E’ iniziato un nuovo anno scolastico nel più grande decadimento e confusione generale che la storia italiana ricordi. In questa involuzione senza fine, ritengo opportuno far riscoprire l’eloquente e molto attuale spirito artistico di Giuseppe Scalarini, attraverso una delle sue vignette più famose. E’stato tra i maggiori caricaturisti e disegnatori satirici italiani nel periodo fascista, che con profonda lucidità morale e mente acuta, portò avanti il suo lavoro nonostante ogni sorta di violenza subita: morì il 30 dicembre 1948.
Perseguitato, aggredito ripetutamente dai fascisti, nel 1940, appena iniziata la guerra, venne rinchiuso nel campo di concentramento di Istonio, in provincia di Chieti, successivamente liberato a causa dell'età e per le precarie condizioni di salute, ma sempre come sorvegliato speciale, sfuggendo poi nel 1943, anche all'arresto della polizia della Repubblica di Salò. Non fu soltanto disegnatore politico e satirico, ma la sua grande vena artistica e sensibilità d’animo, si espresse e rivelò anche attraverso le illustrazioni di libri per bambini, al quale egli dedicò parte della sua arte. Una di queste raccolte di disegni fu esposta al Cremlino, presso il Museo della Rivoluzione. Credo che più di mille parole parlino le sue vignette sulle ormai note nefandezze del regime fascista.
Guardandole, sembrano fantasmi che tornano dal passato riprendendo forma; cambiano solo i volti, i nomi dei personaggi politici, alcune volte neanche quelli, ma i pensieri, gli intrighi e le azioni sono gli stessi. E’ la Storia dell’uomo che si ripete ed è purtroppo ciclica negli errori e nelle brutalità. Di Scalarini restano diverse migliaia di disegni, molti dei quali purtroppo non furono raccolti e catalogati, ma sufficienti per ricordare a tutti i negazionisti e persone dalla memoria labile attualmente dilaganti, la ciclicità degli errori-orrori umani. La scomparsa della maggior parte dei suoi lavori sono una vera perdita culturale, che fanno parte di quel tesoro artistico che solo noi italiani siamo specialisti nel trascurare; e dire che in arte, il potere dell’immagine è più forte della parola stessa.