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“Tenersi pronti a tutto”: così dunque il Presidente Fini avrebbe detto al battesimo di “Futuro e libertà ”, alludendo all’ipotesi di elezioni anticipate

In effetti, è chiaro da prima dell’estate che Berlusconi e Bossi vogliono andare al voto, e cercano solo il pretesto per ottenere lo scopo senza addossarsene la responsabilità davanti agli elettori.
Ciò è chiaro in realtà sin dall’espulsione di Fini dal Pdl, perché chi ha compiuto questa scelta, pur di non accogliere all’interno del partito un ragionato dissenso, non è pensabile che il medesimo ragionato dissenso accetti dall’esterno del Pdl, ma sempre entro i confini della maggioranza di governo. Gli intelligenti pontieri, come Giuliano Ferrara, non hanno trovato ascolto allora, né lo trovano oggi.
La corsa verso il voto è dunque cominciata in realtà da mesi, anche se ovviamente Berlusconi e Bossi invano attenderanno da “Futuro e Libertà” il pretesto di cui hanno bisogno per sottrarsi alle loro responsabilità.
Non ci si può tuttavia nascondere che questa situazione cela un’insidia anche per “Futuro e libertà”, perché induce a supportare una maggioranza, assieme alla quale è impensabile si possa tornare alleati, proprio mentre si sta precipitando verso le elezioni, rendendo così problematico lavorare alla costruzione di una proposta politica alternativa. Questo è un problema, e occorre cominciare ad affrontarlo.
L’avvio del processo di costruzione del nuovo partito è certamente un passo nella direzione giusta, ma esso dovrà essere accompagnato dalla definizione di una piattaforma programmatica, dalla quale non potrà non emergere il problema di cui sopra, cioè l’essere “Futuro e Libertà” ormai lontano dal berlusconismo declinante, quanto a valori di fondo e a progetto politico. Da qui non può che derivare la ricerca di nuove alleanze, in attesa della ridefinizione del bipolarismo del futuro, quando l’epoca berlusconiana, con le sue luci e le sue sempre più fitte ombre, sarà definitivamente archiviata.
In tale difficile situazione la prima cosa da fare, seppure interlocutoria, è cominciare ad esaminare con attenzione i processi politici che stanno prendendo corpo nel sempre più movimentato quadro politico italiano. Il primo, che potrebbe rivelarsi di notevole significato, è la ricomparsa della sinistra radicale. Di essa si è avuta plastica raffigurazione nel ‘No B. day 2’, cioè nel raduno delle forze dell’antiberlusconismo radicale, che includono Di Pietro, Vendola e un segmento minoritario del Pd. I sondaggi gli assegnano una quota di consensi di tutto rispetto, oltre il 15 %.
Nella manifestazione è risuonata la domanda di Di Pietro: “Dove sta il Pd”? Questa è in effetti la domanda fondamentale, e non solo per gli antiberlusconiani radicali. Che cosa intende fare il Partito Democratico, attraversato da spinte contraddittorie?
E’ chiaro che alle prossime elezioni l’avversario da battere sarà – ancora – il tandem Berlusconi-Bossi. E’ altrettanto chiaro che una Santa Alleanza antiberlusconiana, che includa Di Pietro, Grillo, i comunisti, i No-Tav, i No-global e compagnia cantante, costituisce il miglior regalo per il Premier: le possibilità di successo di una coalizione che includa questo arcipelago di opposizioni sono eguali a zero. Se il Pd si unisse ad esse, non potrebbe dar vita ad altro che a una sgangherata replica dell’Unione. Inutile aggiungere che, con tali forze, nessun dialogo è e sarà mai possibile.
Del tutto diverso è lo scenario se il Partito democratico prendesse con nettezza le distanze dall’antiberlusconismo estremo, perdendo probabilmente le proprie frange più radicali, ma entrando nell’orbita di un possibile progetto diverso, ovvero di un ‘patto costituente’, tra forze di ispirazione differente, che miri non al ribaltone, ma ad un’alleanza in grado di battere Berlusconi nelle urne, cioè nell’unico modo per voltare veramente pagina nella politica italiana. Sarebbe allora possibile varare un governo nuovo, con afflato ‘costituente’, che ci conducesse finalmente, attraverso le necessarie riforme istituzionali, verso la Seconda Repubblica – la promessa non mantenuta del berlusconismo – offrendo al tempo stesso la credibilità politica per varare un piano di rilancio economico e sociale e definire il terreno di una nuova coesione nazionale, pur nel quadro federale. Al termine di questo percorso, che certo impegnerebbe almeno un’intera legislatura, si creerebbero le condizioni per la ridefinizione di un nuovo bipolarismo, post-berlusconiano, nel quale naturalmente “Futuro e libertà” andrebbe ad occupare la posizione che le compete in modo naturale nel panorama politico, cioè l’area del centro-destra.
Per comprendere se un tal scenario è realistico, occorrerà attendere dunque le mosse del Pd, per vedere se esso saprà assimilare la lezione che emerge prepotente in tutta Europa, con il crollo della socialdemocrazia storica (Germania e Svezia), del New Labour, dello zapaterismo, oppure se cadrà ancora vittima del ‘richiamo della foresta’, e della sua archetipica parola d’ordine, quella che prescrive di non avere mai ‘nemici a sinistra’.

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