Napoli disperata

di Carlo Di Stanislao

Il prodigio si è rinnovato dopo poche ore di preghiera dei fedeli che, fin dalle prime ore del mattino, hanno affollato l’interno del Duomo. Alle 9.22 il sangue del santo patrono di Napoli si è liquefatto, all’interno delle ampolle che sono conservate nella cattedrale della città, ripetendo un miracolo che viene fatto risalire ai tempi di Costantino. Lo scioglimento del sangue è un fatto che si ripete tre volte l’anno ed è documentato dal 1389 e se il miracolo avviene e la materia rossa delle ampolle passa da solida a liquida, ciò è considerato di buon auspicio per la città ed i suoi abitanti. Ma domenica 19, nonostante il miracolo avvenuto rapidamente, il cardinale Sepe ha urlato la disperazione di una città che pare ormai abbandonata a se stessa, con immondizia che riemerge ovunque, degrado sociale, disoccupazione galoppante, camorra infiltrata e ramificata e un consiglio comunale latitante, che non raggiunge il numero legale da sette mesi. Un’analisi cruda e impietosa quella di Sepe, che dice che Napoli: “che ha sempre vissuto di pane e speranza, ora sembra arrivata ad un punto di svolta in cui niente è scontato, nè il pane nè la speranza”. Una profonda amarezza provata dal vescovo per la sua città, che ancora deve attaccarsi ai miracoli e che vive ore disperate per la mancanza di lavoro, ma anche per la vastità dei drammi dinanzi ai quali “non possiamo pensare di svolgere il ruolo di semplici e impotenti spettatori”.E ad un giornalista che, al termine della cerimonia, facendo riferimento all’inchiesta sul G8, gli ha chiesto se l’immediata liquefazione del sangue possa essere motivo di consolazione per qualche amarezza personale Sepe ha risposto: “Tutto è a gloria di Dio”. Per Sepe occorre un “rinnovato impegno per una lotta senza tregue e senza quartiere” per “l’impresa del bene” contro “l’impresa del male, che si chiami sistema o camorra, in modo da evitare che il nodo malefico intorno alle nostre città continui a stringersi, fino a soffocarle”. Occorre puntare sui giovani, ha detto Sepe, “perchè diventino i primi baluardi di difesa di una città che vuole rompere l’assedio della malavita”. Quindi ha voluto ricordare la tragedia di Castel Volturno, l’uccisione del sindaco Vassallo e quanti muoiono sul lavoro o lungo le strade. E’ come se avesse disegnato la distanza fra il mondo reale e la “visione” che di tale mondo danno gli imbonitori come Berlusconi, che coprono di immagini virtuali una realtà drammaticamente degradata e che, a volte, strappa il telo ed emerge impietosamente. Così Napoli è la metafora orrenda, lacera e tragicissima, dell’Italia intera, con problemi rinviati e coperti e cricche di affaristi con le mani sempre più lorde di ciniche speculazioni ed avidi interessi. Un’Italia in cui si programma una spesa da 8 miliardi per un ponte faraonico verso un’isola senza strade e con molti paesi in cui non vi è acqua; in cui si parla di investire sul nucleare senza raccontare che anche adesso vi è un surplus di energia; in cui si dice che un terremoto è risolto, ma le macerie sono allo stesso punti di 17 mesi fa e di soldi e piani neanche l’ombra. Ieri, nella sua omelia, Sepe, dinanzi ai vertici istituzionali presenti, ha ammonito che nel Mezzogiorno, ferite vecchie e nuove “stanno indebolendo il nostro corpo sociale e religioso col rischio, come qualcuno pensa e dice, di non farcela più”. Ma bisogna reagire riprendendoci “la nostra speranza e nostra dignità, che costituiscono un irrinunciabile diritto di tutti. Il percorso è impegnativo ma non impossibile”, ha ammonito, invitando i fedeli a non lasciarsi “rubare la speranza”. Vengono in mente alcune riflessioni di 40 anni fa, di Pier Paolo Pasolini, lucido nella sua analisi dello sviluppo di un “nuovo potere”, basato su una omologazione interclassista, con un edonismo imperante e che sostituisce e stravolge ogni altro valore morale del passato, sia esso laico o religioso, di classe o di collocazione geografica. Un nuovo potere più pericoloso dell’antico, che ha fatto in modo che sia ormai impossibile distinguere nei comportamenti persone di diversa fede politica o di diverso status sociale, tutti asserviti ed interni ad un unico schema di pensiero-comportamento (il “pensiero unico”, come lo chiamiamo oggi). Questo schema è anche pragmatico, realistico, laico, moderno, “tecnologico” ; non ha più bisogno dei vecchi miti: la religione, il vetero – fascismo, il clericalismo. A tutto questo possiamo reagire solo rimettendo al centro del dibattito e delle singole coscienze una vera ricerca di identità culturale (come peraltro sta cercando di fare Papa Ratzinger), avendo piena consapevolezza di cosa sia davvero un’identità culturale. Vediamo cosa su ciò dice, negli anni ’70 (Scritti Corsari, 1974) dello scorso secolo, il poeta-pensatore Pasolini: : ”Non è la cultura degli scienziati, dei politici, dei professori, dei letterati,dei cineasti..” .“Non è neanche la cultura della classe dominante o di quella dominata, quella popolare di operai e contadini. La cultura di una Nazione è l’insieme di tutte queste culture di classe : è la media di esse”. In questa affermazione non c’è solo la ridefinizione della cultura e delle culture : c’è anche la indicazione preziosa che ciò che conta per un popolo è la sua cultura globale, cioè la volontà-possibilità di ciascuno di conoscere, studiare, comunicare, senza deleghe e senza rappresentanze imposte. E’ la scommessa sulla partecipazione e la formazione politica e sociale di cittadini coscienti che Stati diversi, come quello statunitense o svedese, praticano con grande impegno, da anni. Un colpo mortale per quelli che pretendono di spiegarci tutto e di rappresentarci sempre, usando una doppia truffa: quella elettorale e quella mediatica.

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