di Massimo Donadi
“Non ho mentito. Diversamente, sono pronto a rassegnare spontaneamente le dimissioni. Quale sia stata la ragione per l’originaria inclusione del d.lgs. n. 43 del 1948 tra le abrogazioni, essa è stata effettuata all’interno del competente ministero della Difesa. Ho talmente a cuore le riforme che sono all’esame del Parlamento che mi impegno a non presentare denuncia nei confronti di chi mi ha accusato di aver dichiarato il falso in Parlamento, se non dopo la loro approvazione”. Questo il guanto di sfida, lanciato ieri sera dal ministro Roberto Calderoli all’Italia dei Valori, attraverso una lettera inviata al presidente della Camera Gianfranco Fini. Il ministro ribadisce la sua innocenza e assicura di dimettersi se le nostre accuse dovessero rivelarsi veritiere.
Ebbene, oggi noi diciamo che a casa non ci vede andare solo Roberto Calderoli, che ha mentito al Parlamento, ma anche il ministro della Difesa Ignazio La Russa, che ha ceduto di fronte “all’esplicito diniego” del ministero della semplificazione normativa, rendendosi complice di un comportamento gravissimo. Calderoli e La Russa devono dimettersi. E lo diciamo perché questa mattina il ministero della Difesa ha inviato una nota che dà ragione a noi e al consigliere di Stato Vito Poli, smentendo la versione di Calderoli e svelando il ruolo supino ai suoi voleri avuto dal ministro La Russa in questa vicenda.
Ecco quello che ribadisce il ministero della Difesa: “l'abrogazione, da parte del Codice dell'ordinamento militare, del divieto di associazioni di carattere militare, e' stata un ''errore materiale'' di cui il Ministero della Difesa ha proposto la rettifica, ma questa soluzione ''non e' stata condivisa'' dal Dipartimento per la Semplificazione normativa, ''co-proponente del Codice, per non trascurabili ragioni tecnico-giuridiche''. Ecco la verità nero su bianco. Il ministero della Difesa aveva chiesto la rettifica ed il ministero della semplificazione normativa si è opposto per “ragioni tecnico-giuridiche” che, tra le altre cose, non esistono, sono una balla colossale. Si perché, come ha scritto il consigliere Poli, quell’errore non solo si doveva ma si poteva correggere. Bastava semplicemente, come ha scritto il consigliere nella lettera inviata al sottoscritto e al ministro Calderoli, utilizzare “la pacifica giurisprudenza” della Corte Costituzionale e della Corte di Cassazione “su fattispecie analoghe a quella in questione” (Cass. Civ., sez. II, 28 maggio 1997, n. 4711).
Qualcuno, non il ministero della Difesa né la Commissione all’uopo designata, avevano chiesto né inserito l’abrogazione della norma sulla depenalizzazione del reato di associazione di stampo militare con scopi politici, la norma “salva camicie verdi” che serviva ai 36 leghisti indagati a Verona. Qualcuno, invece, l’ha fatto. Il ministero della Difesa, scoperto l’errore, aveva chiesto la rettifica. Qualcuno, sempre lo stesso, si è opposto. “Qualcun altro”, di fronte all’esplicito diniego, ha ceduto. Noi abbiamo scoperto chi era “quel qualcuno” e chi era quel “qualcun altro”. Gli autori ed attori, attivi e passivi di questa vicenda, sono Calderoli e La Russa. Per questo, oggi, chiediamo che ad andare a casa siano entrambi.