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Il nervo scoperto della Lega

Si indigna, si offende, si scalda. Tanto da prendere carta e penna per scrivere al Cda Rai e ai presidenti dei due rami del Parlamento (notoriamente poco impegnati in questi giorni così sereni per il Paese), chiedendo che gli sia garantita la possibilità di partecipare alla prossima puntata di ‘Vieni via con me’ per poter replicare a Saviano. Se così non fosse, arriva al punto di minacciare il ricorso al capo dello Stato (notoriamente, anche lui, poco impegnato in questi giorni così sereni per il Paese).

Il ministro dell’Interno Maroni è però insaziabile in questa sua sete di vendetta. Non gli basta infatti il ricorso alle istituzioni e al servizio pubblico di informazione: minaccia anche la querela verso lo scrittore che lo ha paragonato a Sandokan, cioè il boss dei casalesi che lo vorrebbe morto. Al giovane autore di Gomorra preoccupa infatti l’atteggiamento del ministro: quella richiesta di Maroni (“Saviano abbia il coraggio di affermare ciò che ha detto in tv guardandomi negli occhi”) è suonata simile alla stessa richiesta avanzata nell’aula di Tribunale dal legale del capo camorra Schiavone (“voglio vedere se Saviano ha il coraggio di dire quelle cose guardando Sandokan negli occhi”). Analogie inquietanti, secondo lo scrittore, perché denotano un atteggiamento intimidatorio che proviene non da un boss, ma dal ministro dell’Interno.

Un ministro che con grande disinvoltura scomoda parole come censura e bavaglio nel caso in cui la replica face to face sul palcoscenico di Rai3 non gli fosse consentita. Da che pulpito! Maroni fa parte di un governo che ha cercato di introdurre un ddl criminogeno come quello sulle intercettazioni, capace di azzerare in un solo colpo sia la cronaca giudiziaria che le indagini anti mafia. Maroni ha avallato, nonostante i proclami legalitari della Lega, l’approvazione di leggi che hanno favorito le mafie e soprattutto la borghesia mafiosa (processo breve e via elencando), ha fatto parte di un partito che in passato denunciava il premier (ricordate le dieci domande pubblicate su La Padania nel ’94?) e che per accaparrarsi le ghiotte poltrone governative si è svenduto anima e coerenza per anni, arrivando a piegare la testa di fronte ad un profluvio di leggi ad personam, anzi ad criccam (mafioso-piduista).

Il problema è che la reazione furiosa del ministro Maroni e della Lega – quelli della legge forte con i deboli (immigrati e comitati di Terzigno) e debole con i forti (faccendieri, massoni, collusi, corrotti dei vari settori del paese) – indica quanto sia vero ciò che Saviano ha denunciato in tv. Le mafie fiutano il guadagno, rincorrono il denaro: le mafie fanno e sono business, in tutto il mondo e anche in tutta Italia (di cui determinano parte dello stesso Pil). Per questo da tempo hanno dismesso la strategia militare e armata, cercando l’infiltrazione finanziaria e imprenditoriale. Per farlo la politica – soprattutto le amministrazioni locali – è un interlocutore purtroppo naturale: favorite da questa, garantiscono in cambio il consenso elettorale. Le mafie ancora sono portatrici insane di voti.

Il Nord ricco e produttivo, il suo tessuto industriale, le opere pubbliche nel campo dell’edilizia e gli eventi speciali (dalla Tav all’Expò), le società miste pubblico-private che godono di appalti regionali in vari settori, la sanità sono forzieri di arricchimento su cui vogliono mettere le mani e per mettere le mani l’aiuto politico e amministrativo è indispensabile. E’ una verità lapalissiana. Affermarla, come ha fatto Saviano, significa però lanciare un allarme politicamente trasversale e senza confini geografici. Un boccone amaro per la Lega, formazione territoriale radicata nel Nord e crociata a parole della legalità, oltre che sempre pronta ad inveire contro il sud mafioso vergogna d’Italia. Un boccone addirittura immangiabile in un momento in cui si fa sempre più prossima la campagna elettorale.

Ma Saviano ha ragione ed è supportato dalle recenti inchieste delle procure di Milano e Reggio Calabria, che hanno portato in luglio all’arresto di 500 affiliati della ndrangheta che operavano stabilmente nel Nord. Non solo boss ripuliti, ma imprenditori e amministratori. E creano un qualche imbarazzo le foto presenti nelle carte dell’inchiesta, quelle del consigliere regionale leghista Ciocca, anche detto mister preferenza (19mila voti alle ultime elezioni regionali, un successo maggiore del figlio di Bossi), pizzicato mentre parla con Neri, l’avvocato considerato la testa della rete ndranghetista colpita dalle due procure.

Se non bastasse, è utile ricordare anche l’ultima Relazione consegnata dalla Dia al Parlamento e relativa al primo semestre del 2010, in cui si afferma che nel Nord e soprattutto in Lombardia c'è una “costante e progressiva evoluzione della ndrangheta che, ormai radicata da tempo su quei territori, interagisce con gli ambienti imprenditoriali lombardi”. Saviano questa verità scomoda non doveva pronunciarla perché tocca un nervo scoperto della Lega. Quindi adesso va punito.

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