Omicidio De Palo-Toni, dopo trent’anni la ragion di Stato copre ancora la verità 

Si è svolta ieri la cerimonia per il trentennale della scomparsa dei giornalisti Graziella De Palo e Italo Toni, rapiti e uccisi in Libano il 2 settembre del 1980, mentre investigavano sul traffico di armi tra il Paese del Medio Oriente e l’Italia. La cosiddetta “ragion di Stato”, numerosi depistaggi e un’inchiesta viziata da troppi silenzi, hanno impedito – a trent’anni di distanza – di arrivare ad una verità definitiva sulla sorte dei due cronisti. Nel 1984, inoltre, il piombo del Segreto di Stato venne messo a coprire i rapporti tra L’Italia e l’Organizzazione per la Liberazione della Palestina (Olp), guidata all’epoca dal leader Yasser Arafat, facendo cadere nel dimenticatoio l’intera vicenda.

Ieri il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, ha voluto ricordare i due giornalisti scomparsi, dedicando loro due viali a villa Gordiani. Presente alla commemorazione, il presidente del Comitato per la Sicurezza della Repubblica (Copasir), Massimo D’Alema, ha promesso un impegno concreto da parte del Copasir per attivare contatti funzionali ad uno scambio di informazioni con i Servizi libanesi, per capire se sia possibile ritrovare i corpi dei due giornalisti, insieme ad elementi nuovi per far luce sulla vicenda.

Narcomafie ha intervistato Giancarlo De Palo, fratello di Graziella, che ha accettato di ripercorrere l’intera vicenda, a partire proprio da quel Segreto di Stato che di fatto ha bloccato qualsiasi possibile inchiesta giudiziaria.

Giancarlo De Palo, quando viene posto il Segreto di Stato sulle carte riguardanti il sequestro di tua sorella e di Italo Toni?

Il segreto di Stato sulla vicenda di Graziella e Italo venne messo durante un interrogatorio condotto da Giancarlo Armati, il magistrato che stava indagando sulla scomparsa di mia sorella, all’allora ex agente dei Servizi in Libano, il colonnello Giovannone. Nel rispondere ad una domanda sui rapporti tra l’Italia e l’Organizzazione per la liberazione della Palestina (Olp), Giovannone oppose il Segreto di Stato. Un mese dopo Bettino Craxi lo confermò e su tutta la vicenda della scomparsa e della morte di mia sorella da quel momento calò il silenzio. Una delle principali conseguenze, è stato l’oblio della figura stessa di Graziella: il suo nome non compare in alcun sito internazionale dove sono elencati i giornalisti uccisi. Non nel sito di Reporters Sans Frontiers, non nel Memorial di Washington. Amnesty International, invece, non se ne volle occupare perché ufficialmente i due cronisti non erano prigionieri.

Come si è arrivati alla decisione di chiedere l’accesso agli atti?

Dopo la legge del 2007 varata dal governo Prodi, l’onorevole Francesco Rutelli, all’epoca presidente del Copasir, si è appellato ad una frase scritta da Craxi in una lettera (diretta alla Mafai, ndr.) in cui chiedeva al giudice di fare domande inerenti alla sola vicenda De Palo-Toni. Su questa base, Rutelli ha fatto la richiesta al premier Silvio Berlusconi di desecretare i documenti riguardanti il caso senza quindi andare a toccare gli interessi nazionali. Il risultato è stato che il Segreto di Stato è caduto su 1.240 documenti che comunque non sono pochi. Tutta una serie di altre carte, però, restano segrete e sulla loro desecretazione il Governo si pronuncerà il 31 dicembre prossimo. Quello di Graziella e Italo è l’unico caso in cui è stata applicata la legge Prodi del 2007.

Di che tipo di documenti di tratta?

Inizialmente temevamo si trattasse solo di articoli di giornale di mia sorella selezionati dai Servizi. Abbiamo invece scoperto che sono per la maggior parte documenti, alcuni brevissimi, altri fascicoli voluminosi che per ora non possono essere divulgati. Per comprendere appieno il caso di mia sorella, ci vorrebbe un intero appartamento in cui riunire le carte appena desecretate, gli atti dell’indagine e l’inchiesta che ho condotto immediatamente dopo la sua scomparsa. Solo a quel punto, si potrebbero iniziare ad incrociare i documenti per capire quella verità a cui comunque siamo molto vicini.

Cosa vi aspettate adesso?

Come prima cosa chiediamo che ci venga data copia degli atti desecretati e, in secondo luogo, che non venga confermato il Segreto di Stato sulle carte che non abbiamo. C’è poi da sottolineare che il trentennale cade nella riapertura dei colloqui tra Olp ed Israele: Abu Mazen, ormai libero da ricatti, potrebbe almeno farci riavere i corpi o quello che ne resta.

