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COLLEGATO LAVORO, DI MALE IN PEGGIO

di Giuliana Carlino

Questa settimana si è chiuso in Senato l'ennesimo passaggio, siamo alla sesta lettura, del collegato lavoro e, come avevamo previsto, si è consumata l'ennesima presa in giro del Parlamento da parte della maggioranza di Governo. Il Presidente della Repubblica Napolitano aveva rinviato il provvedimento alle camere stigmatizzando, in generale, un modo sbagliato di legiferare. Ebbene, nonostante i quanto sostenuto dai relatori, i rilievi del Presidente della Repubblica, sono stati sistematicamente e deliberatamente ignorati. Da parte del Governo e della maggioranza permane la volontà di deregolamentare la materia del lavoro e delle controversie nascenti dai contratti, limitando la possibilità che il lavoratore si rivolga al giudice, nonostante si verta nell'ambito di diritti costituzionalmente garantiti o indisponibili.
Il provvedimento ha avuto un iter estremamente travagliato. I pochi passi avanti compiuti nella precedente lettura alla Camera sono stati sistematicamente annullati. E' stato infatti reintrodotto l'ex articolo 20, in tema di esposizione all'amianto sul naviglio militare: una norma di impunità che non risolve le questione del risarcimento delle vittime.
Per quanto riguarda l'articolo 30, si è arrivati al paradosso di presentare come una grande innovazione l'introduzione dell'esplicita dichiarazione di tener fuori dall'arbitrato secondo equità il licenziamento e il mantenimento del rapporto di lavoro: si fa passare come una grande concessione un diritto sacrosanto.
Anche se non lo vediamo come un demone, siamo certamente contro l'arbitrato secondo equità che affida a un giudice la potestà di derogare dalle leggi e dai contratti. Non si tratta di circoscrivere il tema all'articolo 18, per quanto questo sia simbolicamente rilevante, perché con l'arbitrato secondo equità si possono in qualche modo manomettere i diritti, le tutele e gli standard contrattuali che si riferiscono all'insieme delle prestazioni di lavoro, ai temi dell'orario, del salario, degli straordinari e della professionalità delle persone.
Un ulteriore passo indietro è stato compiuto sulla clausola compromissoria. A questo riguardo si è tornati all'aberrazione della norma, precedente al cosiddetto emendamento Damiano e, quindi, si pretende addirittura che tale clausola sia sottoscritta all'atto dell'assunzione, in un momento nel quale i nuovi ingressi nel mercato del lavoro sono all'80% rapporti a tempo determinato e nel momento di maggiore debolezza del lavoratore nei confronti dell'imprenditore: si tratta di un obbligo mascherato da possibilità di scelta.
Tutto il collegato lavoro contiene norme estremamente pericolose, che aumentano la precarietà e diminuiscono la sicurezza sul lavoro. Il principio cardine del diritto del lavoro è nel riconoscimento della debolezza del lavoratore di fronte all'imprenditore. Purtroppo queste norme vanno nella direzione opposta: indeboliscono le tutele del lavoro e favoriscono di fatto l'impresa.
Intanto la crisi non si arresta, e sul tavolo del ministro dello Sviluppo Economico, ancora senza titolare, giacciono almeno 120 dossier su crisi aziendali ancora aperte.
Questa maggioranza non mostra alcun interesse per la ripresa e lo sviluppo dell'economia, infatti non ha prodotto nulla che potesse dare respiro agli italiani: non una riforma del welfare, degli ammortizzatori sociali; non una riforma che riduca il carico fiscale dei lavoratori e delle famiglie; nessun sostegno ai redditi più bassi. E’ necessario trovare la forza di girare pagina.
L'Italia dei Valori sa bene, invece, da che parte stare e con chi stare: con i tre lavoratori licenziati a Melfi, con quelli di Pomigliano, di Fincantieri, di Agila ed Eutelia, con i precari della scuola e con chi non ha voce come migliaia di partite IVA e cassaintegrati. Per questo saremo presenti anche alla prossima manifestazione del 16 ottobre a Roma, per ribadire con forza che i diritti acquisiti non si toccano.
Elencare i nomi di coloro che nel 2010 sono morti sul lavoro, come ho fatto nel corso della discussione di questo provvedimento iniquo, non è stato un gesto di sciacallaggio, ma un modo per tenere vivo nella memoria del nostro Paese il ricordo di quelle vittime; e il Parlamento deve accogliere il monito e la preoccupazione del Capo dello Stato per porre fine ad uno stillicidio che offende un Paese moderno. Al contrario il provvedimento appena approvato non rende un buon servizio al Paese, perché riducendo le garanzie normative per i lavoratori, di fatto rende più precario e insicuro il lavoro.

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