di Benedetto Della Vedova
Un referendum del 1995, promosso da Radicali e Lega, in favore della privatizzazione della Rai fu vinto. La legge Gasparri prevedeva la privatizzazione della Rai. Il tema, dunque, non è nuovo, ma nulla è fino ad oggi accaduto, malgrado secondo le previsioni del governo entro il 2005 dovesse essere venduto almeno il 20% del capitale della concessionaria pubblica.
Oggi, nel contesto della rivoluzione digitale, scommettere sul futuro dell’azienda Rai come la conosciamo significa preparare all’azienda di Viale Mazzini un futuro da Alitalia, cioè di un azienda incapace di stare sul mercato senza crescenti risorse pubbliche.
La Rai non è la BBC: decenni di tentativi ne hanno peggiorato e non migliorato il modello di governance. L’invadenza dei partiti che ne fanno un uso privato non è arginabile, perché rappresenta ormai il vero DNA dell’azienda.
Una vera privatizzazione della Rai consentirebbe di preservare e rilanciare il valore della Rai nei nuovi scenari tecnologici e di mercato, garantirebbe al Tesoro un introito stimabile in 4 Miliardi di Euro e consentirebbe di diminuire la pressione fiscale con la cancellazione del canone che vale 1,6 miliardi di euro all’anno (più o meno quanto pesava l’ICI sulla prima casa, abolito ad inizio legislatura).
Lo stato deve esercitare il diritto di garantire le trasmissioni di servizio pubblico mettendo in competizione i concessionari privati e finanziarle senza pesare sui contribuenti. Tutto ciò, a nostro avviso è lungimirante, possibile e liberale.
Se ne parlerà mercoledì, in un convegno che organizziamo a Roma (all’Hotel Nazionale, in piazza Montecitorio, alle 11) per illustrare la proposta di legge di FLI, una misura grazie alla quale si può procedere davvero a quella privatizzazione della tv pubblica che la legge Gasparri prometteva. O meglio, ‘evocava’.