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Lingue ed emigrazione: il dilaetto lombardo in Nord America

Roy Bottarini ha scritto una raccolta di parole e frasi idiomatiche del
dialetto parlato dai suoi genitori, emigrati da Lonate Pozzolo, Varese a San
Rafael in California oltre un secolo fa. Ha riportato quello che si ricorda,
ha registrato ciò che è rimasto. E' il dialetto di Lonate Pozzolo
cristallizzato nel tempo che ormai fa parte della storia di poche persone.
Il volumetto, che non intende essere un riferimento completo ed esaustivo
del dialetto di Lonate, e omette molti vocaboli simili all'italiano o di uso
comune, vuole invece ricordare i vocaboli e le frasi idiomatiche di una
lingua che sta sparendo ma merita rispetto da parte dei discendenti di chi
comunicò proprio attraverso di essa. Una guida semplice ad uso dei pronipoti
dei lonatesi per soddisfare la loro curiosità, nostalgia e magari per uso
personale.
Ci sono ancora persone che si esprimono con facilità nel dialetto lonatese.
Mary Ferrario è una di esse. Nata nel 1935 a San Rafael lo parlò fino al
giorno in cui cominciò a frequentare le scuole elementari ed essendo la sua
lingua madre non lo mai dimenticato. Ogniqualvolta torna in Italia lo
sfoggia senza problemi. E' quasi una lingua morta ormai. A Lonate, come in
tutta la Lombardia, il dialetto sta lentamente scomparendo perché le nuove
generazioni, quelle nate negli anni settanta non lo parlano più oppure lo
infarciscono di italianismi come sedia al posto di cadrega o cardega,
pomodoro invece di tumatis, oppure calcio anziché fòrbal o balùn, o patata
al posto di pundatera oppure peggio ancora con gallicismi e anglicismi.
Niente di male, la vita scorre ugualmente, ma con la morte del dialetto se
va la tradizione, un mondo fatto di espressioni e usi diversi, tradito forse
troppo in fretta dall'avanzamento del nuovo.
E così per ritrovare il modo di parlare e di vivere dei lombardi di fine
ottocento e verificare il cambiamento linguistico avvenuto tra i loro
discendenti e i lombardi di oggi occorre studiare l'evoluzione del loro
linguaggio. Compito arduo visto che in Nord America raramente i lombardi si
sono aggregati in comunità e spesso hanno raggiunto un alto livello di
integrazione. Tuttavia qualche traccia potrebbe ancora essere seguita. E'
facile trovare lombardi a Boston; in Vermont soprattutto a Barre dove
lavorarono dapprima nelle cave di granito; a Walla Walla nello stato di
Washington dove all'inizio coltivarono cipolle. Difficile adesso incontrare
lombardi nei primitivi luoghi di lavoro, le miniere del Michigan o
dell'Illinois, semplicemente perché la maggior parte di esse sono state
chiuse e le successive migrazioni sono state soprattutto a carattere
individuale o familiare e non di gruppo come al tempo della migrazione
dell'Italia.
Ma a Herrin, Illinois se non parli inglese, e ti scappa, è meglio chiedere
della “latrina” perché “servizi” o “bagni” sono vocaboli sconosciuti. E “ul
gabett” è semplicemente la contrazione di “gabinett” che era poi la
“wash-house”, la casetta sul retro delle case di legno tutte allineate ed
uguali sulla North Street dove i minatori di carbone si lavavano e
cambiavano d'abito prima di rientrare in casa. A St. Louis, Missouri dove
continua a prosperare il quartiere a prevalenza italiano della Hill, che
culmina con la chiesa di Sant'Ambrogio, il lombardo è ancora inteso e
parlato su richiesta. Qui grazie anche ai vari club, alla presenza di
italiani provenienti da diverse regioni d'Italia, ma soprattutto di lombardi
dalla zona di Cuggiono, Inveruno e paesi limitrofi e di siciliani,
l'evoluzione del loro modo di esprimersi e di comunicare è degna di molta
attenzione.
Ovviamente la preponderante forza dell'inglese e il giusto desiderio di
imparare l'italiano combaciano con quanto succede in Italia. Non c'è molto
spazio per il dialetto. Tuttavia, come dice Roy Bottarini, bisogna trovare
il modo di onorare la memoria dei nostri antenati e del mezzo con cui
comunicarono tra di loro. In fondo fa parte della nostra storia e non è
facilmente sostituibile.

Ernesto R Milani

Ernesto.milani@gmail.com

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