Mi colpisce, ogni volta che ricevo dalla cancelleria della Città di Berna il materiale informativo sulle votazioni a livello comunale, un’avvertenza contenuta nella lettera d’accompagnamento. Essa ricorda che il fatto di ricevere le informazioni «non comporta il diritto di voto, perché il diritto cantonale vieta (verbietet) alla Città di Berna di concedere il diritto di voto e di eleggibilità agli stranieri». Con questa espressione il Comune di Berna sembrerebbe quasi scusarsi di non poter chiedere anche agli stranieri il proprio contributo elettorale e basterebbe solo il sì del Cantone per invitare anche loro ad esprimere il loro voto. O forse si tratta solo di una mia benevola interpretazione e di un mio auspicio. La verità si conoscerà già a partire dal prossimo 26 settembre.
Materia controversa
Ai cittadini del Cantone di Berna, che hanno già ricevuto il materiale di voto, è stato chiesto di votare l’iniziativa popolare «zäme läbe – zäme schtimme» (vivere insieme – votare insieme), mirante ad abolire il divieto che oggi impedisce ai Comuni di estendere il diritto di voto e di eleggibilità agli stranieri. Occorre dire che in questa materia ci sono ancora, a livello svizzero, molte perplessità, soprattutto nei partiti borghesi, ma si può anche osservare che la tendenza a livello nazionale indica l’estensione di tale diritto anche agli stranieri domiciliati o residenti da un certo numero di anni. La «pecora nera» in questa tendenza è rappresentata soprattutto dall’Unione democratica di centro (UDC), che si ostina a voler riservare il diritto di voto comunque e solo ai cittadini svizzeri.
Sono persuaso che le ragioni a favore del riconoscimento anche agli stranieri del diritto di voto e di eleggibilità a livello comunale prevalgano su quelle contrarie. Per superare molte difficoltà di ordine giuridico o astratto, ad esempio sul rapporto tra diritto di voto e cittadinanza, basterebbe ragionare in termini di ragionevolezza e di opportunità partendo dalla realtà.
La realtà è che moltissimi stranieri da lungo tempo residenti stabilmente nei Comuni bernesi, dove svolgono magari professioni di grande interesse pubblico, nelle votazioni comunali contano meno dell’ultimo confederato arrivato, anzi non contano affatto. Questa disuguaglianza comporta in molti stranieri un senso di frustrazione e di discriminazione, perché appare una specie di punizione ingiustificata del fatto di non essere svizzeri, pur sentendosi (ed essendo) pienamente integrati nella realtà comunale. Per questo tutti gli stranieri del Cantone di Berna, ma anche molti svizzeri, auspicano che prima che cada l’ultimo ostacolo roccioso al tunnel più lungo del mondo sotto il San Gottardo (previsto per il 15 di ottobre) cada questo divieto che ancora li separa sul piano comunale. Ma a volte, si sa, certi pregiudizi sono più duri e resistenti del granito.
Divieto anacronistico
Guardando alla storia, forse la differenziazione tra cittadini e stranieri era pertinente quando l’immigrazione era costituita da flussi irregolari e provvisori, quando in Svizzera l’immigrazione era regolata dal principio di rotazione, per cui lo stabilimento di uno straniero sul territorio era una specie di premio alla (lunga) carriera mentre la regola stabiliva che l’immigrato per eccellenza doveva essere «stagionale» e la permanenza nella Confederazione era misurata in stagioni. Ma questi tempi sono ormai lontani, lo statuto stagionale è stato da tempo abolito e oggi anche la Svizzera ha accettato come gran parte dell’Europa continentale il regime di libera circolazione delle persone. Negare il diritto di voto agli stranieri a livello locale appare pertanto anacronistico.
Tale divieto è ancorato in una concezione degli stranieri stravecchia, risalente alle discussioni della vecchia legge sugli stranieri del 1931, anch’essa abolita, quando dominava la paura dell’«invasione degli stranieri» e dell’inforestierimento. Dal 1970, quando si è cominciato a porre seriamente il problema dell’integrazione degli stranieri residenti stabilmente in Svizzera, ne è passata di acqua sotto i ponti dell’Aare! Eppure molti pregiudizi sono rimasti e rischiano di rimanere, grazie soprattutto a una propaganda miope e poco coraggiosa della destra politica bernese.
Oggi è sotto gli occhi di tutti la crescente mobilità delle persone a livello nazionale e transnazionale. La sfera dei diritti tende sempre più ad essere legata alle persone più che ai territori, tanto è vero che anche lo stesso concetto di cittadinanza legato a un’appartenenza nazionale-territoriale comincia a vacillare. Tendenzialmente mi sembra giusto che ognuno debba potersi sentire «a casa propria», nella pienezza dei diritti individuali e sociali (compresi i diritti civici) ovunque si trovi stabilmente.
