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Riflessioni di un papà  separato

LETTERA ALLA EGREGIA DIREZIONE

Gentili Signori,

il trauma della sottrazione dei propri figli probabilmente è così grande che solo ora dopo 7 anni inizio a rendermene conto, il mio cervello inizia lentamente ad ammettere ciò che ha perso.

Mia figlia da piccola era un bel fagottino, guance tonde e sorrisi contagiosi. Gli facevo il bagnetto, ero accanto a lei tutte le sere per insegnarle a mangiare, la mettevo a letto e le insegnavo a dormire da sola nella sua cameretta.

A nove mesi iniziai a portarla al nido e feci l’inserimento con le maestre che chiedevano i papà perché dicevano più bravi e distaccati in questo compito, in effetti l’inserimento di mia figlia fu uno dei più rapidi, io ero felice che lei andasse nel mondo e questo lei lo percepiva, mi salutava e si lanciava barcollante nella saletta con gli altri bambini.

Me la portavo ovunque, dagli amici a far la spesa nel marsupio anteriore all’inizio girata verso me poi verso il fuori, la gente intorno era più felice quando ci vedeva, io le passavo le confezioni e lei le metteva nel carrello e così la facevo partecipare alla mia vita.

Poi un giorno a 18 mesi mia moglie mi tradì. Era la seconda volta e questa volta lei non era pentita ed io non ero intenzionato a far finta di niente. Fu questa mia determinazione (a voler che portasse più rispetto) a scatenare la sua ira: se ne andò, minacciando che mi avrebbe rovinato e che non avrei rivisto più mia figlia se non qualche ora la settimana; ma il giorno più brutto della mia vita non fu quello, ma quando dopo molti avvocati scoprii che poteva farlo.

Oggi sono passati 7 anni e forse riesco a guardare con occhi più lucidi alla spaventosa spirale di tribunali, persecuzioni e solitudini che ho passato, e mi rendo conto che mia figlia in questi anni non l’ho vissuta più come in quei mesi. Non l’ho più trovata a casa sorridente la sera, non ho più potuto viverla liberamente e scegliere per lei le cose della vita come avrei voluto. Ho capito anche che l’intento punitivo di mia moglie era proprio questo, è ci è riuscita.

Avrei potuto rifarmi una vita nel senso di fare altri figli che avrei potuto godermi liberamente senza soffrire così tanto, ma ho trovato più serio restare e lottare, e sono qui a scriverlo.

un giovane padre
r.isabella@email.it

p.s. – chiedo cortesemente la pubblicazione di questa lettera

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