il valore della fibra che lo ha tessuto e una catena di distribuzione troppo lunga moltiplica per dieci il prezzo di un ortaggio o di un frutto che al contadino è pagato una miseria, ma sul bancone del supermercato ha un prezzo da gioielleria e – anziché da un campo italiano – scopri poi che viene coltivato nell’altra parte del mondo, mentre tutti mangiamo prodotti fuori stagione e quello che avanza…si butta. Quando ero bambino una condotta così sarebbe stata giudicata scellerata perché tutto era riutilizzato e alla fine gli avanzi finivano alle galline del vicino.
Quando ci lamentiamo tanto ricordiamoci che siamo in quel 20% di mondo che consuma l’80% delle risorse, ma che il sistema non può a lungo continuare così…

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