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Berlusconi e il potere: quando la “rivoluzione” è una mera illusione

di Angelica Stramazzi

Ancora il 1994 e ancora Silvio Berlusconi. Perché, inutile negarlo, ogniqualvolta che, da più parti, si manifesta la volontà di rintracciare i momenti significativi che hanno cambiato le vicende politiche del nostro Paese, l’attenzione si concentra sulla discesa in campo di quell’imprenditore lombardo così distante dai giochi di Palazzo ma al tempo stesso così pragmatico e quindi maggiormente vicino alle esigenze della popolazione.
Del resto sarebbe un errore negare che il 1994 rappresentò – e non solo per la storia politica italiana – una importante quanto netta cesura. Nel periodo precedente infatti, la politica tutta aveva operato secondo logiche divisorie e correntizie, cercando di rappresentare ogni interesse in gioco, nel tentativo di non lasciare indietro nessuno. Di sicuro, proprio a causa di questo suo vizio di forma (e di sostanza), i partiti politici osteggiavano anche la più remota ipotesi di semplificazione del quadro costituzionale, ritenendo che la concentrazione di una quantità smisurata di potere nella mani di un solo uomo potesse dar vita a quelle pericolose degenerazioni che l’Italia aveva già ampiamente sperimentato e vissuto. Per questo, il nostro Paese non ha mai operato – come ad esempio ha fatto la Francia – una profonda e senza dubbio necessaria revisione di quel dettato costituzionale che del buon funzionamento dei poteri dovrebbe essere l’architrave e il principale punto di riferimento.
Cosa resta oggi di quell’operazione di restyling che l’attuale Presidente del Consiglio propose per il bene del paese e della politica nel suo complesso? Che fine ha fatto quella spinta propulsiva, riformatrice e liberale che della svolta del ’94 rappresentò il vero punto di rottura rispetto al passato? Berlusconi, come ricorda in modo puntuale Angelo Panebianco sul Corriere di oggi, avvalendosi di strumenti quali la ricchezza personale, il carisma e le televisioni, “diede la falsa impressione che un processo irreversibile di ricomposizione fosse in atto. Ma era solo un’apparenza, un’illusione. Che si dissolverà del tutto quando Berlusconi uscirà di scena”. Un’illusione, una falsa verità insomma. Una volontà apparente di cambiamento che, in fondo, nascondeva la necessità di far sì che tutto restasse immutato, ingessato, incancrenito.
Di quella “novità” oggi non resta pressoché nulla, se non qualche promotore stanco e deluso di cantare le lodi di un Salvatore che non c’è, perché troppo indaffarato a fornire indicazioni per la preparazione di dossier costruiti ad hoc per screditare l’avversario che disturba, che chiede di parlare e di trasformare in azioni concrete quelle promesse che, da 17 anni, giacciono dimenticate in un cassetto.

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