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La lotta alle mafie passa anche per “Vieni via con me”

Autore Sonia Alfano

Due anni fa, insieme ad esponenti dell’antimafia civile, scrissi una lettera pubblicata da Repubblica, significativamente titolata «Uniti nel nome di Saviano». Il passaggio centrale di quel documento collettivo era: «Forse per la prima volta, come per magia, la vita d'un uomo in pericolo per aver scritto di crimine e parlato di speranza ha fatto davvero gli italiani».
Berlusconi stava già al governo e in Italia cresceva la lotta civile di movimenti e giovani alle mafie. La questione morale, specie dopo gli assurdi intrecci alla Procura di Catanzaro, emergeva come problema principale da un Paese segnato dalla corruzione, dalla perdita del senso delle istituzioni e dai limiti, non solo formali, posti alla libertà di pensiero e di stampa.
Quasi per reazione naturale, di là da ideologie e poli, si formava una coscienza critica che, attraverso l’informazione condivisa in rete, le piazze e la letteratura di denuncia, individuava la priorità della nazione, cioè il contrasto del crimine in ogni modo organizzato. La grande novità, allora, fu che il popolo iniziò a intervenire come blocco coeso, superando il generale appiattimento della politica, spesso chiusa nei salotti della tv, e sostenendo la magistratura impegnata a difendere la Costituzione e la democrazia.
Oggi, quella stessa, ampia resistenza civile, fatta di saperi, intelligenze, tensione morale e alternativa, non è finita; anzi, ha trovato una sintesi compiuta nel monologo iniziale di Roberto Saviano alla trasmissione «Vieni via con me»; declinato a partire dalla figura di Giovanni Falcone, dalla responsabilità del magistrato e dalla lungimiranza del pool di Palermo, che comprese anzitempo l’espansione internazionale della piovra mafiosa, la necessità di tracciarne e colpirne la rete economico-finanziaria.
Falcone e Paolo Borsellino avviarono una lotta culturale alla mafia, guardando in primo luogo alle nuove generazioni. Ieri sera Saviano ha spiegato a tutti, rivolgendosi anzitutto ai più giovani, che cosa avvenne all’epoca delle stragi in Sicilia e come la politica avversò i nemici di «Cosa nostra»: mentendo, diffamandoli, delegittimandoli. Una pagina di televisione e cultura diversa, dunque, che finalmente ha posto l’accento sul valore dello Stato, delle regole, dei veri esempi, dell’utopia per la giustizia. Questo in un contesto patologico, di totale sovversione dei princìpi, determinato dai metodi, dai costumi, dai servitori, dai mezzi, dai soldi e dai vizi del primo ministro.

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