Di Mario Michele Pascale, candidato alle primarie del centrosinistra
Il lavoro non è una cosa in sé, non è categoria filosofica né ente morale.
E' quello strumento, sottolineo strumento, che ci da la possibilità di esistere biologicamente e di soddisfare i nostri bisogni materiali e spirituali.
O quanto meno dovrebbe.
Oggi il lavoro si sta tramutando in una maledizione; molti non ce l'hanno, molti non devono dire di averlo, altri possono essere cacciati via in qualsiasi momento, taluni vengono assunti ed “affittati” per una o due settimane, quasi tutti lavorano, letteralmente e nella maniera più bruta, per vivere: arrivare al 15, 20 del mese e basta, spendendo il proprio salario per affitto, bollette, generi alimentari e … niente altro, è una tragica realtà.
Pochi privilegiati, razza in via di estinzione, hanno un impiego sicuro e ben pagato.
E' questa vita da uomini? E' questa dignità delle persone e dei cittadini?
Secondo me no.
Quando un padre o una madre di famiglia o un single, rientrando a casa dal lavoro, si trovano perennemente i conti da pagare e non hanno una risposta né alle loro esigenze né a quelle dei propri cari, non c'è dignità.
Il lavoro dovrebbe darci la possibilità di liberarci dalla condizione tragica dello stato di natura, in cui ogni giorno si combatte per la sopravvivenza; il lavoro dovrebbe darci libertà dalla nostra condizione biologica per farci esistere, nel tempo che ci rimane, come esseri pensanti dotati non solo di forza muscolare o di meccanismi mentali funzionali all'impiego, ma anche come uomini e donne con una propria sensibilità e con propri bisogni spirituali ed intellettuali.
Quando si rientra dal lavoro e l'unica nostra possibilità consiste nella bestemmia, siamo noi liberi?
Secondo me no.
Quando l'unica via d'uscita dalla disperazione, dall'ufficiale giudiziario, dalla cartella esattoriale, dal recupero crediti è la pensione dei nostri nonni o dei nostri genitori, siamo noi persone libere?
Secondo me no.
Cosa bisogna fare?
Anzitutto misurare il benessere del paese in maniera diversa, smettendo di credere alla befana in forma di statistica.
Il PIL è una menzogna, una manipolazione della realtà degna del grande fratello (ovviamente mi riferisco al libro di George Orwell).
Il Pil ci parla dello stato di salute del grande capitale industriale e finanziario, non parla di noi.
In pratica il Pil misura di tutto, tranne quelle cose che rendono una vita degna di essere vissuta.
Noi dovremmo, invece, misurare la capacità di acquisto, la qualità dei servizi, lo stato di salute, economicamente parlando, dei cittadini e non quello dei giganti dell'economia.
Una Fiat in ripresa, ad esempio, quasi mai vuol dire il benessere dei suoi operai, né che una pensione sociale improvvisamente raddoppi.
Libertà ed Eguaglianza propone l'introduzione del QUARS, indicatore economico che descrive un nuovo modello di sviluppo basato sull’equità, la sostenibilità e la solidarietà, sintetizzando quattro indici: l’indice di Sviluppo Umano, elaborato dall’O.N.U.; l’indice di Qualità Sociale, composto da indicatori su sanità, salute, scuola e pari opportunità; l’indice di Ecosistema Urbano, ottenuto da Legambiente; l’indice di Dimensione della Spesa Pubblica, che valuta i livelli di spesa su istruzione, sanità, ambiente ed assistenza.
Valutare ed analizzare per correggere, ripeto, non l'Italia dei Tronchetti Provera, dei Marchionne, dei Berlusconi, ma quella dei cittadini che ogni giorno si svegliano per lavorare, che abitano e vivono le nostre città, che mandano i figli nella scuola pubblica, che si curano nelle Asl.
Ma mandare in pensione il PIL è solo l'inizio.
