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Per una svolta libertaria

di Luca Bagatin

Debbo dire che la mia indole caratteriale è squisitamente libertaria. Sin da ragazzo ho sempre mal sopportato ogni tipo di autorità e imposizione dall’alto, specie se da me non intimamente compresa. Trovo che l’autoritarismo, la negazione della libertà e le regole imposte siano la peggiore aberrazione che ciascuno di noi possa incontrare nella propria vita terrena. Fra l’eguaglianza e la libertà ho sempre personalmente privilegiato e preferito la seconda. Anche perché, si consideri che gli individui, le persone insomma, non sono, né saranno mai, eguali nel senso più stretto del termine. E ciò è un bene, in quanto la diversità è una ricchezza alla quale è difficile rinunciare, pena non solo la noia, ma anche l’inaridimento dei rapporti umani e interpersonali o la stessa schiavitù del genere umano. La diversità, come la libertà, è un valore che va profondamente tutelato e riconosciuto: diversità di genere, razza, colore, orientamento sessuale, di credo o confessione religiosa e così via. E la diversità è tutelabile solo in una condizione di piena libertà individuale, quindi sociale. Individuale prima ancora che sociale, nel senso che il sociale è l’esatta conseguenza di ciò che avviene a livello individuale. In un articolo di qualche anno fa, che realizzai per il quotidiano di Società Aperta ‘Terzarepubblica.it’ affermavo che “la libertà va conquistata” e che la “può essere conquistata solo se prima d’ogni cosa essa è interiorizzata da ciascuno”. Ovvero, se ciascuno, individualmente, prende coscienza dei propri doveri nei confronti di sé stesso, quindi di chi gli sta intorno, dunque, allargando il cerchio, della società intera. Tali doveri presuppongono, prima d’ogni cosa, delle responsabilità individuali e solo poi, una volta compresi codesti doveri e responsabilità, si prenderà coscienza dei propri diritti naturali e quindi civili. Queste, in sintesi, sono le basi del pensiero liberale che, come potete ben notare, fotografano pressoché esattamente le dinamiche della realtà quotidiana sociale, politica, personale e culturale. Due grandi del pensiero liberale e libertario delle origini sono stati Giuseppe Mazzini e il filosofo statunitense Henry David Thoreau. Il primo, teorico del repubblicanesimo e dell’unità d’Italia, scrisse, nel 1860, i ‘Doveri dell’uomo’, un saggio politico e filosofico attualissimo proprio su quanto abbiamo sopra scritto; il secondo, nel suo ‘Disobbedienza civile’, del 1849, espresse la sua estrema fiducia nell’individuo e nei suoi diritti, nonché la convinzione che ogni persona dovesse rispettare prima i dettami della sua coscienza, piuttosto che le leggi di un determinato governo. Come si può ben notare, qui siamo agli antipodi di ogni possibile freddo pensiero dogmatico. Siamo forse ai limiti dell’utopia. Un’utopia tuttavia lucida e concreta, visto che oggi, grazie al pensiero liberale e libertario anche di questi due grandi, viviamo in un occidente democratico e civile. Alcuni anni fa, mi è capitato fra le mani un agile e interessante libello di Alberto Pasolini Zanelli, pubblicato negli anni ‘80, dal titolo: ‘La rivolta blu – Contro i miti dello stato sociale’. E’ una sorta di compendio di liberalismo che racconta e spiega la rivoluzione liberale, libertaria e liberista degli anni ‘80 contro il potere dello Stato e la sua burocrazia, che portò al governo personalità come Ronald Reagan o Margaret Thatcher e mise in crisi la socialburocrazia, in primis quella scandinava. E’ davvero appassionante notare come liberalismo e libertarismo si fondano all’insegna delle libertà individuali, in economia come nel privato. Ed ecco come in questo compendio si parli di un personaggio apparentemente pittoresco, ma in realtà grande riformatore: il consulente fiscale danese Mogens Glistrup, il quale aveva fondato, negli anni ’70, il Partito del Progresso (FRDP) che riuscì a conquistare quasi il 16 % alle elezioni nazionali danesi sulla base di un programma che prevedeva l’abolizione dell’imposta sul reddito, ritenuta d’impaccio allo sviluppo economico di un’economia avanzata come quella della Danimarca e, contemporaneamente, richiedeva un miglioramento dei servizi sociali erogati. Snobbato e boicottato in tutti i modi, tanto da destra quanto da sinistra, Gilstrup ebbe vita non facile come del resto è ben facile immaginare. Ne ‘La rivolta blu’ si racconta ed elogia il presidente statunitense e leader repubblicano Barry Goldwater, libertario fin nel midollo per quanto concerne i diritti civili degli omosessuali e per l’aborto, arrivando a contrastare fortemente la destra religiosa nel suo Partito (una sorta di Rudy Giuliani ante litteram) e profondamente liberale in economia che gli attirò le simpatie persino della cosiddetta ‘Nuova Sinistra’ libertaria e sessantottina (lo stesso padre della ‘beat generation’, Jack Kerouac, nel poco tempo che trovò da dedicare alla politica fu attivista repubblicano). Si pensi che Goldwater inserì nel suo programma anche il tema dell’ecologia, ovvero della preminenza della qualità della vita sui miti del consumismo di massa. E così, proseguendo nella lettura del volume di Pasolini Zanelli, si incrociano gli ‘anarcocapitalisti’, i ‘libertarians’ e individualisti vari, sino a un giudizio positivo e lusinghiero del liberalsocialismo (vera critica al ‘socialismo reale’ e alla socialburocrazia tipica dei Paesi scandinavi) abbracciato negli anni ‘80 dal Psoe di Felipe Gonzalez e dal Psi di Bettino Craxi, i quali aborrirono il marxismo e liberalizzarono, per così dire, i loro Partiti (anche grazie alla funzione del Partito radicale di Marco Pannella). Insomma, una critica feroce verso la socialdemocrazia per la sua eccessiva burocraticizzazione, per la centralità dello Stato sugli individui, per la sua disaffezione nei confronti della responsabilità individuale. A lettura conclusa si rimane completamente estasiati e rinnovati nel proprio libertarismo. E si riflette sulla situazione europea e soprattutto su quella italiana, in cui pesa ancora quell’astrusa divisione (spesso mentale) che passa sotto il nome di ‘destra e sinistra’. Mentre invece si può notare come la vera divisione-contrapposizione sia fra riformatori consapevoli della propria individualità, responsabilità e dei propri diritti e conservatori amanti dello ‘Stato balia-mamma’, autoritario, clericale, socialfascista o socialburocrate. Si uscirà mai dal ‘pantano’ politico-cultural-ideale, magari riuscendo anche a uscire dal declino che attanaglia il nostro medievale Paese? Se la svolta sarà liberale e libertaria, forse.

(articolo tratto dal blog www.lucabagatin.ilcannocchiale.it)

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