Che persona era Graziella De Palo?

Graziella era una giornalista con un fiuto straordinario, vicina agli emarginati e alla causa palestinese. Ricordo ancora quando, persa la fede durante l’adolescenza, mi disse: “Mi resta solo una cosa: l’amore per gli emarginati”. Iniziò a lavorare per Notizie Radicali dove conobbe Italo Toni e poco dopo, nel 1980, collaborò con Paese Sera, chiamata dal direttore Peppino Fiore proprio per la sua competenza sul traffico internazionale di armi. Mia sorella, inoltre, era amica di Nemer Hammad, il rappresentante a Roma dell’Olp, mentre Italo Toni era stato il primo giornalista occidentale a fare, nel 1968, un’esperienza con i guerriglieri palestinesi sulle rive del Giordano, prima che si formasse l’Olp e fu lo scoop che lo rese famoso.

Come sono scomparsi Graziella e Italo?

Nel 1980 Italo Toni volle partire per il Libano e Nemer Hammad lo aiutò nell’organizzazione del viaggio. Il 2 agosto, intanto, c’era stata la strage di Bologna. Italo e Graziella arrivano a Damasco il 23 agosto del 1980, su un volo della Sirian Arab Airlines, dormono nella capitale siriana e la mattina successiva una jeep li porta a Beirut ovest, territorio sotto il controllo di Damasco. Questo particolare è importante poiché nessuno dei due giornalisti aveva il visto libanese per raggiungere Beirut Est, in mano ai falangisti: si sono mossi solo in territorio siriano. Al Fatah fa quindi fare ai due giornalisti il giro di routine dei campi palestinesi ma Italo Toni vorrebbe andare a cercare notizie più incisive. Davanti al rifiuto di Fatah di fare percorsi diversi da quelli classici, i due giornalisti prendono accordi con il Fronte democratico ma per la loro sicurezza si presentano il primo settembre – il giorno precedente alla scomparsa – all’ambasciata italiana a Beirut Ovest per avvertire che avrebbero intrapreso un viaggio con il Fronte democratico, chiedendo di essere cercati se non fossero tornati entro tre giorni. Il 2 settembre, però, una jeep li va a prendere a tradimento sul luogo dell’appuntamento e da quel momento di mia sorella e di Italo Toni non abbiamo più avuto notizie. La nostra famiglia è venuta a conoscenza della scomparsa di Graziella solo il 15 settembre successivo, quando mia sorella sarebbe dovuta tornare in Italia.

Quella di Italo e Graziella è una vicenda inquinata da numerosi depistaggi…

Il primo è stato messo in atto pochi giorni dopo la loro scomparsa, quando il portiere dell’albergo presso cui alloggiavano racconta che i due giornalisti sono partiti per Baghdad. In quei giorni, infatti, era scoppiata la guerra tra Iran e Iraq. Nei primi giorni di ottobre, invece, si diffonde la notizia che i due cronisti sono morti. Lentamente a tutta la vicenda viene messa la sordina.

Come si sono comportate, a quel punto, le autorità italiane?

Partirono immediatamente due inchieste: una da parte dei Servizi e condotta dal colonnello Giovannone e una seconda – ufficiale – da parte dell’ambasciatore D’Andrea. Entrambe coordinate dall’allora segretario generale della Farnesina, Francesco Malfatti di Montetretto, pidduista. D’Andrea viene screditato e messo a tacere, mentre Giovannone inizia a promettere che la vicenda si sarebbe conclusa in modo positivo. È tutto un susseguirsi di promesse e smentite. Per anni.

Nella tua inchiesta ti sei recato diverse volte in Libano ed hai anche incontrato Arafat. Cosa vi disse?

Ho incontrato Arafat nel 1981, poco dopo che, nel febbraio di quello stesso anno, ci era stato comunicato dal governo italiano che Graziella era in mano ai Falangisti a Beirut Est, una zona in cui non sarebbe mai potuta andare per un semplice motivo: non aveva il visto libanese e quell’area non era sotto il controllo siriano. A questa pista non ho mai creduto ma ci è stata ripetuta anche da Arafat. A quel punto ebbi la certezza che Graziella era stata assassinata dall’Olp. La manovra era chiara: si voleva dare la colpa ai Falangisti cristiani che nel Libano dell’epoca non contavano nulla, appoggiati però dagli americani e da Israele, per proteggere l’Olp con cui il nostro Paese aveva stretto accordi in segreto. A tutt’oggi questa è ancora considerata la verità ufficiale. Ad indicare una pista diversa, però, sono le bugie di personaggi come Nemer Hammad, del colonnello Giovannone e di personaggi appartenenti all’Olp che troppe volte ci hanno dato false speranze.

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