Ma ora siamo in autunno….per l’inesorabile mutar delle stagioni

di Andrea Buquicchio

Nessun poeta, forse solo una musa potrebbe descrivere l’incanto di Pantelleria : la
trasparenza ed il profumo del suo mare, i colori della sua terra, il vento che lega l’odore
dell’origano e dei germogli dei capperi alla salsedine.
Meriggiare sulla sua spiaggia ti fa pensare a terre lontane, a genti che hanno nei secoli
varcato queste acque. Non si può non sognare a Pantelleria in un pomeriggio di fine
estate.
Dopotutto siamo fatti “ della stessa sostanza dei sogni “ . Ho voglia di chiudere gli occhi e
distendermi al sole. Il mio libro resta aperto sullo scoglio; odo sempre più ovattato il
frangere dei flutti e in dissolvenza vedo le pagine del libro scorrere e vibrare sotto un
leggero grecale. Mi sto addormentando, anzi sto cominciando a sognare.
Come Teseo, protagonista della commedia di Shakespare che sto leggendo, ellenico è
anche il personaggio del mio sogno, ateniese come il duca della fiaba.
Lui dice di chiamarsi Pericle. Mi porta in giro per la collina ateniese, poi per le contrade
fino a Kolonos e passando davanti alla statua di Atena, dea della scienza e della
saggezza, mi dice che un giorno gli dei cederanno il potere alla sapienza e all’intelligenza
degli uomini.
Come finestre aperte sulla storia mi fa attraversare strade ed agorà, mi fa conoscere
quelle che sono divenute le istituzioni della democrazia che qui chiamano anche isonomia
(uguaglianza di fronte alla legge).
Mi parla dell’alternanza, regola essenziale della democrazia e secondo la quale vengono
istituite le magistrature e le amministrazioni della città.
Mi dice che ad Atene c’è la possibilità per tutti i cittadini di partecipare alle
discussioni politiche ed esprimere liberamente le proprie opinioni. Chi dissente
nelle accademie, nelle curie, nelle aule, viene comunque onorato e rispettato. Chi
dissente nell’assemblea dei 500 rappresentanti della Bulè, può farlo liberamente
senza rischiare di venire accompagnato alle porte della città, verso l’esilio con
l’accusa di empietà o lesa maestà, solo per aver espresso la sua contrarietà rispetto
alle decisioni della maggioranza. Persino l’ostracismo verso chi abbia attentato
all’ordine dello Stato, per essere esecutivo, necessita di un quorum di 6000
cittadini ateniesi.
Mi spiega che nessuno nella vita di uno stato, di un partito, della stessa polis, è unico ed
indispensabile, anzi mi consiglia a diffidare dei titolari delle maggioranze esclusive ed
egemoniche, di chi emargina le minoranze non col governo ma con la dittatura dei
numeri, con la categoria mentale della quantità e con l’utilizzo delle cerchie oligarchiche
fidelizzate.
Ad Atene chi non rispetta le minoranze non rispetta l’equità, fondamento del diritto.
Mi spiega quanto sia importante fondare l’azione politica sull’onestà materiale e
intellettuale; mi fa capire quanto sia fuorviante anzi aberrante la cieca e futile rincorsa
all’estensione numerica dei consensi privi di contenuto politico, quanto siano labili le
costruzioni artificiali del seguito basato sui rapporti clientelari, a tutti i costi e in ogni
direzione.
Alla lunga in politica l’intensità vince sull’estensione.
Mi insegna che il rispetto per le idee altrui è l’essenza stessa della politica; mi
ricorda che non diventerà mai un politico chi avrà rinunciato, per timore
reverenziale, a manifestare il proprio pensiero al cospetto dei superiori in grado.
Così non sarà mai un politico chi indosserà da sé le vesti di figlio unico del genio e della
ragione, illuso depositario della verità infallibile ed indiscutibile, umano quasi affine agli dei
e rappresentante dell’Olimpo in terra. Non può farlo nemmeno chi come Pericle, ad Atene
viene chiamato stratega.
Mi parla di quel filosofo di Ceo che giudicando le capacità umane e politiche
soprattutto nelle avversità e nelle condizioni di caos, considera il silenzio la più
grave colpa di un governante e perfino di un re.
Mi fa riflettere sui rischi di ogni regime, anche per quello democratico: la monarchia può
degenerare in tirannia, l’oligarchia in dinastia, la democrazia può disperdere il suo
ordinamento e le sue regole e tramutarsi in anarchia e oclocrazia, cioè degradare nel
potere delle folle informi senza regole e senza un progetto politico.
Aggiunge a queste sue considerazioni la necessità, in sede di giudizio, della
