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Fiat: servono onestà , verità  e trasparenza

Autore Maurizio Zipponi

Va presa molto seriamente l’affermazione di Marchionne che indica l’Italia come un peso per i bilanci della Fiat, ovvero della famiglia Agnelli. Abbiamo l’impressione che ci sia una propaganda tesa a individuare nei lavoratori i capri espiatori per coprire le difficoltà che oggi ha la Fiat.

Proviamo a elencarle: la Fiat ha perso quote di mercato in Europa e in Italia superando largamente il calo medio del mercato perché mancano modelli nuovi innovativi dal punto di vista dell’impatto ambientale con un valore aggiunto importante.
La Fiat ha chiesto ai lavoratori l’utilizzo degli impianti 6 giorni alla settimana, come snodo per fare gli investimenti in Italia, mentendo sul fatto che è già possibile, secondo il contratto nazionale vigente, utilizzare gli impianti nella quantità richiesta.
Nel 2009 e nel 2010, considerando il livello ottimale di lavoro in un anno, pari a 280 giorni, 24 ore su 24, lo stabilimento di Mirafiori è stato utilizzato al 63% della capacità produttiva, quello di Cassino al 24%, Melfi al 65%, Pomigliano al 14% e la Sevel al 33%. Dati simili si registrano anche in Iveco. Quindi, resta da chiedersi: quali, quanti investimenti per nuovi modelli verranno effettuati? E soprattutto dove saranno costruiti?
L’altra grande questione della Fiat è legata alla finanza. Il precedente piano quinquennale prevedeva, per il 2009, l’azzeramento del debito che invece si aggira intorno a 4,4 miliardi. Mentre il debito netto delle attività industriali raggiungerà i 6 miliardi (come pubblicato su ‘Il Corriere della sera’ il 30 agosto 2010). La Fiat è azionista della Chrysler americana che deve restituire al governo Usa il prestito ricevuto per evitare il fallimento. La Chrysler non è in perdita, ma non ha gli utili necessari per coprire il prestito, costringendo gli azionisti a intervenire. Infine, gli investimenti previsti dai concorrenti europei sono percentualmente superiori a quelli annunciati dalla Fiat in quanto la sfida è nella costruzione di auto a impatto ambientale vicino allo zero (dall’idrogeno all’elettrico).
Gli attuali azionisti di riferimento della Fiat, la famiglia Agnelli, volendo uscire da tempo dall’auto non intendono immettere capitali di rischio ma solo ‘vivacchiare’.

L’Italia dei Valori è d’accordo nel mantenere in Italia il settore dell’auto e l’indotto, che rimetta in moto gli investimenti a partire dalla ricerca. Negli Usa, in Francia e in Germania, i governi intervengono direttamente, evitando aiuti occulti, rendendo espliciti i ritorni economici e occupazionali per il proprio Paese. Ci rendiamo conto della difficoltà vera della Fiat: l’assenza totale di un governo sulle politiche economiche e di settore. Ma ciò non giustifica l’immorale atteggiamento di dichiarare contemporaneamente un utile netto nel terzo trimestre e la mancata erogazione di 600 euro come retribuzione variabile ai lavoratori. Così come è diventata una questione morale il rapporto tra le retribuzioni dei massimi dirigenti e quelle degli operai e dei tecnici Fiat.

Un atto di verità e cioè il necessario intervento del governo, di onestà e cioè un riposizionamento delle retribuzioni dei manager e di trasparenza sulle vere intenzioni negli stabilimenti italiani, a partire da Termini Imerese, sono per l’IdV gli ingredienti necessari per riprendere un positivo rapporto con tutti i dipendenti e le organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative. Per l’IdV un nuovo patto tra imprese e lavoro può indicare la via da intraprendere senza cancellare i diritti, fornendo alle nuove generazioni la strada del saper fare e saper progettare e ricercare.

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