Qui sotto un articolo che ho pubblicato oggi su “Il Fatto Quotidiano”.
L’on.le Ghedini ha annunciato che agirà “nelle opportune sedi giudiziarie” nei confronti della giornalista Claudia Fusani (alla quale va tutta la mia solidarietà), rea, a suo dire, di aver prospettato in un suo articolo che egli, in qualità di difensore (non si capisce di chi), avrebbe “nel corso d’indagini difensive incontrato decine di persone per concordare la versione e per istruirle su cosa dire”.
Lascio ai magistrati la valutazione del caso specifico ma, forse, è giunto il momento di riflettere meglio sulle conseguenze negative, per la ricerca della verità e per la corretta acquisizione delle prove, a cui può portare la nuova disciplina delle “indagini difensive preventive”, varata dieci anni addietro.
Recita l’art. 391 nones c.p.p.: “L’attività investigativa può essere svolta anche dal difensore che ha ricevuto apposito mandato per l’eventualità che si instauri un procedimento penale”.
Lo scopo dichiarato è quello di assicurare alla difesa la possibilità di compiere indagini in proprio per tutelare meglio il suo assistito.
COSÌ PERÒ si corre il concreto rischio oggettivo (ripeto “oggettivo” cioè oltre l’intenzione del difensore) che le indagini difensive, specie se “preventive” (cioè svolte ancor prima che l’Autorità giudiziaria sia venuta a conoscenza della commissione di un reato) rischiano di inquinare gli accertamenti che dovrà poi svolgere il Pubblico ministero.
Si immagini (ripeto, si immagini, senza alcun riferimento a fatti e persone reali) il caso di un potente personaggio delle istituzioni (mettiamo, un presidente del Consiglio) che – dopo aver commesso un reato (ipotizziamo un abuso d’ufficio per aver preteso che la Polizia rilasciasse subito una giovane borseggiatrice colta in flagrante) – incarichi il suo avvocato di fiducia di accertare se qualcuno possa averlo visto o possa riferire qualcosa di compromettente contro di lui. Il difensore fa diligentemente il suo mestiere e interroga tutte le persone che potrebbero riferire qualcosa contro il suo potente assistito.
Quale serenità d’animo possono mai avere le persone “sentite” dal difensore di colui che devono accusare?
Si badi bene, il problema non è l’avvocato che svolge diligentemente il suo mandato difensionale, ma la concreta possibilità che viene data ai responsabili di qualsiasi reato (e quindi anche ai mafiosi e ai potenti) di poter avvicinare i possibili testimoni prima ancora che questi possano essere sentiti dai magistrati, anzi, prima ancora che la notizia dei reati pervenga all’Autorità giudiziaria.
NON CI VUOLE Frate indovino per capire che, in questo modo, ogni autore di delitti (anche i più efferati, come può essere il favoreggiamento o lo sfruttamento della prostituzione minorile) cerchi di sapere, per tempo, se ci sono testimoni a suo carico. E, quindi, si attivi in tutti i modi nei loro confronti – con minacce, pressioni, intimidazioni, promesse, regalie, favori – per indurli a non riferire i fatti ai magistrati o a riferirli in modo conforme alla volontà dell’autore dei reati, anche se difforme alla realtà. Ovviamente, la colpa non è dell’avvocato perché questi, per legge (e anche questa è una “chicca” tutta da giustificare), ha il diritto-dovere di riferire al suo cliente il risultato delle proprie indagini difensive.
Può capitare così che quest’ultimo – magari perché è presidente del Consiglio – prometta a un ufficiale di Polizia una rapida carriera, a patto che questi eviti di arrestare la borseggiatrice e assicuri alla giovane ladra un futuro radioso nel mondo dello spettacolo.
Il tutto per nascondere sotto il tappeto fatti e comportamenti che comprometterebbero la sua onorabilità personale e il suo ruolo pubblico.
Insomma e in definitiva, pongo un quesito tecnico senza volermi addentrare in alcun caso specifico: davvero la suddetta norma che prevede le cosiddette “indagini preventive difensive” è una norma di garanzia e non si stia rivelando, invece, un sistema perverso per aggirare la legge, legalizzando l’inquinamento probatorio?
Credo che un dibattito su tale questione, oggi più che mai, possa diventare attuale.
Postato da Antonio Di Pietro