Oggi molti giovani, soprattuto nel settore della vendita e del telemarketing “outbound”, vivono una condizione servile. Il sistema fisso + incentivi è, in genere, legato al raggiungimento di un risultato ben preciso. Per fare un esempio concreto, per ricevere un fisso di 450 euro al mese, più qualche spicciolo di provvigione, bisogna raggiungere un certo numero di contratti. Se non ci si riesce si viene licenziati. Ogni giorno un lavoratore è costretto a vivere con la spada di Damocle sul collo; più si avvicina la fatidica data del termine del mese, più l'ansia e l'angoscia salgono. Affitto, bollette, beni di prima necessità affollano la mente del lavoratore. Egli è anche fortunato se l'azienda non nasconde il rapporto subordinato facendogli aprire una partita Iva ed “affittando” la postazione telefonica; alla fine vi è anche la beffa della presentazione della dichiarazione dei redditi e magari anche una verifica fiscale perché (giustamente) il “libero professionista” dichiara una cifra ritenuta irrisoria e non congrua dall'agenzia delle entrate.
Se quello che all'inizio del mese brandisce il telefono o esce di casa a caccia di clienti è un uomo, quello che torna a casa a fine mese è poco più di un cadavere che cammina.
Io ho delle proposte concrete:
1) Le aziende che si occupano di vendita porta a porta e di telemarketing dovranno applicare solo contratti a tempo determinato o indeterminato. Questo vorrà dire investire sulle risorse umane, prepararle, formarle in modo di avere venditori e promotori affidabili, in grado di piazzare efficacemente diverse tipologie di prodotti e non vile carne da cannone da masticare, deglutire, metabolizzare ed eiettare per innominabili vie.
Per quelle aziende che piazzano prodotti ad alto costo o di “utilità sociale” (come i farmaci, ad esempio) in cui il venditore è necessariamente qualificato, l'unico contratto da applicare, oltre al tempo indeterminato, è l'Enasarco che, già oggi, tutela efficacemente sia le aziende che i lavoratori, i quali, sono veri liberi professionisti, risorse umane qualificate e valorizzate sia da un punto di vista economico che formativo.
2) Andrà vietata per legge la cessione del ramo d'azienda quando ad essere ceduta è un'intera catena di venditori. Si tratta di vera e propria tratta dei lavoratori in cui il singolo viene “incentivato” a passare da un contratto chiaro e da una situazione economica stabile ad una incerta e traballante azienda terza, che in genere, è solo un veloce momento di transito verso la disoccupazione.
Tutto questo per liberare l'azienda “madre” da ogni onere, colpa e responsabilità.
3) Dignità del lavoro vuol dire anche che ognuno di noi, legittimamente, può aspirare a svolgere la professione che vuole, che sente più consona a sé.
In quest'ottica va riformato l'accesso alle professioni. Troppi vincoli, leggi, leggine e leggette, nonché feroci lobbies ed inaccettabili privilegi di casta, impediscono ai nostri giovani di inserirsi professionalmente.
Io propongo l'abolizione degli esami di stato, dei concorsi e dello sfruttamento del lavoro mascherato da tirocinio per diventare giornalisti, notai, commercialisti, avvocati, titolari di una farmacia.
Il libero acceso alle professioni è un atto di civiltà contro le corporazioni medioevali che ancora stritolano il paese.
C'è anche un quarto punto, estremamente importante, nelle mie proposte.
Abolizione, per via legislativa, del lavoro interinale.
Il lavoro è una cosa seria e chi lo da deve essere consapevole dei suoi doveri e responsabilità come datore. Troppo facile lavarsi le mani da ogni responsabilità “affittando” lavoratori come fossero dvd o costumi di carnevale.
Vedete, io potevo, oggi, stupirvi con effetti speciali, lanciare roboanti parole d'ordine, dirvi che “la pazienza è finita” o che “ho un sogno” e una “buona novella” da comunicarvi.
Ho preferito invece parlare di cose concrete, proposte che possono essere presentate in parlamento per diventare legge dello stato, che sono vere e proprie battaglie per la civiltà, che sia io che il movimento Libertà ed Eguaglianza, porteremo avanti.
Ho fatto questo perché ho fiducia in voi e nella vostra capacità di scelta, giudizio e di discernimento; chiedo a voi, popolo delle primarie, di ricambiare questa mia fiducia.
Alle primarie nazionali del centrosinistra votate per me, Mario Michele Pascale, candidato del movimento “Libertà ed Eguaglianza”.
Mario Michele Pascale
candidato alle primarie nazionali del centrosinistra per il movimento Libertà ed Eguaglianza
direttore di Mariannetv.eu