Intervista al regista Filippo Vendemmiati

Nel processo per la morte di Federico Aldrovandi, la Polizia di Stato dovrebbe costituirsi parte lesa contro i responsabili insieme alla famiglia per rispetto verso tutti i poliziotti onesti che rischiano la loro vita per la sicurezza dei cittadini. Invece, sembra una beffa, i responsabili del pestaggio condannati in primo grado sono ancora in servizio. Cosa ne pensa di questo il dottor Manganelli, capo della Polizia? Filippo Vendemmiati ha girato un film: “E' stato morto un ragazzo” sulla vicenda di Federico sulla quale rimane una domanda oscura: “Perché?“. Si sa ormai tutto della fine di un ragazzo, ma non delle cause. Quali sono le vere cause? E, se non si rimuovono, quanti altri Federico ci saranno in futuro?

Intervista a Filippo Vendemmiati, giornalista:

“E' stato morto un ragazzo” ( espandi | comprimi)
“Mi chiamo Filippo Vendemmiati, sono un giornalista, lavoro dal 1987 alla RAI nella sede regionale dell’Emilia Romagna e faccio quello che si dice l’inviato di cronaca, l’inviato di cronaca che a un certo punto della sua carriera professionale ha deciso di scendere dal treno, di dire: adesso basta,adesso mi fermo, scendo dal treno in corsa delle notizie mordi e fuggiche il giorno dopo non si sa più quello che si è fatto il giorno prima e decido che per una volta quello che vale la pena raccontare non è una notizia, ma una storia e quindi approfondire quello che raramente noi riusciamo a fare, quello che raramente i giornalisti in questo sistema dell’informazione malato riescono a fare e mi sono fermato su un caso che è successo nella città dove sono nato e dove ho vissuto a lungo, Ferrara e che sembra incredibile possa essere successo in questa città, una città civile di tradizioni democratiche, come si diceva una volta, e è il caso della morte di un ragazzo di 18 anni che si chiamava Federico Aldrovandi che il 25 settembre 2005 durante un incontro con la Polizia, usavamo sempre questi termini perché non si poteva dire “scontro, pestaggio” perché ancora la sentenza non c’era stata, non si potrebbe dire neanche adesso perché ancora non è passata ingiudicato, ma dopo un pestaggio con la polizia è morto a Ferrara.
Federico Aldrovandi è morto due volte, è morto sotto i colpi dei manganelli e per lo schiacciamento del torace e è morto perché dopo questi tragici fatti si è cercato di negare l’evidenza e si è costruito un alibi fasullo, ci sono state due inchieste quella sulla morte e quella sui depistaggi, entrambe hanno portato a due sentenze di condanna di primo grado per 7 uomini in divisa, in servizio alla Questura di Ferrara.
Definisco il caso di Federico Aldrovandi un omicidio quasi perfetto perché non solo quella mattina ci furono 4 agenti che sbagliarono e poi mentirono, ma poi ci furono altri agenti in servizio alla Questura di Ferrara che coprirono quelle bugie, costruendo un alibi quasi perfetto che stava per avere successo basato sul favoreggiamento, sul depistaggio delle indagini e sulla falsificazione dei documenti, questo non lo dico, ma lo dicono due sentenze e due motivazioni dei giudici di Ferrara. Trovo che questa sia una storia emblematica che ha molto a che fare sia con il sistema dell’informazione che con il sistema della giustizia, questa era una storia ormai archiviata dalla giustizia ma anche dall’informazione, se non fosse stato per un paio di giornalisti e io non ero tra quelli allora, una trasmissione televisiva e soprattutto la tenacia e la determinazione della Famiglia Aldrovandi, dei suoi legali che il 2 gennaio, 4 mesi dalla morte di Federico decisero di aprire un blog, pubblicando la foto del cadavere del figlio, il volto sfigurato del figlio, quindi violentando in qualche modo i propri sentimenti, il proprio dolore, quell’inchiesta molto probabilmente sarebbe stata archiviata, questa è un po’ la storia, il filo conduttore di questo film documentario che abbiamo presentato in anteprima a Venezia e che adesso stiamo tentando di far vedere a quanta più gente possibile in accordo con la Famiglia Aldrovandi.

