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FINANZIARIA E STABILITA’

Da ormai 17 anni assisto al consueto minuetto di fine d’anno con la legge finanziaria che di solito è approvata dal Parlamento – dopo mesi di discussioni – giusto la vigilia di Natale.

A seconda di essere deputati in maggioranza o all’opposizione i copioni si scambiano, ma non cambiano mai: l’opposizione lamenta tagli e mancati interventi, chi governa sostiene di fare il massimo, ma che la situazione è quella che è.

Quest’anno il diabolico Tremonti ha anticipato i tempi già a luglio ed infatti la legge finanziaria appare svuotata di importanza dovendo sottostare a dei paletti generali molto duri fissati già tre mesi fa ad evitare di far la fine della Grecia, della Spagna, in questi giorni dell’Irlanda.

Anche se quest’anno la finanziaria si chiama “Legge di stabilità” la sostanza non cambia: si tira la cinghia come non mai. Come deputato di maggioranza l’ho responsabilmente votata, ma in soldoni è una legge dura imposta dai fatti per tentare di stabilizzare l’Italia in un’economia europea tutta scricchiolante e noi siamo tra i deboli perché abbiamo un deficit pregresso da far paura. Il rischio è però che non si taglino abbastanza le spese fisse (personale pubblico, innanzitutto) ma soprattutto quei pochi capitoli discrezionali per i quali i soldi non bastano mai. Credo però che mai come quest’anno appaia prioritaria una necessità: trasformare nei fatti un federalismo atteso, ma che invece rischia di perdersi nel buio della possibile crisi di governo.

Abbiamo invece un grande bisogno che il territorio possa dire la sua sulle questioni fiscali e decida come spendere i propri soldi. Un principio che servirebbe anche a sottolineare quello che per me è chiaro: una parte d’Italia spende male i soldi che le arrivano, grazie ad imposte peraltro pagate da qualcun altro che adesso comincia a scocciarsi. Ecco perché il federalismo fiscale dovrebbe servire proprio a stabilire il concetto che spende chi paga, a parte un forte fondo di solidarietà. Temo però che – come nel gioco dell’Oca – ci si avvicini sì alla meta ma non la si colga mai perché troppi sono gli interessi che spingono perché le cose più o meno restino invece sempre così.

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