indipendenza e indispensabile terzietà degli organismi di garanzia e di controllo; i
magistrati giudicanti non siano al servizio dei detentori dei restanti poteri, né scelti
dalle stesse assemblee esecutive e deliberative. Nello stato di diritto i controllori non
possono essere scelti dai controllati. Mi ricorda che già il suo predecessore Temistocle
ha introdotto il criterio del sorteggio nella scelta dei 9 avvocati dello stato. Pericle dice
d’aver fatto di più, riconoscendo persino una indennità all’ufficio della magistratura affinché
possa essere accessibile anche ai cittadini privi di risorse economiche, che siano
meritevoli. Addirittura i piccoli contadini possono far parte dell’arcontato.
Alla fine mi saluta sulla scalinata dell’acropoli, dicendomi: “Ci è stato insegnato a
rispettare anche quelle leggi non scritte che risiedono nell’universale sentimento di ciò che
è giusto e di ciò che è buon senso. Quello che non è scritto nei regolamenti va
interpretato alla luce dei principi fondanti che regolano la vita di una comunità ;
ogni singolo ramo del diritto deve vivere della stessa linfa delle sue radici”.
Aggiunge :“ benché in pochi siano in grado di dare vita ad una politica, tutti qui ad Atene
siamo in grado di giudicarla. Noi non consideriamo la discussione come un ostacolo
sulla via della democrazia e crediamo che la felicità sia il frutto della libertà, ma la
libertà è il frutto del valore.”
Ad un tratto fissa lo sguardo all’orizzonte e mi dice indicandomi il Partenone : “ Questo
tempio è, per noi ateniesi, il simbolo della vittoria della democrazia sulla tirannide. L’ ho
fatto ricostruire dopo l’incendio e la distruzione avvenuta per mano persiana. Il grande
Fidia lo ha concepito, nel suo complesso ed in ogni sua singola statua, secondo i canoni
della proporzione aurea, misura divina del bello. Lo abbiamo dedicato ad Athena
Parthenos (vergine) perché senza l’equilibrio della razionalità e della saggezza, senza la
luce della purezza, senza l’onore dell’integrità non può esistere la democrazia.
Per agire bene bisogna pensare bene ed essere cittadini per bene.
Ad Atene noi facciamo così ”.
Lo vedo quindi allontanarsi ed affrettare il passo, confondersi come un punto bianco sui
marmi dell’acropoli. Improvvisamente odo un batter d’ali : una civetta volteggia su un
albero d’ulivo e infine si posa sopra la statua di Atena .
Ho la percezione di vivere qualcosa di reale e nitido che non sia ancora avvenuto e che
debba avvenire nel futuro, invece sto solo sognando una pagina di un libro di storia.
Un bagliore improvviso di luce mi sveglia, non sono ad Atene ma al sole di Pantelleria; un
verso lamentoso e stridulo attira il mio udito e il mio sguardo. Quella civetta che nel sogno
volava sull’albero d’ulivo, sulla statua di Atena, è in realtà un gabbiano sullo scoglio qui di
fronte a me. Si sa che questo uccello marino preferisce nidificare sulle coste rocciose e sta
beccando proprio la copertina del mio libro.
E’ un gabbiano bianco, un larus mediterraneo. I marinai da sempre lo chiamano
gabbiano perché suole posarsi sulla gabbia, parte mediana dell’albero maestro delle navi.
Gli uomini di mare dicono che quando un gabbiano emette questo caratteristico
grido è segno che si approssima la burrasca e ciò turba il mio animo.
Questa immagine mi fa riflettere; mi appare come un presagio e un’allegoria della realtà
presente; riguarderà forse il mio partito?
Da tantissimi anni il gabbiano è il simbolo del mio impegno e della mia passione politica
così come quella di tantissimi amici, ma sento che qualcosa sta cambiando tra le sue
piume: quell’iride di colori nelle sue ali, mi sembra di vederla più sbiadita, il bianco del suo
petto un po’ più grigio. Vorrei potermi sbagliare ma un dubbio mi assale: forse per volare
troppo in alto questo gabbiano, sta rischiando di smarrire la sua rotta e i suoi lidi.
L’impronta delle sue zampe palmate, sui radi tratti di sabbia di Pantelleria, viene
cancellata dal moto incessante delle onde. E’ un uccello marino, sa nuotare e volare e
invece lo vedo correre sugli scogli contro le onde, più veloce del mare ma nulla si può
imprimere nell’acqua e nella sabbia.
Quanto è diversa la realtà dal sogno e quanto è difficile doverla accettare senza unirsi al
gabbiano in strilli acuti e sofferti.
Quanto è difficile per quel gabbiano ed anche per gli uomini volare alto sulla statua
di Atena.

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