Per uno Stato trasparente ( espandi | comprimi)
Il mio obiettivo e spero di esserci riuscito, è quello di non limitarmi a una semplice denuncia, sarebbe stato molto facile agire sui sentimenti, sulle mozioni, sui filmati che la Famiglia Aldrovandi ci ha messo a disposizione per una denuncia molto forte, molto potente, violenta anche nei confronti della Polizia, non che non ci sia questa denuncia, poi il giudizio spetta a chi vede il film, ma ho tentato soprattutto di lanciare un messaggio positivoche è poi il messaggio che solo la forza di questa famiglia straordinaria poteva trasmettermi, non si chiede allo Stato e ai rappresentanti dello Stato di essere infallibili, anche i rappresentanti delle istituzioni possono sbagliare, anche se le loro responsabilità sono enormemente più gravi di quelle degli individui, si chiede allo Stato però di essere trasparente quando i propri rappresentanti sbagliano, invece c’è un filo conduttore in qualche modo inspiegabile, un vizio di origine delle forze dell’ ordine in questo paese che accomuna il caso Aldrovandi a altri casi avvenuti in circostanze simili, ma che hanno tutti lo stesso comune denominatore e penso ai Di Giuliani, a Cucchi, a Uva, a Gabriele Sandri, che un conto sono i fatti da accertare, gli approfondimenti, le perizie e su questo poi ognuno può dimostrare giustamente in un contraddittorio quello che succede, un conto invece è l’operato delle forze dell’ ordine che in tutti questi casi hanno avuto lo stesso comportamento che è stato quello prima di tutto di negare, in secondo luogo di coprire depistando le indagini, in qualche modo strumentalizzando le testimonianze, evitando quindi la trasparenza, questo è un filo conduttore che qualcuno dovrà spiegarci perché, perché questo non è un film contro le forze dell’ ordine, anzi è un film a difesa delle forze dell’ ordine e di chi nelle forze dell’ ordine si comporta in modo onesto, ma qua non è successo questo, così come negli altri casi, c’è l’Avvocato Anselmo che difende altri casi simili che mi dice: ma qua succede sempre la stessa cosa, non ci fanno fare le fotografie, falsificano le autopsie, questo è avvenuto anche nel caso di Cucchi, le modalità di difesa della giustizia quando è la giustizia italiana, i suoi rappresentanti a essere indagata e messa sotto processo è sempre lo stesso, la copertura e l’omertà, pure in circostanze che i fatti dimostrano essere anche diverse .
I responsabili condannati in primo grado nelle due inchieste lavorano ancora, sono ancora uomini in divisa e questo per la giustizia italiana ancora non sono dei pregiudicati perché le condanne non sono definitive, però per esempio alcuni di loro continuano a svolgere servizi normali, alcuni anche sulla strada, chiedo alle forze dell’ ordine: perché questo succede? La risposta è: abbiamo avviato un’inchiesta interna, in realtà le inchieste interne della polizia o dei ministeri si cominciano ma non finiscono mai, noi non sappiamo mai quali sono i risultati di queste inchieste interne, così succede che ancora oggi a Ferrara per esempio gli amici di Federico che hanno subito un vero e proprio processo, sono stati accusati, le ore successive dalla morte dell’amico di averlo scaricato in macchina, di essere dei drogati, possono tranquillamente imbattersi nelle persone che in qualche modo hanno provocato la morte del loro amico, questo succede a Ferrara, in una città civile!
Patrizia Aldrovandi ha subito delle querele per diffamazione dagli Avvocati di 3 agenti condannati perché Patrizia ha definito delinquenti questi poliziotti, questa querela Patrizia Aldrovandi l’ha vinta e è stata archiviata dal Tribunale di Mantova, ciò non toglie che altre persone per dichiarazioni rilasciate dalla stampa siano state querelate.

