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Quanto durerà  il patto di ferro tra Bossi e Berlusconi?

di Gianluca Sadun Bordoni

Non c’è dubbio che questo sia uno degli interrogativi centrali dell’attuale, confusa situazione politica. Per quanto riguarda il futuro del centro-destra, è anzi senz’altro l’interrogativo cruciale.
La Lega si trova di fronte ad un dilemma difficile, in fondo simile a quello che la tormentò nel 1994. Come nel caso di Fini, anche per Bossi il legame con Berlusconi non è mai stato facile, data l’incoercibile tendenza di quest’ultimo ad assumere il ruolo di dominus assoluto, nell’azienda come in politica. Allora, la Lega scelse la discontinuità, e con ciò salvò probabilmente se stessa. Oggi è di fronte alla possibilità, che la scelta di perpetuare la sempre più indigesta alleanza con Berlusconi le imponga una sconfitta elettorale, dalle oscure conseguenze politiche.
E’ infatti inevitabile che, se si andrà a breve alle urne, con l’attuale legge elettorale, si formi un’ampia – e indubbiamente eterogenea – coalizione, che sfrutti il machiavello architettato dagli stessi leghisti e punti ad ottenere quel voto in più che, con il Porcellum, le consegnerebbe il governo del paese.
Appare probabile che, nel clima che si va delineando, da ultimi giorni dell’impero, tale coalizione riuscirebbe nell’intento di vincere le elezioni. Berlusconi e Bossi possono certo scommettere sulla scarsa tenuta di questa grande alleanza, ma intanto dovrebbero andare all’opposizione, con un incerto futuro, specie per l’ormai già quasi ex Premier.
Accetteranno i leghisti, a cominciare dalla loro grande e solida base, il concreto rischio di affondare con Berlusconi?
L’alternativa è chiara: accettare come fatto ineluttabile il declino del berlusconismo ed entrare nel processo costituente del nuovo centro-destra, facendo valere il loro peso elettorale, il grande radicamento nel Nord, l’impulso verso il federalismo, che può essere razionalizzato, ma certo non negato alla radice.
In tal modo, avrebbero la possibilità di concorrere alla definizione della base programmatica del nuovo centro-destra, a cominciare dall’architettura istituzionale e dalla legge elettorale. Altrimenti, dovranno subire le riforme definite senza di loro.
Per quanto riguarda Berlusconi, per chi lo ha appoggiato nella sua fase ascendente, quando egli sembrò incarnare un progetto di modernizzazione del paese rimasto purtroppo largamente sulla carta, è chiaro che non si cercherà l’accanimento, proprio solo di chi vorrebbe trattarlo alla stregua di un malfattore. Berlusconi è un grande imprenditore, ha dominato, nel bene e nel male, la vita politica italiana in questo difficile ventennio del post-comunismo, ed a lui indubbiamente si attaglia un’uscita di scena non infamante. Non sembra impossibile trovare una via d’uscita, decorosa per tutti.
In ultima analisi, questo è lo scenario che risulterebbe più vantaggioso per tutti i protagonisti. Esso contiene inoltre l’inestimabile vantaggio che potrebbe consentire un superamento del berlusconismo, che ne conservi la più grande acquisizione, e cioè l’assetto bipolare della democrazia italiana. Purtroppo, se è in generale vero che la ragione è schiava delle passioni, ciò è tanto più vero in politica, specie quando si sta consumando un’epoca, e con essa i destini di molti uomini, in cui non sembra brillare la grandezza.

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