Nella ostinazione a non voler concedere agli stranieri quel che sarebbe utile e opportuno concedere si potrebbe vedere persino qualcosa di perverso, una sorta di volontà subdola di voler perpetuare la discriminazione tra ospitanti e ospiti o, peggio, l’idea già evocata negli anni Sessanta da Max Frisch, di un «popolo dominatore» che fa venire un esercito di «lavoratori stranieri», «braccia», «lavoratori ospiti» (Gastarbeiter) quando servono e finché servono, «indispensabili al benessere», di cui anch’essi possono beneficiare, ma non dell’«intero benessere» e all’infinito.
Si vuole davvero che gli stranieri stiano sempre almeno un gradino sotto gli svizzeri e al loro servizio permanente effettivo? E si vuole davvero, come dagli anni Settanta si sta predicando, che gli stranieri s’integrino e si sentano integrati, pienamente riconosciuti ed equiparati, oppure è solo una finzione perché in fondo li si vorrebbe ben assimilati o altrimenti puniti se non lo sono? Ma questa sarebbe un’idea davvero perversa da rigettare, anche perché non avrebbe alcun corso legale in un mondo in cui non ci sono più popoli dominatori e l’uguaglianza dei cittadini dal tempo della Rivoluzione francese avanza sempre più velocemente.
Estendere agli stranieri il diritto di voto è ragionevole e opportuno
E’ ragionevole perché il concetto stesso di Comune, da cui comunità e comunione, vuole che al suo interno tutti i membri abbiano gli stessi diritti e doveri. In questa ottica di partecipazione comunitaria non è possibile giustificare l’esistenza di cittadini di serie A e di serie B. E’ invece ragionevole che tutti indistintamente siano chiamati a partecipare non solo al finanziamento delle varie necessità comuni ma anche alla definizione dei progetti e soprattutto alla loro approvazione.
Giustamente si chiede ai nuovi arrivati uno sforzo per apprendere del luogo in cui vivono usi e costumi e naturalmente la lingua, in modo da «integrarsi» il più presto possibile. Ma che integrazione è se al termine del percorso s’incontra il limite invalicabile del diritto di voto? So benissimo che mi si potrebbe obiettare che per abbattere l’ostacolo basterebbe naturalizzarsi, prendere la nazionalità svizzera. Ma si tratta di un’obiezione che non risponde alla domanda perché dà per scontato che ci possa essere vera integrazione solo naturalizzandosi e che per decidere se vendere o acquistare un immobile o dove far passare una linea del tram o mille altre questioni del genere… occorra essere svizzeri.
Si dovrebbe anche riflettere sul fatto che il diritto di voto a livello comunale è già stato introdotto in altri Cantoni e a quanto sembra non ha provocato alcun scombussolamento tra le forze politiche o alcun senso di privazione nell’elettorato tradizionale. Perché non dovrebbe succedere la stessa cosa anche nel Cantone di Berna? Oltretutto starà poi ai singoli Comuni decidere circa l’opportunità di concedere il diritto di voto ai loro abitanti stranieri.
Non è solo ragionevole ma anche opportuno estendere il diritto di voto e di eleggibilità agli stranieri. In un’epoca in cui i politici lamentano l’allontanamento dei cittadini dalla politica e l’elettorato è sempre meno motivato a recarsi alle urne, un ampliamento della base elettorale dovrebbe essere visto positivamente. Tanto più che molti stranieri sarebbero ben disposti e ben preparati per una partecipazione più diretta alla cosa pubblica. E’ dunque nell’interesse stesso del Comune, ossia della comunità, che anche gli stranieri possano contribuire alla definizione e alla gestione del bene comune. Privarsi di questa risorsa appare insensato.
Bisognerebbe anche rendersi conto che da troppi anni gli stranieri stabiliti in maniera definitiva in questo Paese reclamano la possibilità di votare e a furia di sentirsi dire di no si corre il rischio che finiscano per rassegnarsi, ma anche a disinteressarsi della cosa pubblica. E non sarebbe certo un contributo alla democrazia diretta, già sufficientemente in crisi.
Tocca ora al Cantone di Berna dar prova di coraggio e di apertura, come è già avvenuto in altri Cantoni, non solo in quelli all’avanguardia di Neuchâtel e Giura, ma anche in quelli di Vaud, Friburgo, Turgovia, Zugo, Appenzello Esterno, ecc. Sarebbe un tassello importante per l’estensione a tutta la Svizzera del diritto di voto degli stranieri a livello comunale.
Giovanni Longu
Berna 22 settembre 2010