A colpi di querela ( espandi | comprimi)
Questo va detto, si inserisce in un meccanismo credo che non ha eguali in altri paesi d’Europa, ormai la querela è diventata un’arma per intimidire i giornalisti, il meccanismo è semplicissimo, pensiamo che questa professione ormai è fatta in buona parte da giornalisti che non svolgono ufficialmente questo lavoro,che sono sottopagati, che sono precari, giovani, che sono all’inizio del loro lavoro, se sono in questa condizione e ho notizie delicate da pubblicare nei confronti di un personaggio eccellente, la prima cosa che faccio è accertare i fatti, poi scrivo queste cose, cosa succede in Italia? Che parte immediatamente una querela a prescindere che le cose che ho scritto siano vere o false, ormai le querele si fanno da un milione di Euro in su, uno può dire: ma sono sicuro di avere detto la verità, cosa mi importa? No, non è vero perché questo di obbliga per 4 o 5 anni, questa è la durata minima di una querela per diffamazione a pagarti gli avvocati, a partecipare alle udienze, è chiaro che è una sorta di intimidazione, un’arma che immediatamente diventa operativa, un’arma preventiva che i personaggi eccellenti si dotano attraverso i loro avvocati, in questo modo cosa ottengono? Che magari tra 5 anni vinco anche questa causa, però in questi 5 anni non ho più scritto niente delle cose che avevo accertato, questo è il meccanismo veramente perverso che blocca anche la libertà dell’informazione in Italia, qui siamo ben al di là dei rischi di libertà, siamo già in uno stato in cui la libertà è negata se questo è il meccanismo, se la querela è diventata un’arma contro la libertà di informazione, un meccanismo è veramente molto semplice.
La speranza dei familiari di Federico è che dopo questo caso non solo e non tanto non succeda più, ma che a chi potesse succedere, sia fornito uno strumento che prima non c’era, il 25 settembre sarà il quinto anniversario della morte di Federico Aldrovandi, a Ferrara si riuniranno le famiglie dei casi simili, sopraccitati e fonderanno un’associazione, un’associazione non contro qualcosa, ma per la tutela dei diritti delle persone che hanno subito abusi di potere per offrire sostegno psicologico e legale perché le modalità di oppressione e di pressione contro queste famiglie sono sempre state lo stesso e questo credo sia anche un segnale di speranza, un modo per guardare avanti, se il documentario, il film ha contribuito minimamente a questo processo, credo che l’obiettivo in buona parte sia stato raggiunto.
Spero che questo succeda e il tentativo è quello di, proprio per questo, far vedere il film a quante più persone possibile, devo dire che le risposte fino adesso sono state quello sorprendenti e è questa anche la testimonianza di come oggi l’informazione si sia estesa, passi attraverso canali non ufficiali, attraverso la rete che un tempo erano impensabili, oggi c’è una raccolta di firme per chiedere al servizio pubblico di trasmettere in orario non da dalle 2 alle 3 di notte questo documentario, non so se questo accadrà, non sono io a doverlo dire, fosse per me lo trasmetterei 24 ore su 24 su tutte le reti, ma non sono io a dover dire questo.
Spero che questo serva a formare delle coscienze e a contribuire un minimo a un processo di trasparenza che ancora in Italia non c’è all’interno degli apparati dello Stato e delle forze dell’ ordine. Trovo che le dichiarazioni e le cose dette da Bondi negli ultimi giorni siano paradossali e fortemente sottovalutate dal mondo politico italiano, abbiamo un Ministro della Cultura, non un privato cittadino, che prima decide di non andare al Festival di Cannes perché dice che c’è un film, quello della Guzzanti che non gli piace, un bambino isterico che punta i piedi e dice: no, non ci vado perché è un film che non mi piace, ma cosa c’entra? Non vado a una mostra perché c’è un quadro che non mi piace, ma tu sei un Ministro della cultura, non sei un cittadino, poi il film ti può piacere o non piacere… succede di peggio, non va neanche a Venezia, un Ministro della Cultura che non si presenta alla mostra del cinema di Venezia mi sembra il Papa che non celebra la messa di Natale perché c’è un cardinale che non gli sta simpatico, dopodiché dichiara il Ministro che il prossimo anno deciderà lui, il Presidente della Giuria, quindi a quel punto propongo al Ministro Bondi che si faccia il Festival di Venezia a casa sua, che si scelga i film, sicuramente non questo, che si premi quello che vuole che vinca il Leone d’Oro perché credo che queste cose in Italia siano veramente incredibili, adesso non so se il Ministro Bondi sia capace di emozionarsi, se potrà mai vedere questo film, glielo auguro, se lo guardi poi mi dica se mi dà finalmente questo visto di censura, grazie Ministro!”

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